L’insurrezione non è un hashtag

L’insurrezione non è un hashtag

Volantino distribuito a Spoleto all’esterno alla Sala Pegasus, dove è stato proiettato il film “E tu come stai?” sulla lotta alla GKN, un evento all’interno della kermesse “visioni d’autore” al quale hanno partecipato i registi e un operaio del collettivo di fabbrica.

L’INSURREZIONE NON È UN HASHTAG

REPRESSIONE E CRISI ECONOMICA SONO DUE LATI DELLA STESSA MEDAGLIA.
OCCORRE UNA RISPOSTA ALL’ALTEZZA DELL’ATTACCO DI STATO E PADRONI.
CON ALFREDO COSPITO E LE PRATICHE DI CUI È ACCUSATO.

La gestione autoritaria della pandemia, la dinamica speculativa della cosiddetta ripartenza, l’esplosione della guerra in Ucraina fra Russia e NATO, stanno affondando le condizioni di vita di milioni di sfruttati anche in Italia. Tutto questo accade nel mentre i profitti dei colossi industriali dell’energia (ENI + 300%) e delle armi (Leonardo + 70%) volano alle stelle. L’arroganza dei padroni non conosce freni: aumentano i morti sul lavoro, si moltiplicano le aggressioni, spesso coordinate, di polizia e squadracce di picchiatori contro gli scioperanti, i sindacalisti finiscono ammazzati durante i picchetti. Occorre una risposta all’altezza del loro attacco.

Se di fronte alla crisi, alla ristrutturazione della produzione in corso, alla guerra e al carovita è necessaria la ripresa dello scontro di classe, dobbiamo essere consapevoli che affrontare la repressione sarà una componente inevitabile delle nostre lotte. La cronaca giudiziaria degli ultimi anni ci parla dell’uso sempre più massiccio di reati associativi contro l’antagonismo sociale, di inchieste fantasiose dove gli scioperanti vengono accusati di “estorsione” perché chiedono con una lotta radicale degli aumenti salariali, di manganellate contro studenti e disoccupati. D’altronde la nuova era è stata inaugurata col massacro nelle carceri del marzo 2020 e con la reclusione di massa ordinata dai comitati di salute pubblica (salvo che per andare a lavorare!).

Il movimento anarchico sta subendo il peso maggiore della repressione, anche perché non ha mai disarmato le ragioni dell’offensiva. Decine di misure di polizia come fogli di via e sorveglianze speciali per allontanare le compagne e i compagni dalle lotte, i sequestri di libri e giornali, la reintroduzione di fatto del reato di propaganda sovversiva sotto le mentite spoglie di un uso sempre più estensivo dell’accusa di istigazione a delinquere. Un’escalation che ha raggiunto il parossismo nell’ultimo anno. Abbiamo avuto la condanna  in primo grado di Juan Sorroche a 28 anni, accusato di un attacco esplosivo contro una sede della Lega a Villorba (Treviso), a memoria la condanna più pesante mai comminata per un’azione rivoluzionaria di questo tipo. Abbiamo avuto la sentenza di Cassazione del processo Scripta Manent, dove Alfredo Cospito e Anna Beniamino hanno visto la riqualificazione in strage politica di un attacco esplosivo contro una caserma dei Carabinieri nel 2006 a Fossano (Cuneo), con la prospettiva concreta dell’ergastolo ostativo. Infine il trasferimento di Alfredo in 41 bis, vero e proprio regime di tortura e annientamento, teso a impedire al compagno ogni comunicazione con l’esterno. Per denunciare gli abomini dell’ergastolo ostativo e del 41 bis, Alfredo è entrato in sciopero della fame fino al suo ultimo respiro lo scorso 20 ottobre. Dopo 100 giorni di sciopero della fame il silenzio dello Stato equivale a una condanna a morte.

In un appello lanciato da membri del Collettivo di Fabbrica – GKN si afferma che “il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori deve sommarsi alla richiesta di revoca immediata del 41 bis ad Alfredo Cospito”. Comprendere l’importanza della lotta contro la repressione all’interno delle lotte degli sfruttati è sicuramente segno di maturazione della coscienza di classe. Questo però non può avvenire nella rimozione di quella che è l’identità del nostro compagno. Alfredo non è vittima di un errore giudiziario, di una misura spropositata o incostituzionale, ma l’oggetto di una rappresaglia.

Se la parola insorgiamo – usata come titolo della fortunata campagna di solidarietà che il Collettivo di Fabbrica della GKN ha costruito intorno a sé – ha qualche significato, oggi vogliamo ricordarvi che c’è qualcuno che le pratiche insurrezionali le ha portate avanti davvero in questo Paese e non in un lontano passato, ma proprio in questi anni.

anarchici e anarchiche

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[Ricevuto via e-mail e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2023/01/26/linsurrezione-non-e-un-hashtag/]