Rovereto: una domenica tra gli umani «cablati»

Rovereto: una domenica tra gli umani «cablati»

Sabato 6 e domenica 7 maggio si è svolto, a Rovereto, il “Wired Next Fest”, un festival – costato 500 mila euro – promosso dalla rivista “Wired” («cablati», «computerizzati», «connessi») come occasione per una sfacciata sponsorizzazione delle tecnologie convergenti. Provincia di Trento e Comune di Rovereto non vi hanno collaborato solo come finanziatori e come braccia organizzative, ma anche come attori in proprio di un «ecosistema dell’innovazione» che vuole vendere se stesso e fare da apripista per progetti di vasta portata. Contrariamente all’immagine da cartolina di un territorio alpino fatto di meleti, vigneti e paesaggi turistici, il Trentino è una delle Province a più alta intensità di start up, per il ruolo che vi giocano alcune Fondazioni e per i cospicui finanziamenti pubblici alla ricerca tecno-industriale. Per questo autorità politiche, tecnocrati e professori universitari vorrebbero fare del “Wired Next Fest” un appuntamento annuale.

Come esempio di tale entusiasmo, valgano queste parole tratte da un editoriale scritto per “ilT” (un giornale della locale Confindustria) da un professore universitario di Patologia generale: «Guardando i bambini estasiati di fronte ai robot negli stand del festival, viene davvero da pensare che la fascinazione del nuovo, come tale meraviglioso, sia una categoria direttamente cablata (wired) nel nostro cervello di Sapiens, e che sono taluni condizionamenti culturali, orientati alla standardizzazione, a comprimerla. […] Ancora una volta, si tratta di plasmare, di cambiare la nostra mente, rendendola più ricettiva verso il nuovo. E farlo con la fascinazione, la meraviglia, prima del ragionamento, aiuta. Più nobile e necessario scopo non poteva darsi, per un nuovo festival trentino». Non si potrebbe dir meglio: rimuovere il ragionamento e certi «condizionamenti culturali» per far rimanere a bocca aperta di fronte alle «meraviglie» della tecnoscienza. Infatti c’erano stand con stampanti a 3D, visori di «realtà aumentata» e videogiochi, ma nessun dibattito. Quando un compagno contadino ha provato a dir la sua contro la carne artificiale (venduta come soluzione green e resiliente) e contro l’intreccio tra digitale e ingegneria genetica per le coltivazioni di un futuro che è già qui, è stato subito zittito. Benché i redattori di “Wired” affermino di auspicare un confronto tra «tecno-entusiasti» (un modo eufemistico per chiamare i transumanisti) e «tecno-scettici» (i sostenitori della necessità di limiti etico-giuridici per contenere e umanizzare lo sviluppo delle tecnologie disruptive), esiste una vera e propria eresia che non è ammessa dalla religione tecnoscientifica: la critica di chi rifiuta l’inevitabilità dell’incarcerazione tecnologica del mondo.

I promotori dell’umanità cablata sono convinti, non a torto, che l’accelerazione impressa alle tecnologie convergenti dall’Emergenza Covid permetta loro di uscire allo scoperto: intelligenza artificiale per combattere l’ansia, visori di realtà aumentata per abituare i ragazzi autistici agli ambienti di domani, medicina di precisione basata sull’editing genetico, cibo prodotto in laboratorio grazie alla biologia di sintesi, sperimentazione in campo aperto dei nuovi OGM (chiamati TEA, Tecnologie di Evoluzione Assistita)… Così come non a torto si rallegrano per la partecipazione giovanile agli stand e alle conferenze (con il pubblico affascinato e muto). Un po’ più problematico convincere quegli adulti che sono cresciuti in un mondo non cablato e che in questi tre anni hanno sperimentato sulla propria pelle come il controllo tecnologico più pervasivo (spostarsi e lavorare esibendo un QR code) si ammanti di cause nobili. Il passaggio dall’incentivo alla coercizione avviene sempre in nome di qualche buona azione per questa o quella minoranza opportunamente selezionata (in genere persone affatte da disturbi o da patologie), finendo per incarcerare tutti (minoranze comprese). Quando le ricerche sulla connessione cervello-computer producono risultati efficaci per «curare la schizofrenia», le neurotecnologie serviranno poi anche per l’ansia, la rabbia o la gelosia; quando gli arti robotici possono aiutare i paraplegici, ben presto saranno disponibili anche per «potenziare» i sani; quando l’ingegneria genetica può rimuovere in anticipo il rischio del cancro, breve è il passo verso l’editing degli embrioni; quando il problema della siccità o di nuovi parassiti viene «risolto» con piante connesse e geneticamente modificate, si prepara la strada al latifondo digitale (per espellere i contadini dalle campagne basteranno le regole del mercato o il rifiuto dei finanziamenti a chi, non affidando l’uso dell’acqua a sonde, smartphone e droni, sarà privo di certificazioni «green»).

Rifiutando la falsa dialettica tra tecno-ottimisti e tecno scettici, un gruppo di umani contro la megamacchina si è dato appuntamento, domenica 7 maggio, davanti alla sede del CIMeC (Centro Interdipartimentale Mente e Cervello) di Rovereto, in una zona centrale rispetto al “Wired Next Fest”. Lo striscione appeso davanti all’Istituto diceva «Intelligenza artificiale, motore di un mondo deumanizzato». Un gazebo, un banchetto, la distribuzione di diverse centinaia di volantini e poi un intervento da una cassa amplificata. Non abbiamo memoria di una presenza critica che abbia suscitato in passato una simile reazione. Se durante l’intera giornata parecchie persone (quasi tutte sopra i cinquant’anni) si sono avvicinate al banchetto per esprimere il loro apprezzamento per i contenuti del volantino e per prendere altro materiale, dopo l’intervento al microfono si è creato un folto quanto inedito capannello di gente. Alcuni giovani «tecno-ottimisti» – volontari negli stand del festival, studenti di meccatronica o allievi del CIMeC – sono venuti a manifestarci tutto il loro disappunto ideologico, con tanti curiosi che ascoltavano quel botta e risposta, di fatto l’unico vero dibattito all’interno del festival della meraviglia. Dopo un po’, a criticare quei giovani convinti di vivere nel migliore dei mondi si sono messe altre persone attirate dalla discussione…

Oltre al volantino Chi ha paura dell’umano?, è stata distribuita una Lettera d’addio a nome di «alcuni professori e ricercatori del CIMeC», un testo tanto veridico nei contenuti quanto falso nella firma. Un effetto paradossale è che una giornalista avrebbe voluto intervistare un «portavoce» di tale collettivo di professori e ricercatori… Indubbiamente, una simile diserzione dai laboratori della robotizzazione dell’umano sarebbe stata davvero una «notizia» di rilievo, ma non serviva un grande acume per capire che i disertori esistevano solo… sulla carta (chissà, forse a rendere credibile la lettera è stato il fatto che a distribuirla c’era qualche compagno in giacca e cravatta).

I festival passano, l’incarcerazione tecnologia della società rimane (e avanza). Se siamo in ritardo nello smascherare i progetti concreti che si stanno abbattendo sul Trentino (a partire dalla tecno-industrializzazione delle campagne), questa domenica tra gli umani «cablati» ci ha suggerito alcune cose: oltre che sociale, la frattura è generazionale (tra i relatori di “Wired”, ad esempio, c’erano anche alcuni «portavoce» di Ultima Generazione e di Fridays for Future); per comprendere e contrastare l’impatto complessivo delle «tecnologie radicali» è necessario pensare e agire contro il proprio tempo; non siamo certo i soli a non voler essere cablati.

Di seguito il volantino-manifesto affisso e diffuso prima e durante il festival, nonché la Lettera d’addio distribuita all’entrata dell conferenza tenuta (da remoto) dalla «Global Leader per l’Etica dell’Intelligenza Artificiale» di IBM.

Rovereto, maggio 2023

Collettivo terra e libertà


Chi ha paura dell’umano?

Il festival di “Wired” è un festival di propaganda. Suo intento è giustificare il fantastico mondo della tecnologia, creando un falso dibattito su decisioni già prese e in parte già attuate, e che hanno conseguenze per tutta l’umanità.

Non siamo scienziati né “esperti del settore”. Siamo innanzitutto uomini e donne e vogliamo parlare chiaro. Con i suoi articoli pieni di notizie curiose e la sua community entusiasta, “Wired” vuole persuaderci che quello che stiamo acquisendo dalle tecno-scienze è più di quello che stiamo perdendo, e che la tecnologia è uno strumento ricco di possibilità, di cui non dobbiamo avere paura.
Quindi largo a videogiochi, esperienze 3d e quant’altro possa colonizzare il nostro tempo e i nostri sensi, considerando che le relazioni umane possono essere complicate e difficili. Via a soluzioni sintetiche per mettere una toppa ai problemi ecologici e sociali che affliggono la terra e l’umanità. Poco importa se schiere di giovani sono lobotomizzate da uno schermo, se imparare un’arte o un mestiere è diventato obsoleto, perché un artefatto di silicio lo può fare meglio. Cosa importa se, mentre si continua a sprecare un terzo del cibo prodotto, la “soluzione” all’enorme produzione di mangimi per gli allevamenti verrà dalla carne artificiale. Cosa importa se l’Intelligenza Artificiale può affermarsi solo tracciando tutto e tutti 24 ore su 24. Avanti tutta con l’ottimismo nel futuro, incuranti della guerra a due passi da noi che viene approntata nei laboratori di casa nostra, in cui è impossibile distinguere gli usi civili delle innovazioni tecnoscientifiche da quelli militari.

Nel frattempo, apparecchi e apparati tecnologici stanno sostituendo moltissime attività umane, da quelle più ordinarie fino a quelle più creative, mentre la ricchezza che producono finisce nelle mani dei loro detentori, e non in quelle di chi rimane senza lavoro. Una fetta considerevole di pianeta è soggiogata dalla predazione di risorse come le terre rare, necessarie alla produzione delle componenti elettroniche di smartphone, computer e macchine elettriche, alla faccia del loro presunto carattere green (la produzione di un solo centimetro quadrato di chip richiede almeno 20 litri d’acqua, mentre un mega-server consuma elettricità quanto l’intera città di Rovereto!).

Questo mondo colonialista e predatore ha i suoi centri in luoghi come il Trentino.
Si glorifica il Trentino come terra di opportunità, luogo di serenità e virtù. In realtà il Trentino è già una terra devastata dal culto del lavoro e del “benessere” materiale, e la sua trasformazione in “Silicon Valley italiana” non farà che completare l’opera. Da queste valli le e i giovani scappano, le anziane e gli anziani vi muoiono sole e soli. Le montagne che ci hanno protetto finora stanno per essere sventrate dal treno ad alta velocità, simbolo di un progresso che corre come una locomotiva impazzita. “Bisogna svilupparsi!”. Il ricorso al freno d’emergenza dell’etica e della ragione umana viene visto come un ostacolo.

Meglio affidarci alle macchine, quindi?
Noi vogliamo continuare ad avere il controllo dei nostri strumenti. Vogliamo poter sistemare la nostra bicicletta, senza componenti elettroniche irreparabili. Vogliamo dare l’acqua alle nostre piante, quella che serve, osservandole nelle sere d’estate, e non attraverso sensori che rimpiazzeranno le mani callose ed esperte.

Non siamo noi ad aver «paura dell’umano 2.0». È tutta questa organizzazione sociale – di cui “Wired” è uno dei vari megafoni – che teme l’essere umano in quanto incontrollabile, con le sue passioni, i suoi sogni, i suoi saperi, la sua autonomia e imprevedibilità – e che intende espellerlo e sostituirlo.

Odiosi nerd di “Wired”, hacker da giovani e transumanisti da vecchi, noi non siamo «tecno-scettici». Siamo semplicemente umani e umane. Non vi permetteremo di rimpiazzarci dopo averci atrofizzati. Speriamo ardentemente che i vostri server si inceppino, e che le vostre macchine rimangano senza corrente. I nostri spiriti e le nostre mani sapranno cosa fare.

Collettivo Terra e Libertà
terraeliberta@proton.me

PDF: Chi ha paura dell’umano?


Lettera d’addio

Siamo un gruppo di professori e ricercatori del Centro Interdipartimentale Mente e Cervello. Dopo aver passato anni a parlare con colleghi, studenti, dirigenti di impresa e rappresentanti politici, oggi abbiamo deciso di rivolgerci direttamente ai nostri concittadini. Non possiamo più tacere.

In un sussulto di umanità e di dignità, abbiamo preso coscienza che il nostro lavoro contribuisce a produrre uomini-macchina dentro una società-macchina. Le ricerche in scienze cognitive e in neurotecnologia – giustificate con la conoscenza dell’attività cerebrale e con la cura dei disturbi cognitivi – sono parte integrante di un sistema in cui l’informatica (in particolare l’Intelligenza Artificiale) si fonde con le biotecnologie e le nanotecnologie. Queste «tecnologie convergenti» basti vedere qui in Trentino la collaborazione tra CIMeC, Fondazione Bruno Kessler, Fondazione Mach e Cibio – tendono ad integrare in un’unica piattaforma universale gli algoritmi e l’ingegneria genetica, la robotica e i nanomateriali, la sensoristica e la biologia computazionale. Ridurre la società e l’intero vivente a un flusso di informazioni – tracciabili, sequenziabili e ricomponibili – è il sogno che la cibernetica rincorre fin dagli anni Cinquanta. Ora quel sogno ha i mezzi della propria potenza. Lo stesso sistema che fabbrica auto a guida autonoma – per la cui circolazione servono città disseminate di sensori, droni e di rete 5G – è in grado di «editare» geneticamente le piante (e gli embrioni), coltivare la terra senza contadini, produrre carne in laboratorio e «ibridare» le menti con i computer. Qualsiasi tentativo di correggerlo con qualche normativa o qualche commissione etica è ridicolo. Si può solo cambiare modo di vivere, di decidere, di coltivare, di abitare. Per questo abbiamo deciso di disertare il nostro lavoro di distruttori dell’umano per dedicarci alla panificazione, all’agricoltura, alla falegnameria, alla poesia. E invitiamo i nostri colleghi e le nostre colleghe a fare altrettanto.

Non è facile sapere quali sono le proverbiali gocce che fanno traboccare il vaso. Due cose ci hanno colpito in questi ultimi giorni – i giorni, per noi, della scelta. Aver letto sull’ultimo numero di «Nature Neuroscience» l’esperimento condotto da Alexander Huth, Jerry Tang e altri (ex) colleghi di Berkley e del Texas. Usando la risonanza magnetica funzionale – di cui anche noi ci siamo serviti – sono riusciti a ricostruire in modo piuttosto preciso i pensieri di un gruppo di volontari stimolati dalle conversazioni con un software di intelligenza artificiale (GPT-1, un precursore dell’ormai celebre ChatGPT). Ecco il commento dell’immancabile giornalista: «l’avanzamento di queste tecnologie potrebbe essere tale da rendere necessarie politiche di protezione della “privacy mentale”». L’altra cosa che ha contribuito a farci dire «Basta!» è aver saputo che al «Wired Next Fest» di Rovereto avrebbe parlato Francesca Rossi, «Global Leader per l’Etica dell’Intelligenza Artificiale» di IBM. Vogliamo ricordare qui, a proposito di etica, che è stata la collaborazione tra IBM e l’Ufficio Statisitica del Terzo Reich a rendere così performante la macchina dello sterminio nazista. IBM ha continuato a fornire le proprie innovative schede perforate e i propri lettori meccanografici anche quando sapeva che quei prototipi dei futuri computer servivano per l’individuazione degli ebrei e per l’organizzazione logistica dei lager. Se quello strumentario impallidisce di fronte all’attuale programma «Smart Planet» di IBM (l’odierno totalitarismo punta ad incarcerare tecnologicamente l’intera umanità, e a buttar via la chiave), è lecito pensare che la morale, oggi come ieri, resti nei guardaroba dei laboratori.

Non siamo certo dei rivoluzionari, ma da oggi i fabbricanti di schiavitù tecnologicamente equipaggiata non potranno più contare su di noi.

Rovereto, 6 maggio 2023

alcuni professori e ricercatori del CIMeC

PDF: Lettera d’addio

[Tratto da https://ilrovescio.info/2023/05/20/rovereto-una-domenica-tra-gli-umani-cablati/ e ripubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2023/05/21/rovereto-una-domenica-tra-gli-umani-cablati/]