La vergogna di Ambra, il nostro orgoglio
Note a margine dell’operazione City
La mattina del 22 aprile è una di quelle mattine che spesso ci capitano di vivere da anarchici. La brutta notizia di una nuova inchiesta della DIGOS di Torino sembra di una certa ampiezza: ci sono compagni ai domiciliari e molte altre misure cautelari. Le solite preoccupazioni, l’ansia per le persone a cui si vuole bene, il moto di vicinanza per quanti sono coinvolti. La ricerca di informazioni: circola nei mass-media un comunicato della questura in cui si parla di diciotto misure cautelari (obbligo di dimora, obbligo di firma e un divieto di dimora), tra cui due compagni agli arresti domiciliari.
Alle 11:00 comincia l’attesa conferenza stampa del capo della DIGOS torinese, Carlo Ambra. La platea di giornalisti è più che altro una claque: nessuna domanda, tanto meno scomoda. Ambra si mette in posa con uno “scudo” sottratto ai manifestanti, foto e sorrisi. Anche qui, si ripetono le cifre: diciotto misure cautelari complessive, due arresti domiciliari.
L’inchiesta verte intorno alla manifestazione del 4 marzo 2023 a Torino, quando centinaia di anarchici e solidali erano scesi in piazza con l’animo colmo di rabbia perché si stava arrivando irrimediabilmente verso la menomazione permanente o una probabile morte di Alfredo Cospito, da quasi cinque mesi in sciopero della fame a oltranza contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Una giornata di lotta da rivendicare collettivamente, nella sua complessità, nella scelta coraggiosa di chi se ne è assunto l’indizione, nelle singole pratiche, nessuna esclusa, che si sono espresse.
Ai compagni coinvolti – accusati di devastazione, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, con varie circostanze aggravanti – va tutta la nostra solidarietà. Non ci interessa conoscere dettagli o presunte, o piuttosto pretestuose, responsabilità. Erano i giorni in cui era atteso il responso del Comitato Nazionale di Bioetica sull’alimentazione forzata, i giorni in cui le contraddizioni sviluppatesi nell’organismo statale andavano sempre più acuendosi. Lo Stato italiano, rotta da oltre due mesi la coltre di silenzio attorno allo sciopero della fame, stava apertamente sostenendo l’annientamento fisico di un rivoluzionario in 41 bis. Il minimo che potessimo fare era portare nelle strade la nostra rabbia. Semmai di quei frenetici mesi ricordiamo la frustrazione di non riuscire a fare ancora di più. Un sentimento con cui convivevamo quotidianamente.
Per un’interpretazione dell’inchiesta nel suo complesso lasciamo la parola ai compagni coinvolti e a chi gli è più vicino. Vorremmo qui soffermarci su un aspetto in particolare.
Incredibilmente infatti, il comunicato e successivamente la stessa conferenza stampa per una volta ridimensionano al ribasso l’esito dell’inchiesta in termini di misure cautelari. I compagni coinvolti nelle misure non sono diciotto, bensì diciannove; quelli ai domiciliari non sono due, ma tre.
Tra coloro che sono finiti agli arresti domiciliari c’è il nostro amico e compagno Lello Valitutti, indagato per concorso in devastazione, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e istigazione a delinquere, quest’ultimo reato in riferimento ad alcuni interventi risalenti al periodo antecedente la manifestazione. Non si tratta né di “personalizzare” la vicenda né di fare del vittimismo su una singola figura. Ci preme, semplicemente, mettere il dito nella piaga. Perché, se per qualche ora Ambra e compari hanno cercato di nascondere l’arresto di Lello, evidentemente si vergognavano di qualcosa. Ancora durante la conferenza stampa: “chi sono quelli finiti agli arresti domiciliari?” chiede un pennivendolo. E Ambra risponde: “due capi dell’anarchia di Torino”. Fermo restando che anarchia e movimento anarchico sono due cose distinte e che gli anarchici non hanno capi, ciò che rileva evidenziare qui è che Lello notoriamente vive in un’altra località.
Di cosa si vergogna il dottor Ambra? Forse si vergogna di un fiasco operativo, laddove a fronte della difficoltà o dell’impossibilità a “scovare” delle responsabilità materiali ha dovuto limitarsi a ricorrere al collante del concorso morale in devastazione, perseguendo particolarmente quanti hanno preso la parola prima o durante la manifestazione o secondo l’ipotesi accusatoria avrebbero sostenuto la realizzazione della stessa. O forse, più probabilmente, la sua vergogna ha radici più profonde, non dimenticando il ruolo svolto dalla DIGOS di Torino, che tra l’altro ha pure contribuito a portare Lello a processo nell’ambito del procedimento Scripta Manent – dove sono stati imputati una ventina di compagni, tra cui Alfredo Cospito – e nel quale Lello è stato condannato a due anni di reclusione in relazione alla pubblicazione dell’ultima edizione di “Croce Nera Anarchica”.
La lotta di Alfredo Cospito e il movimento di solidarietà internazionale che si è sviluppato in suo sostegno sono riusciti ad aprire delle contraddizioni irrisolvibili in seno allo Stato italiano. Con la decisione di trasferire, per la prima volta da quando questo infame strumento di isolamento e tortura è stato ideato, un anarchico in 41 bis, lo Stato ha dato una svolta decisiva nelle politiche repressive e di guerra in questo Paese. La lotta di Alfredo e il movimento di solidarietà da un lato esaltavano le contraddizioni di questa accelerazione autoritaria e, dall’altro, si collocavano su un terreno irrecuperabile, rimanendo tutt’oggi come uno dei più seri elementi di turbamento della pace sociale in questo Paese nel recente passato. L’identità del compagno, la sua storia, il suo atteggiamento e le iniziative messe in campo dal movimento di solidarietà, soprattutto le azioni dirette avvenute in tutto il mondo, non hanno lasciato margini di manovra politica, di soluzione politica a quel momento di crisi.
Espressione di queste contraddizioni sono state le scelte in ordine sparso degli alti vertici dello Stato sulla vicenda, specialmente di alcuni organi giuridici e giudiziari. Il passo indietro della DNAA che – dopo aver sostenuto il trasferimento in 41 bis – si è detta favorevole a una declassificazione, gli analoghi pareri discordanti del comando del ROS e (più recentemente) della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, il parere anch’esso favorevole alla revoca del 41 bis da parte del procuratore generale della Cassazione in vista dell’udienza del 24 febbraio dello scorso anno, sono stati tutti espressione di queste contraddizioni. Infine, in maniera detonante, la vicenda Delmastro. Un sottosegretario al ministero della giustizia che prima ordina il cambio di sezione di Alfredo all’interno del carcere di Bancali, poi utilizza alcuni colloqui spiati dagli agenti (nemmeno intercettati, ma trascritti a penna) per montare un caso su un’inesistente e oltremodo inconcepibile relazione tra anarchici e mafiosi, finisce infine sotto processo egli stesso per l’uso inopportuno di questi materiali riservati e per l’abuso del suo ruolo al ministero.
Forse la DIGOS e la procura di Torino, avendo delle responsabilità precise in questo pasticcio (tra l’altro essendo i principali artefici del processo Scripta Manent), si vergognano di tutto questo. Forse la statura di Lello creava loro qualche imbarazzo. Forse le sue parole – in un’epoca nella quale gli anarchici vengono sempre più inquisiti e arrestati per aver pubblicato libri e giornali – hanno arrecato un certo fastidio. Se Alfredo dovesse morire, i responsabili la pagheranno. Non è una minaccia, è la storia del movimento anarchico che ce lo insegna. Gli anarchici a un certo punto dimenticano rapporti di forze e opportunismo politico, e decidono di fare giustizia. Sono questi alcuni concetti che, più o meno, gli sono stati più volte attribuiti. Se fare due più due è un reato, dovrebbero arrestare tutti i matematici.
Una cosa la sappiamo per certa. Laddove finisce la vergogna di Ambra, è lì che comincia il nostro orgoglio.
8 maggio 2024
due compagni
PDF: La vergogna di Ambra, il nostro orgoglio. Note a margine dell’operazione City
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