Lo Stato condanna Juan a ventotto anni di carcere

Lo Stato condanna Juan a ventotto anni di carcere

Il 9 luglio il nostro amico e compagno Juan è stato condannato in primo grado a 28 anni di reclusione, e successivi tre anni di libertà controllata, per l’accusa di 280 (attentato con finalità di terrorismo) per l’attacco esplosivo che nel 2018 ha danneggiato la sede della Lega di Treviso. Una condanna evidentemente già scritta, che recepisce interamente le richieste del PM nonostante la ricostruzione dell’accusa sia stata puntualmente smentita nel corso del dibattimento (in particolare per quanto riguarda la presunta “prova” del DNA), e sfacciatamente finalizzata a seppellire vivo Juan sotto decenni di carcere, anche in assenza dell’imputazione per strage, ritirata dallo stesso PM durante la requisitoria. Juan si trova recluso da ormai tre anni nella sezione di Alta Sicurezza del carcere di Terni, da cui ha sempre continuato a far sentire la propria voce all’interno del dibattito anarchico, con scritti, contributi ad assemblee ed iniziative, scioperi della fame in solidarietà con altri prigionieri, e rivendicando, anche nel processo di Treviso, il proprio anarchismo e il proprio sostegno alle pratiche di attacco e di azione diretta. Al momento del suo arresto doveva scontare un cumulo di pene di 8 anni, e attualmente, dopo l’archiviazione del procedimento che lo vedeva indagato per 280 bis per l’azione contro la scuola di polizia POLGAI di Brescia, è imputato per un’ulteriore accusa di 280bis per un attacco risalente al 2014 contro il tribunale di sorveglianza di Trento. Nello stesso procedimento altri due compagni sono accusati di aver favorito la latitanza di Juan negli anni precedenti il suo arresto e un terzo compagno, Massimo, si trova in custodia cautelare ai domiciliari con l’accusa di estorsione per il tentativo di far leggere durante una trasmissione radiofonica un testo sulla strage nelle carceri del marzo 2020. È evidente che la sproporzione delle accuse (strage e terrorismo, per Juan, estorsione per Massimo) rispetto a quanto materialmente accaduto non è l’azzardo di qualche PM affetto da manie di grandezza, ma una scelta finalizzata a levare dalla circolazione, per un periodo di tempo indefinito (nel caso di Juan sostanzialmente a vita) compagni con cui da decenni lo Stato voleva farla finita, per il loro contributo alle lotte e perché determinati a fare dell’anarchismo una forza viva e pericolosa per il potere, lontani da ogni pacificazione e da ogni rinuncia sulle proprie idee e le proprie pratiche, convinti che il momento di agire sia qui e ora e che la prospettiva rivoluzionaria non sia un sogno da rinviare ad un futuro indefinito ma un tentativo concreto da mettere in atto nel presente.

Lo stesso trattamento sta venendo riservato ad Alfredo e Anna, imputati nell’operazione Scripta Manent: non solo Alfredo è stato trasferito in regime di 41 bis (isolamento totale, definito come forma di tortura persino da istituzioni non certo rivoluzionarie come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), ma la corte di cassazione ha ridefinito una precedente condanna per strage in “strage politica”, che prevede come pena base l’ergastolo. Nello stesso processo alcuni compagni hanno ricevuto condanne fino a due anni e mezzo con l’accusa di istigazione a delinquere per la redazione di giornali e siti: al tentativo di farla finita con le pratiche di attacco si affianca quello di zittire la propaganda; anche il trasferimento di Alfredo in 41 bis può essere interpretato, fra l’altro, come finalizzato a interrompere il contributo di scritti, libri, interviste, corrispondenza che il compagno ha sempre continuato a far uscire dal carcere.

Dietro condanne che non trovano precedenti degli ultimi decenni di storia del movimento anarchico si cela un piano complessivo definito esplicitamente a partire dall’istituzione della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo: oltre ad estendere l’uso del 41 bis, chiudere la partita con un’area, quella anarchica, che, al di là della forza effettiva, non si è mai prestata a compromessi o ravvedimenti, e che decenni di inchieste per 270 bis (associazione con finalità di terrorismo) o per associazione a delinquere non sono riusciti a disarticolare: le operazioni per reati associativi continuano ad essere prodotte a ciclo continuo (solo negli ultimi anni: Bialystok, Sibilla, Panico, Lince, Scripta Manent, Prometeo, Diamante, Scintilla, Renata, Ritrovo…) e comportano lunghi periodi di custodia cautelare, ma raramente arrivano a condanna, proprio perché la strutturazione rigida prevista dalla definizione dei reati associativi mal si adatta all’informalità e all’orizzontalità dei rapporti di affinità tra compagni anarchici. Meglio allora, per farla finita con quei compagni che, nonostante tutto, ancora si ostinano a parlare di conflitto, di insurrezione, di rivoluzione (e agiscono di conseguenza), usare imputazioni che prevedono pene smisurate: garanzia che un pugno di sovversivi per alcuni decenni non vedrà la luce del sole, monito per chi, rimasto a piede libero, intendesse continuare sulla strada della lotta e dell’attacco, prevenzione del “contagio” anarchico tra gli sfruttati (chi ti si avvicina più se le pratiche che hai sempre rivendicato comportano l’ergastolo?).

Il tentativo di farla finita con l’anarchismo rivoluzionario e conflittuale non è una trovata tutta italiana, ma piuttosto una tendenza europea, viste le numerose inchieste e detenzioni che vedono coinvolti compagni anarchici in Inghilterra, Francia, Germania, Grecia, ed è evidente che l’attacco verso gli anarchici non può essere compreso se non nel contesto di emergenza permanente e di guerra dispiegata in cui siamo immersi da ormai due anni. Anni di rafforzamento dello Stato, della sua presa sul territorio e del suo controllo sulla popolazione, di aumento dei poteri della polizia e dell’uso dell’esercito sul fronte interno, di sperimentazione di zone rosse, lasciapassare verdi e divieti di manifestare, di dura repressione di piazza (dalle cariche contro chi protestava contro il green pass alle misure cautelari verso gli studenti scesi in piazza dopo le morti in alternanza scuola-lavoro) e sui posti di lavoro, di aumento del controllo tecnologico e dei prezzi dei beni essenziali, sull’orlo di una crisi economica e di un generale impoverimento le cui conseguenze, anche in termini di conflittualità, sono difficilmente immaginabili, ma rispetto alle quali lo Stato sta già preparando le proprie contromisure, e in cui gli anarchici potrebbero avere qualcosa da dire, e la possibilità di incontrare la rabbia di altri sfruttati e impoveriti. Meglio allora rinchiuderli e buttare via la chiave: saranno anche pochi e disorganizzati, ma non c’è altro modo di levarli di mezzo.

Quanto all’accusa di terrorismo, non abbiamo molto di più da dire di ciò che ha già detto Juan nella sua dichiarazione al tribunale di Treviso: la violenza rivoluzionaria sa scegliere i propri obiettivi, la violenza indiscriminata appartiene allo Stato, che, proprio nei mesi in cui veniva attaccata la sede della Lega, causava migliaia di morti nel Mediterraneo e alle frontiere, che inaugurava la gestione terroristica dell’epidemia con una vera e propria strage di Stato (14 morti) nelle carceri.

Il dolore e la rabbia causati dal sapere un nostro compagno colpito da una condanna ad una pena di cui non riusciamo a intravedere la fine non fanno che rafforzare le nostre convinzioni: continueremo sulla strada della lotta, della conflittualità permanente, dell’azione diretta. Come sempre, ma da oggi con un motivo in più. Per l’ennesima volta lo Stato ha fatto male i propri conti.

SOLIDARIETÀ CON JUAN
SOLIDARIETÀ CON ANNA, ALFREDO E GLI IMPUTATI DELL’OPERAZIONE SCRIPTA MANENT
LIBERTÀ PER TUTTI
TERRORISTA È LO STATO

anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

[Tratto da: https://ilrovescio.info/2022/07/15/lo-stato-condanna-juan-a-ventotto-anni-di-carcere/]