Émile Henry (26 settembre 1872 – 21 maggio 1894)

Émile Henry (26 settembre 1872 – 21 maggio 1894)

“Compagni, coraggio. Viva l’anarchia!”. Il 21 maggio 1894 veniva ghigliottinato l’anarchico Émile Henry. Poche parole per un compagno che ha dedicato la propria breve e intensa vita, integralmente e fino alla fine, all’anarchia. Tanti anni sono passati – ben più di un secolo di azioni, sogni, rivoluzioni – e la volontà rivoluzionaria di questo compagno continua a brillare delle infinite meravigliose sfaccettature del nostro ideale. Émile è immortale.


Aforismi

Una volta, il chiostro si apriva per le anime stanche o disgustate dagli spettacoli del mondo, oggi noi non abbiamo altro rifugio che negli ospedali e nelle carceri.

Cosa vogliono gli anarchici? L’autonomia dell’individuo, lo sviluppo della sua libera iniziativa che, soli, potranno assicurargli tutta la felicità possibile. Se l’anarchico ammette il comunismo come concezione sociale, è per semplice deduzione, perché comprende che è solo nella felicità di tutti, liberi e autonomi come lui, che troverà la sua stessa felicità.

Quando un uomo, nella società attuale, diventa un ribelle cosciente della propria azione – e tale era Ravachol – è perché ha fatto nel suo cervello un lavoro di analisi doloroso le cui conclusioni sono imperative e non possono essere eluse se non per vigliaccheria. Lui solo tiene la bilancia, lui solo è giudice della ragione o del torto di odiare e di essere selvaggio, “persino feroce”.

Ritengo che gli atti di brutale rivolta siano giusti, perché svegliano la massa, la scuotono come una violenta frustata e le mostrano il lato vulnerabile della Borghesia ancora tutta tremante al momento in cui il Ribelle sale al patibolo.

Ognuno di noi ha una fisionomia e delle attitudini speciali che lo differenziano dai suoi compagni di lotta. Così, non siamo stupiti dal vedere i rivoluzionari tanto divisi nella direzione dei lori sforzi. Ci si domanda quale sia la buona tattica: essa è ovunque proporzionale alla somma di energia che si apporta all’azione. Ma non riconosciamo a nessuno il diritto di dire: “Solo la nostra propaganda è quella buona; fuori di essa non v’è salvezza”. È un vecchio residuo di autoritarismo nato dalla vera o falsa ragione che i libertari non devono tollerare.

Fa’ ciò che credi sia meglio e fallo con amore.

A coloro che dicono: “L’odio non genera l’amore”, rispondete che è l’amore, vivo, che spesso genera l’odio.

L’odio che non poggia su una bassa invidia, ma su un sentimento generoso, è una passione sana e potentemente vitale.

Più amiamo il nostro sogno di libertà, di forza e di bellezza, più dobbiamo odiare ciò che si oppone al suo avvenire.

Nella storia del progresso umano c’è un solo partito, è il partito del movimento.

I socialisti non vogliono capire che la libertà dell’individuo è necessaria alla vera libertà del popolo.

Nella dedica del suo libro, Dall’altra sponda, Alexandre Herzen precisa un atteggiamento veramente rivoluzionario ed efficace quando dice: “Noi non costruiamo, noi demoliamo; noi non annunciamo affatto delle nuove rivelazioni, noi sopprimiamo la vecchia menzogna”. Questo libro di Herzen è pieno di sprazzi e di rivelazioni, ma non vi mancano nemmeno le osservazioni mordaci: è un buon libro per il carcere; e lontano dalla strada mi piace prenderlo come un’eco: “I Francesi non possono liberarsi dall’idea dell’organizzazione monarchica; hanno la passione della polizia e dell’autorità; ogni francese è nel suo animo un commissario di polizia; egli ama l’allineamento e la disciplina; tutto ciò che è indipendente, individuale, lo irrita; comprende l’uguaglianza solamente come livellamento e si sottomette volentieri all’arbitrio della polizia purché tutti vi si sottomettano. Mettete un gallone sul cappello di un francese ed egli diventa un oppressore, comincia ad opprimere chiunque non porti quel grado; egli esige il rispetto nei confronti dell’autorità”.

Vi è un diritto che prevale su tutti gli altri, è il diritto all’insurrezione.

L’uomo libero è colui agli occhi del quale i filosofi sono superstiziosi, e i rivoluzionari conservatori.

I liberali sono in politica della stessa odiosa razza dei protestanti.

La società moderna è come una vecchia nave che affonderà nella tempesta per non aver voluto sbarazzarsi del suo carico accumulato durante il viaggio nel corso dei secoli; vi sono delle cose preziose, ma che pesano troppo.

Tutti i partiti politici sono logori, ecco perché noi appariamo.

L’operaio che si ubriaca almeno una volta a settimana non fa cosa diversa da chi cerca illusioni. Se io fossi un filosofo scriverei qualcosa sulla necessità di ubriacarsi per addormentare la volontà che ci fa soffrire.

Quanti esseri hanno attraversato la vita senza mai svegliarsi! E quanti altri si sono accorti che stavano vivendo solo per il monotono tic-tac degli orologi!

Tra la beatitudine dell’incoscienza e l’infelicità di sapere, io ho scelto.

Finora i popoli hanno inteso la fratellanza solo come hanno fatto Caino ed Abele.

Che dire di quei rivoluzionari che sono solo dei vili ragionatori e che riflettono quando invece bisogna colpire? La sfera delle idee generali ha rimpiazzato in loro il mondo della contemplazione.

C’è un’asserzione di Proudhon che, al suo tempo, è stata ritenuta immorale e che oggi sarebbe criminale. Vale a dire che la Repubblica è fatta per gli uomini e non gli individui per la Repubblica.

L’uomo ha bisogno talvolta di credere alla potenza della propria volontà; è allora che entra nella lotta.

Tra gli economi di se stessi e i prodighi di se stessi, credo che i prodighi siano i migliori calcolatori.

Più amiamo la libertà e l’uguaglianza, più dobbiamo odiare quanto si oppone alla libertà e all’uguaglianza degli uomini. Così, senza perderci nel misticismo, poniamo il problema sul terreno della realtà, e diciamo: È vero che gli uomini sono solo il prodotto delle istituzioni; ma queste istituzioni sono cose astratte che esistono solo in quanto vi sono uomini in carne ed ossa per rappresentarle. C’è quindi un solo mezzo per colpire le istituzioni: colpire gli uomini.

Una volontà che si spinge fino al suicidio può generare atti di dedizione definitivi e senza speranza.

Uno dei primi insegnamenti dell’anarchia è questo: “Sviluppa la tua vita in tutte le direzioni, opponi alla ricchezza fittizia dei capitalisti, la ricchezza reale degli individui possessori di intelligenza ed energia”.

Amo tutti gli uomini nella loro umanità e per quello che dovrebbero essere, ma li disprezzo per quello che sono.

Inoltre, ho ben il diritto di uscire dal teatro quando la recita mi diventa odiosa, ed anche di sbattere la porta uscendo, pur col rischio di turbare la tranquillità di quelli che ne sono soddisfatti.

Grande Roquette, maggio 1894

[Questi “aforismi postumi” sono stati pubblicati la prima volta col titolo di “Pensées” su “Le Libertarie” n. 28, 23-29 maggio 1896. Sono poi apparsi nel n. 7 dei “Documents d’histoire” (febbraio 1907) che Fortuné Henry pubblicava a Aiglemont (Ardenne)]

[Tratto da Émile Henry, Colpo su colpo, Edizioni Anarchismo, Trieste, 2013, pp. 137-142. Prima edizione italiana: Émile Henry, Colpo su colpo, Casa Editrice Vulcano, Bergamo, 1978. La seconda edizione (Edizioni Anarchismo) è consultabile anche online: https://www.edizionianarchismo.net/library/emile-henry-colpo-su-colpo]


Nota introduttiva

Chi alza la mano contro i dominatori e contro i loro servi paga con la vita. Ecco l’insegnamento che si trae dalla lettura di questo libro dedicato alla vicenda di Émile Henry, l’anarchico che decise, sul finire dell’Ottocento, di attaccare con le bombe il nemico di classe.

Lo tengano presente i compagni che si illudono di mettere paura. Chi gestisce il dominio non si impaurisce facilmente. Serra i ranghi e va avanti. Anzi, non appena si accende qualche fuocherello, qui e là, immediatamente invoca leggi speciali e provvedimenti esemplari. Normale amministrazione.

Spetta a noi decidere che fare. Stare a guardare, aspettando che tutto vada a soqquadro per scendere dal marciapiede su cui siamo fermi, oppure attaccare per primi. Anche a costo di trovare schierati contro – chi poteva immaginarselo – una buona parte dei nostri stessi compagni. Malatesta, a suo tempo, altri ai giorni nostri.

Questo libretto, uscito la prima volta per le edizioni Vulcano nel 1978, e subito da me recensito su “Anarchismo” dette vita a una polemica ben più astiosa e indigesta delle righe sopratono ma, in fondo, genericamente bonarie, di Malatesta (qui riportate in Appendice). Chi volesse leggerla la troverà nel mio libro: Gianfranco Bertoli e Alfredo M. Bonanno, Carteggio 1998-2000, Trieste 2003, pp. 450-480. Qui di seguito mi limito a riportare la mia recensione che dette origine a tanto squallore. E riprendo questo mio scritto perché lo ritengo tutt’ora valido per chiarire i motivi dell’attacco di Henry, i quali rimangono sempre l’obiettivo primario di ogni anarchico che vuole guardarsi la mattina allo specchio senza ridersi in faccia vedendo riflessa la maschera di un buffone.

Con buona pace di tutti i distinguo filosofici.

Trieste, 30 ottobre 2011

Alfredo M. Bonanno

* * * * *

Una raccolta contenente una biografia di Henry, due sue lettere, il resoconto del processo, alcuni aforismi, e un’appendice con una interessante lettera di Malatesta.

Il volumetto, occorre dirlo subito, presenta un problema che supera di gran lunga lo stupido barcamenarsi degli storici, anche degli storici dell’anarchismo: il gesto di Henry fu qualcosa di spaventoso, qualcosa che scosse non soltanto la cosiddetta “opinione pubblica”, ma anche i compagni. E la lettera di Malatesta, inserita nell’appendice, è un esempio di queste perplessità, colte dall’anarchico italiano e giustificate in un certo modo, mettendo avanti la solita cautela, quella stessa cautela che pochi anni prima aveva fatto gridare al “provocatore” nei confronti di Ravachol a gente come Grave e come Kropotkin.

Ma, andiamo con ordine.

Non è per nulla vero che il gesto di Henry si inserisce nella catena di attentati e di attacchi che gli anarchici “fine secolo” realizzarono contro le istituzioni e i loro rappresentanti. Il gesto di Henry opera un “salto di qualità” che venne colto, seppure nebulosamente, anche dai compagni che in quel momento si trovavano a lottare contro la repressione.

Questo giovane, colto e intelligente, opera con freddezza una decisione che altri avevano maturato e compreso, ma non realizzato: attacca la borghesia, non questo o quel rappresentante dell’istituzione Stato, questo o quel poliziotto, magistrato, carnefice, aguzzino, spia o traditore, no: tutta la borghesia. Egli colpisce nel mucchio, senza discriminazioni. Sceglie con cura uno dei posti che questa classe frequenta, vi si reca con il suo ordigno infernale, accende la miccia, lancia la bomba e se ne va.

Di più, cerca anche di sfuggire alla cattura. Non è un martire, è un guerrigliero, non vuole sacrificarsi, vuole continuare nella sua lotta, vuole continuare a colpire nel mucchio. Per far questo fugge, cerca di coprirsi la ritirata, spara per difendersi, finché non cade prigioniero nelle mani del nemico. E qui, una volta preso, non chiede pietà, non si chiude in un mutismo del resto anche giustificabile: fa del processo una tribuna per spiegare e illustrare il suo gesto contro tutti (compagni compresi) e contro tutto. Non cerca attenuanti, non parla di “errori”, ma dice chiaramente che ha inteso colpire proprio nel mucchio, senza preventiva discriminazione, perché proprio nel mucchio si annidano quei colpevoli dello sfruttamento che sono meno individuabili, i rappresentanti di quella classe bottegaia, perbenista, codina, sanfedista, pronta ad accorrere nelle piazze dove si ghigliottina, pronta a battere le mani a qualsiasi sottoprodotto napoleonico, pronta a mettere il proprio sostegno sotto i piedi del dittatore di turno.

Nel gesto di Henry è inclusa un’analisi del concetto di classe. Non tanto nelle sue lettere o nello stesso dibattito processuale, ma proprio nel gesto in se stesso. Il comportamento collettivo della classe borghese comprende, in forme ben delineate, in quanto classe al potere (o diretta sostenitrice del potere) una coscienza di classe ben adeguata alle reazioni specifiche dei rapporti di forza (ideologici ed economici). La classe borghese sa quello che vuole, e la frangia bottegaia lo sa anche meglio della media e alta borghesia. E questa coscienza di sé la estrinseca anche nel passatempo, nel divertimento, nello scegliere un caffè, un ristorante, un bordello, una crociera, un luogo di vacanza. La selezione che si opera in questi posti non è solo determinata dal prezzo dei prodotti, dei servizi e di quello che occorre avere con sé per recarvisi, ma è determinata dalla stessa aria che vi si respira, dall’atmosfera che vi è stata creata “apposta”, dalla scelta delle bardature, dei ninnoli, dei quadri, degli specchi, dei bicchieri e della moquette. Un proletario – anche oggi, con tutto l’inquinamento che è stato causato dal consumismo imperante – raramente metterebbe piede al Caffè Greco a Roma, e se per errore vi capitasse dentro ne fuggirebbe ben presto, non tanto perché spaventato dai prezzi che vi si praticano, quanto perché estraniato da quell’atmosfera che vi è stata creata e che si sente come qualcosa di solido, un’atmosfera che solo con una valutazione superficiale può essere riportata alla necessità del capitale di “vendere”. Qui non si tratta di quei luoghi di massa dove si sacrifica al dio “merce”, si tratta di altri luoghi, più intimi e raccolti, dove il sacrificio alla religione della “merce” è fatto in forma più raffinata, in forma accessibile solo a pochi, in forma che opera una selezione automatica e che trova riscontro – quasi perfetto – nell’adeguarsi della coscienza di classe borghese alla situazione dei rapporti di forza oggi in campo.

Non si venga a dire che la situazione storica di fine Ottocento era diversa della presente e che allora questi posti erano ben più precisamente “isolati” di quanto non accada oggi, proprio perché la borghesia ancora all’apice dello sfruttamento coloniale si sentiva sicura di sé e voleva autogratificarsi anche con bordelli e caffè oltre che con chiese e monumenti alla vittoria. Anche oggi, in fase di profonde trasformazioni sociali, la borghesia mantiene una certa coscienza di sé, almeno quelle fasce che non sono state risucchiate irrimediabilmente nel baratro della criminalizzazione a seguito delle difficoltà, per il capitale, di mantenere un livello sufficientemente sicuro di occupazione. Ma quelle altre fasce, quelle garantite, quelle che si sono anche ingrossate con l’accesso di altri gruppi – prima proletari – oggi sono il nucleo reazionario più coerente e più difficile a smuovere. E questo nucleo, questo coacervo d’interessi e di squallore, di linguaggio gergale e di stucchevoli imitazioni di passati splendori, questo nucleo si ritrova ancora negli stessi posti, negli stessi caffè, negli stessi bordelli.

Ecco. La cosa più umoristica (e tragica, nello stesso tempo) è che questo nucleo reazionario ha assunto gli atteggiamenti del progressismo parolaio della cosiddetta sinistra, e per meglio solidificare la coscienza del proprio status sociale ha rigettato le vesti sorpassate di una reazione che si vestiva di nero (e che oggi farebbe ridere) per indossare le vesti di una reazione che si veste di rosso e che non fa più ridere ma mette paura.

Ecco. Colpire nel mucchio, oggi, a tanto tempo dal gesto di Henry, non solo sarebbe un gesto valido ma sarebbe anche un contributo teorico al movimento, ancora una volta, un salto qualitativo.

Malatesta scriveva: “Una cosa è comprendere e perdonare, un’altra è rivendicare. Questi non sono atti che possiamo accettare, incoraggiare, imitare. Noi dobbiamo essere risoluti ed energici, ma dobbiamo cercare di non oltrepassare mai il limite segnato dalla necessità. Noi dobbiamo fare come il chirurgo che taglia quando è necessario, ma evita di infliggere inutili sofferenze: in una parola, dobbiamo essere ispirati dal sentimento dell’amore degli uomini, di tutti gli uomini”.

Amore o odio. L’alternativa è errata. Nello scontro di classe non si può sentire amore per il proprio nemico, i sentimenti che possono stimolare questo amore sono quelli della reazione comune agli stessi stimoli della classe, cioè il sentirsi non solo partecipi della stessa classe del nemico ma il sentirsi interessati alle stesse cose e agli stessi ideali, in caso contrario, quando il nemico si vede come tale – come nemico di classe – e i suoi interessi e i suoi ideali non si condividono, ma anzi suscitano disgusto e sdegno, il risultato può essere uno solo: l’odio.

Ed Henry rispondeva: “È vero che gli uomini non sono che il prodotto delle istituzioni; ma queste istituzioni sono cose astratte che esistono solo fintanto che ci sono uomini in carne ed ossa per rappresentarle. Non c’è quindi che un modo per colpire le istituzioni; cioè colpire gli uomini; ed accogliamo con felicità tutti gli atti energici di rivolta contro la società borghese, perché non perdiamo di vista il fatto che la Rivoluzione non sarà che la risultante di tutte queste Rivolte particolari”.

[Recensione a E. Henry, Colpo su colpo, Edizioni Vulcano, Bergamo 1978, pagine 174, pubblicata su “Anarchismo” n. 23-24, 1978]

[Tratto da Émile Henry, Colpo su colpo, Edizioni Anarchismo, Trieste, 2013, pp. 5-11. Prima edizione italiana: Émile Henry, Colpo su colpo, Casa Editrice Vulcano, Bergamo, 1978. La seconda edizione (Edizioni Anarchismo) è consultabile anche online: https://www.edizionianarchismo.net/library/emile-henry-colpo-su-colpo]