Scambio tra “prigionieri” e “ostaggi”: sulla Palestina impera la neolingua colonialista

Scambio tra “prigionieri” e “ostaggi”: sulla Palestina impera la neolingua colonialista

SCAMBIO TRA “PRIGIONIERE” ED “OSTAGGI”: SULLA PALESTINA IMPERA LA NEOLINGUA COLONIALISTA

L’accordo tra Israele e Hamas prevede quattro giorni di cessate il fuoco, con il rilascio scaglionato di 50 ostaggi e la scarcerazione di 150 detenuti palestinesi” (“La Repubblica”, 24/11/2023). In questa breve frase è condensata tutta la carica retorica dell’Occupazione, del Colonialismo e dell’Apartheid sionista, mascherati da neutra comunicazione giornalistica.

Una dimostrazione fattuale che le parole, i termini, le categorie usate e comuni alla stessa lingua, a parità di forma cambiano di sostanza, a seconda degli interessi della parte sociale da cui vengono espressi. Sfruttatori e sfruttati, oppressori e oppressi, coloni e colonizzatori, da secoli utilizzando i medesimi termini, ma li sostanziano differentemente, rappresentando il proprio interesse narrativo. La Palestina non fa eccezione, bensì rappresenta la massima espressione di un tale suprematismo semantico ricercato dai dominatori.

Un abuso linguistico-narrativo, implacabilmente condotto dal main stream mediatico sionista – in cui, troppo spesso si fa intrappolare anche parte del movimento di solidarietà ed internazionalista… –, che racconta come donne e minori “ebrei” siano ostaggi, mentre quelli palestinesi sono detenuti. Poco importa se, similmente, siano stati “detenuti” con la forza da militari armati, entrati nelle loro vite e case, senza apparenti capi d’imputazione, prelevati e rinchiusi, senza sapere esattamente che fine hanno fatto. Con la ulteriore, pelosa, discriminazione che nel caso degli “ebrei” i minorenni vengono definiti “bambini”, mentre per i palestinesi si tratta di “adolescenti”, volutamente a provocar maggior patos verso gli “ariani” israeliani. Il tutto stigmatizzato anche dal valore “matematico” assegnato alle rispettive vite: nella fattispecie quella di 1 colono vale quella di 3 colonizzati, di principio. Con l’intento di mascherare, invece, ciò che riteniamo essere la diversità determinante in questa situazione: quella di essere tra i coloni o i colonizzati, oppressori o gli oppressi.

Una bella differenza, sostanziale e formale, che sgretola il concetto di “diritto all’autodifesa” degli occupanti (sionisti), sancendo il “diritto alla Resistenza” degli occupati (palestinesi). Confutando la narrazione imperialista. Come recita, infatti, l’unica Convenzione internazionale vigente riconosciuta – art. 51 della Carta ONU –, nessuno Stato occupante ha diritto all’autodifesa. In Palestina (come in Libano e Siria), quindi, ad Israele questo “diritto” NON può essere riconosciuto. Lo stesso vale per la NATO in Siria, Iraq e dovunque ci sia uno Stato che occupa illegalmente – nel quadro internazionale convenzionale – un territorio altrui. Qui TUTTA la retorica sionista, fiancheggiata dall’imperialismo euro-atlantico, svanisce e dovrebbe perdere di significato, soprattutto agli occhi degli occupati e dei colonizzati – e dei loro solidali… –. L’entità sionista sia uno Stato occupante della Palestina ed è innegabile, com’è stato sancito centinaia di volte, spesso col sigillo dell’ONU.

A proposito dell’ONU e della legittimità dello Stato d’Israele, vale la pena di ricordare che la sua fondazione, fu frutto della partizione della Palestina – sottolineiamo “Palestina”… – e che fu una imposizione arbitraria delle stesse Nazioni Unite ai danni della popolazione arabo-palestinese; che dovette subire l’esproprio internazionale secondo l’infame principio di “dare ad un popolo senza terra, una terra senza popolo…”. Un esproprio antisemita (ai palestinesi) narrato come una sorta di “risarcimento” allo sterminio antisemita (di “ebrei”) condotto dalla stessa borghesia imperialistica europea. Celando il vero obiettivo: conficcare un presidio colonico sionista nel cuore dei un’area dalla grandissima importanza geostrategica a tutto vantaggio del nuovo Asse euro-atlantico (NATO). I numeri e la qualità dei votanti di quella (s)partizione infame , valgono più di tante parole: solo 33 favorevoli (potenze coloniali ed i “loro” protettorati + l’URSS); 13 contrari (tutti gli Stati “mediorientali” + Cuba); 10 astenuti (tra cui l’Impero Britannico e la Cina).

Una usurpazione internazionale con interi continenti esclusi (Africa) e di fatto sancita dal collaborazionismo di semicolonie come la Liberia, Costarica, Haiti, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Paraguay, Panama, ecc., che avvallarono l’esproprio della Palestina da parte dei sionisti. “Attraverso l’inganno” direbbe il Mossad.

Di fronte a quella usurpazione storica e dopo 75 anni di Occupazione, Colonialismo ed Apartheid, l’unico “diritto” legittimo è, quindi, quello “alla Resistenza”. Così come storicamente sostanziato dal rivoluzionario anticolonialista Frantz Fanon, o anche solo per come formalmente congegnato ed internazionalmente riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra.

In conclusione, politicamente e tecnicamente, lo “scambio” di detenute in Palestina non può e non deve essere definito asimmetricamente in termini filosionisti come tra “ostaggi” (donne e bambini “ebrei”) e “prigionieri” (donne e “adolescenti” palestinesi), soprattutto da parte di chi afferma di schierarsi dalla parte degli oppressi, dei colonizzati e dei segregati. Continuare ad esprimersi in questi termini equivale a riprodurre una narrazione ed una egemonia politica imperialista ed eurocentrica. Continuare a farlo, conoscendo i termini reali e la manipolazione in atto, sarebbe colpevole ed imperdonabile…

DALLA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA ALLA LIBERAZIONE DEL PROLETARIATO!

AL FIANCO DELLA RESISTENZA ARABO-PALESTINESE CONTRO OCCUPAZIONE, COLONIALISMO E APARTHEID!

Rete dei comitati e collettivi di lotta
[Roma], 24/11/2023

[Tratto dal web e ripubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2023/12/04/scambio-tra-prigionieri-e-ostaggi-sulla-palestina-impera-la-neolingua-colonialista/]