Un breve aggiornamento su Zac e un testo distribuito in alcune iniziative

Un breve aggiornamento su Zac e un testo distribuito in alcune iniziative

Breve aggiornamento su Zac

Il tribunale di sorveglianza di Napoli, su richiesta firmata dal questore di Napoli Maurizio Agricola, ha disposto l’applicazione della sorveglianza speciale per Zac di due anni e sei mesi con le seguenti restrizioni: di non allontanarsi dall’abitazione senza preventivo avviso dell’autorità di sorveglianza, di non uscire prima delle 7 e non rientrare dopo le 20, di non associarsi “abitualmente” a persone condannate o preposte a misura di prevenzione o sicurezza, di non accedere a esercizi pubblici e di pubblico trattenimento, vivere onestamente rispettando le leggi, non detenere né portare armi, darsi alla ricerca di un lavoro, non partecipare a pubbliche riunioni, di portare sempre con sé la carta di permanenza, di presentarsi ogni domenica, o comunque a ogni invito, all’autorità preposta alla sorveglianza. A ciò si aggiunga una cauzione di 3000.00 euro da versare come garanzia, ma frazionabile in cinque comode rate.

È stato fatto ricorso. La misura sarà eseguita non appena Zac uscirà dal carcere, a prescindere dall’esito del processo per 280 bis e 270 quinques, che intanto continua con udienze calendarizzate per ora fino alla fine di febbraio (9 gennaio, 31 gennaio, 12 febbraio e 21 febbraio). Seguiranno aggiornamenti e riflessioni più approfondite.

Per scrivere a Zac:

Marco Marino
C. C. di Terni
strada delle Campore 32
05100 Terni

Sorvegliati sempre, vigilati mai.

ZAC LIBERO!

Di seguito un testo distribuito in alcune iniziative.

CONTRO LO STATO CHE REPRIME E FA LA GUERRA… RADICALIZZARSI È NECESSARIO

Solidali con Zac, a tuttx lx prigionierx e oppressx della terra

“Radicalizzazione” nell’uso comune che ne è fatto dallo Stato, dalle scuole e dal diritto è un termine diventato ormai sinonimo di “follia”, “pericolosità”, “cieco fanatismo”, che il mondo dei media o della televisione rappresenta con persone urlanti, inneggianti un dio, in preda a delìri o a persone con lo sguardo vitreo che da dietro le sbarre idolatrano un capo o un’ideologia.

Ma il significato di radicale è tutt’altro, profondo come le radici di un albero avvinghiate ai bassifondi terreni.

Radicalizzarci, che significa prima di tutto riuscire a farsi una coscienza più ampia sulle cose, è rimasto il nostro unico spiraglio, in un mondo che ci ha tolto tutto o quasi e di fronte a uno Stato che ormai ha il potere di dire tutto il contrario della realtà, come se nulla fosse.

Ad esempio, proprio mentre è in atto l’estremo apice della barbarie colonialista occidentale, con l’occupazione israeliana della Palestina e il genocidio del popolo palestinese, il ministro Piantedosi ha la faccia tosta di affermare serenamente su tutte le reti televisive che in questo momento è sotto attacco il diritto dello Stato di Israele a esistere e che l’Italia deve difendere questo diritto.

Ancora, in scala più piccola, mentre affama e devasta i territori del sud Italia, criminalizza i ragazzi di 14 anni dei quartieri che non vanno a scuola e fanno lavori illegali per contribuire al mantenimento delle famiglie. E infine, mentre si macchia delle peggiori stragi nel mare, nelle carceri, nelle guerre a cui prende parte, accusa di stragismo gli anarchici.

Repressione della coscienza, repressione su larga scala

Le ultime svolte repressive puntano sempre di più a prevenire la possibilità che ci si possa rendere coscienti delle cause e dei responsabili del proprio malessere; puntano a spaventare con pene esemplari o dissuasive chi, prendendo coscienza, agisce e lotta contro stato e padroni; puntano, infine, a rappresentare come un fanatico chi persevera nella sua ostilità allo stato delle cose.

Così, i contatti tra la popolazione reclusa (fatta perlopiù di proletari e migranti) e l’esterno viene impedita laddove portatrice di sostegno agli atti di ribellione, di pensiero critico e radicale, di informazioni. Infatti, se già prima ogni intervento al megafono, volantino o opuscolo era punito con istigazione a delinquere, ora con il nuovo pacchetto sicurezza vorrebbero introdurre uno specifico reato di rivolta per chi si ribella dentro le mura e il corrispettivo reato di istigazione alla rivolta per chi dall’esterno rivolge scritti ai detenuti. Così, fuori nella società, mentre nelle scuole e università si diffondono e finanziano progetti di “prevenzione alla radicalizzazione” tra gli studenti, tenuti da forze dell’ordine e magistrati manettari, così con il decreto Caivano per i giovani ragazzi dei quartieri e delle periferie, rappresentati come pericolosi nuclei di violenza organizzata in versione adolescente, la soluzione è il carcere o l’isolamento punitivo dentro casa.

Con i decreti in approvazione a fine anno, chi per necessità di un tetto sopra la testa, espulso da orde di turisti statunitensi o nordeuropei che conquistano il centro storico a botte di bnb e ‘rbnb, occupa un appartamento o una casa sarà più duramente punito, salvo che non decida di collaborare al momento dello sgombero, così da spegnere ogni forma di conflittualità e incentivare invece la logica collaborazionista. Per disoccupati e lavoratori che scendono in strada contro lo sfruttamento dei padroni e la mancanza di un salario sono previste pene più alte per i blocchi stradali.

Infine (si fa per dire!) chi continua a difendere le proprie pratiche e pensiero contro lo Stato è per forza terrorista, di cui l’equazione anarchico/radicale=terrorista non rappresenta che l’apice, in un sistema repressivo già molto avanzato per chiunque agisca secondo coscienza.

I soliti anarchici. A chi dovrebbero interessare le vicende di questi terroristi?

Se ci siamo accomodati sull’idea che tanto la repressione antimafia riguarda i “mafiosi” e quella antiterrorismo riguarda anarchici e jihadisti, siamo perduti per due ragioni.

La prima, è che vorrebbe dire che ci stiamo fidando dello stato e dei significati e delle etichette che dà a persone, pensieri e azioni, che la totale delega di noi stessi è compiuta.

La seconda è che se la repressione delle minoranze conflittuali non diventa interesse di tutti, lo Stato avrà sempre più gioco facile nell’estendere repressione a pratiche e realtà anche meno conflittuali, così come a ogni aspetto della vita di ciascuno, dal guadagnarsi il pane illegalmente al difendersi da uno sfratto e così via. E a chi pensa che il calcolo preventivo di come evitare la repressione possa servire a escluderla, forse la risposta è che questo sia utile soltanto all’arretramento delle lotte.

Guardandola più da vicino.

L’equazione anarchici/terroristi ha origini risalenti nel tempo, ma soltanto negli ultimi 3 anni post-pandemici si è arrivati per la prima volta nella storia a condannare degli anarchici per “strage politica” e associazione con finalità di terrorismo, a mettere il primo anarchico al 41bis, ad accusare per la prima volta un compagno di autoaddestramento, reato che fu introdotto dalla normativa contro il cosiddetto terrorismo islamico. Le inchieste antianarchiche si susseguono per ogni azione o parola espressa in solidarietà a prigionierx di tutto il mondo, il giudizio di essere socialmente pericolosx verso la popolazione tutta (nonostante a essere colpite siano personalità e strutture dello Stato con ben precise responsabilità) e la repressione a titolo preventivo, cioè prima che si sia materializzata una qualche azione offensiva, è oramai la normalità. Sulla base del “curriculum” militante, si incasella l’anarchico secondo un profilo più simile al boss mafioso o al kamikaze. Arriverà un punto, dove dire “anarchico” sarà sufficiente nella società ad affermare “pericoloso”, cosa che con la censura in atto alla stampa anarchica già si sta verificando.

Solidali con Zac sotto processo, contro le galere

A marzo di quest’anno arrestano il compagno anarchico Zac, mentre Alfredo era ancora in sciopero della fame contro ergastolo e 41bis. Lo accusano, con i reati di attentato con la finalità di terrorismo e autoaddestramento, di aver lanciato un ordigno fuori al consolato greco nel 2021, che il teorema accusatorio ricollegherebbe alla campagna di solidarietà con Dimitris Koufoundinas, prigioniero all’epoca in sciopero della fame nelle carceri greche. Visto che lo Stato ce ne dà l’occasione con questo processo, ricordiamo che lo sciopero della fame che Koufoundinas stava portando avanti nelle carceri greche era la sua lotta contro una riforma penitenziaria epocale in Grecia, che avrebbe istituito la massima sicurezza per i detenuti politici. E ricordiamo anche che questo avveniva mentre contemporaneamente lo stato greco istituiva la polizia dentro le università per reprimere dai suoi primi afflati, ogni cenno di ribellione, in una situazione di ampio fermento contro le riforme carcerarie ed educative, e nel contesto della repressione sociale e politica scaturita dal lockdown e le altre misure anti-pandemiche. L’anno successivo, la svolta epocale arriva in Italia, quando Alfredo è portato in 41bis, dove ancora oggi, più di un anno e mezzo dopo e pur dopo uno sciopero della fame con cui ha messo a repentaglio la sua vita, si trova rinchiuso. A Zac, viene contestato per la prima volta nella storia della repressione antianarchica il reato di autoaddestramento, all’art. 270-quinquies c.p. che si inserisce nel quadro normativo del decreto Pisanu nel 2005, poi modificato nel 2015, nella cornice della legislazione antiterrorismo cosiddetto islamico, introdotta all’indomani dell’11 settembre e dei successivi attentati di matrice islamica di Londra e Madrid. Questo reato doveva essere utile a colpire quelli che sono stati definiti semplicisticamente e opportunisticamente “lupi solitari”, chi si radicalizza da solo, ad avere insomma nuovi strumenti per colpire ogni “terrorista” senza ricorrere all’impianto associativo. Fino a questo momento, questa accusa è stata utilizzata solo nei confronti dei cosiddetti terroristi islamici, persone finite in cella per il solo fatto di aver scritto un post su facebook. Nei decreti sicurezza di prossima introduzione, si prevede l’inserimento del reato di “detenzione di materiale con finalità di terrorismo”: in parole povere, uno stesso materiale letto da una persona qualunque e letto da un anarchico, diventa reato nel secondo caso. Riuscirà willy il coyote (proprio il cartone animato) guardato da un anarchico, a sfuggire alla finalità di terrorismo?

Queste considerazioni non fanno che rafforzare quello già visto fino a qui con tutte le ultime operazioni, cioè che la principale ragione per processare e rinchiudere questo compagno è il fatto che sia anarchico; è la solidarietà ai detenuti che protestavano nelle galere nel 2020, mentre lo stato li massacrava compiendo una strage di 14 persone, e ad Alfredo, mentre portava avanti uno sciopero della fame durato oltre 6 mesi contro il 41bis. Se lo accusano di solidarietà con i prigionieri in lotta e contro i potenti del mondo, non possiamo che trovarci ancor di più al suo fianco.

[Ricevuto via e-mail e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2024/01/08/un-breve-aggiornamento-su-zac-e-un-testo-distribuito-in-alcune-iniziative/]