FUORILEGGE: Contributi dalle carceri, materiali vari e un racconto su una due giorni di discussione tra fuori e dentro il carcere

FUORILEGGE: Contributi dalle carceri, materiali vari e un racconto su una due giorni di discussione tra fuori e dentro il carcere

(Da questa iniziativa è nato il sito presospolitico.noblogs.org dove sono raccolte le lettere, quelle con permesso di pubblicazione, arrivate dalle carceri e le trascrizioni degli interventi, in aggiornamento)

Lo scorso 23 e 24 maggio, presso alcuni spazi occupati per l’occasione all’interno dell’Università di Pisa si è tenuta “fuorilegge” un’iniziativa di racconto e confronto sulle lotte all’interno delle carceri in varie parti del mondo, con alcune delle esperienze di lotta contro il carcere tra le più importanti tra quelle portate avanti all’interno del mondo anarchico per il ritorno in strada di quelle identità irriducibili, rivoluzionarie, insurrezionali e fuorilegge.

L’iniziativa ha visto nella prima giornata una discussione a partire dalla traduzione italiana di Kamina Libre1 – giunta alla sua seconda ristampa aggiornata con alcuni contributi sull’importanza della memoria viva – come contributo alla campagna di solidarietà per la libertà di Marcelo Villarroel e l’annullamento delle condanne della giustizia militare di Pinochet a suo carico. La presenza di un compagno cileno e alcuni video arrivati dal Cile, ci hanno dato modo di analizzare la storia e il lascito, nel movimento anarchico cileno e non solo, delle esperienze di Kamina Libre. Questo collettivo era caratterizzato da un agire intransigente nel CAS (carcere di alta sicurezza), dalla necessità di uscire dalle regole e rompere l’annichilimento a qualsiasi costo tramite uno scontro permanente sia all’interno che all’esterno del carcere. Questa connessione, tra il dentro e fuori, è imprescindibile per poter rendere una lotta dentro, non una mera discussione giuridica o tanto meno un esercizio di radicalismo, ma una lotta con l’obiettivo del ritorno in strada dei compagni, non per un ideale astratto di libertà, ma per poter continuare a lottare in una prospettiva insurrezionale e distruggere la società di cui il carcere è lo specchio. Con questo compagno abbiamo anche potuto dibattere su ciò che è stato il movimento dei prigionieri politici della rivolta del 2019 in Cile, e di come la “memoria negra”, se mantenuta viva, tenga i compagni e le compagne che non sono più al nostro fianco, perché in prigione o morti in azioni, vivi e quotidianamente presenti nelle lotte e nelle strade, cercando di non rendere queste figure martiri o eroi. A questa discussione hanno contribuito anche delle lettere inviateci dalle carceri. Alcune lette all’interno dell’iniziativa, come quelle di Marcelo Villarroel2, Francisco Solar3 e Juan Sorroche4, ed altre arrivate non in tempo, che si possono trovare nella sezione della pagina5. Questi prigionieri anarchici, dalla conoscenza e lettura di Kamina Libre, hanno condiviso le loro riflessioni e domande su come oggi si possa lottare da dentro e da fuori e non relegare la lotta anticarceraria all’ambito tecnico, giuridico, assistenzialista o vittimistico, nonostante le condizioni interne siano oggi differenti, anche per la popolazione carceraria. A questo dibattito è intervenuto,- anche se obbligato da malevoli mezzi tecnologici – il compagno anarchico Gabriel Pombo da Silva6 che da poco è nuovamente in libertà, dopo aver passato oltre 20 anni tra le carceri di Spagna e Germania, sempre combattendo dentro al carcere con dignità e senza vendersi al nemico, e che decise, insieme alla compagna anarchica Elisa, di annunciare il loro passaggio alla clandestinità così: “Siamo un clan nomade che va di paese in paese alla ricerca di complici che praticano l’anarchismo…che disturba i servitori dello Stato…abbiamo deciso di vivere nell’ombra”.

Non è stata una ricostruzione di una realtà a sé stante, perché “il ricordo è sventura se visto come coerenza senza pietà”. È stata una discussione senza un punto di arrivo predeterminato, un confronto che prendeva spunto dalle esperienze, dalle sollecitazioni e dai racconti. Domandarci oggi come lottare tra dentro e fuori le mura delle prigioni nasce dalla convinzione che il carcere è parte integrante e fondamentale dei meccanismi di oppressione e sfruttamento. L’esperienza della carcerazione in questa società può diventare un’esperienza comune per ogni individuo, una dimensione altamente probabile all’interno di una vita dalla cui miseria non vi è alcuna via di uscita se non tentando la via dell’illegalità, rischiando quindi di passare per “l’imprevisto della prigione”: questa sofferenza senza assoluzioni può portare tanto all’autodistruzione quanto alla strada della rivolta per chi non ha da perdere altro che le proprie catene. Per questo affilare le armi è nostro compito! Durante questa due giorni è stato anche letto e distribuito un contributo arrivato da un compagno, Paolo7, rinchiuso ad Uta e in sciopero della fame contro le condizioni detentive a cui sono sottoposti quotidianamente tutti i prigionieri di quel carcere, che raccontava la sua storia di fuorilegge, come negli anni ha visto cambiare la popolazione carceraria e dei tentativi di costruire una lotta da dentro.

Il giorno successivo, attraverso lo spunto che veniva dai racconti delle fughe più spettacolari raccolte e riedite in “Adiós prisión”è stato invece un momento per poter ascoltare le parole della compagna Pola Roupa, appartenente all’organizzazione Lotta Rivoluzionaria (Επαναστατικός Αγώνας )attiva in Grecia dal 2003 al 2017, che ha avuto la pazienza e la disponibilità nel narrare la sua esperienza. Partendo dal periodo di attività di questo gruppo, ha raccontato qual è per lei il significato e il motivo della latitanza e le problematiche che ha incontrato durante il tentativo di far evadere, sequestrando un elicottero, il compagno Nikos Maziotis e altri prigionieri. Il racconto, emotivamente coinvolgente, ha anche evidenziato come, alcune azioni, anche quelle per la liberazione totale, si scontrano con dei grandissimi limiti se non vi è una concreta solidarietà esterna. Un contributo scritto è arrivato anche dal carcere di massima sicurezza di Domokos da Nikos Maziotis8, che ha evidenziato il rapporto tra solidarietà, guerriglia e lotta insurrezionale tra i rivoluzionari e il movimento anarchico/antiautoritario dal 2010 ad oggi.

Questa discussione ha avuto anche la partecipazione (sempre tramite gli odiosi mezzi tecnologici) di un compagno anarchico9, che da oltre un ventennio è parte di quelle lotte contro il carcere e la società che ne ha bisogno, proveniente dal territorio occupato dallo Stato del Messico.

Con lui si è potuto avere un racconto diretto e approfondito di come, dopo tanti anni, i compagni si sono organizzati in un’assemblea che sostenesse apertamente i prigionieri che hanno scelto la via della fuga e della clandestinità, parlando del caso di Miguel Peralta10 un anarchico indigeno latitante, e di come hanno riflettuto e scelto – per la prima volta dopo aver avuto per anni situazioni in cui l’appoggio al compagno o compagna in fuga si limitava a mantenere in un quadro di silenzio complice e di aiuto fattuale- di sostenere e lanciare delle iniziative per parlare e diffondere apertamente le idee, le parole di questo compagno e le ragioni della sua lotta e della sua fuga. Ha posto poi l’attenzione su come superare il rimosso, il tabù del non parlare per non essere inseriti in quelle famose liste e inchieste di sospetti solidali che diventano immediatamente complici dei fuggitivi, ma comunque ponendo attenzione alla sicurezza del compagno/a latitante.

Ha infine fatto un breve racconto delle esperienze di lotte vissute dentro le carceri nell’ultimo decennio a Città del Messico, dell’utilizzo da parte dello Stato di accuse di connivenza tra il mondo anarchico e quello dei narcos come nel caso di Jorge Ezquivel, prigioniero anarchico detenuto del carcere di Città del Messico. Questo caso si intreccia con le esperienze di lotta contro il carcere della scorsa decade, quando azioni, sabotaggi contro i simboli del dominio, e contro l’aumento del biglietto dei trasporti, durante il “decembre negro” che in Messico è stato una chiara espressione di solidarietà insurrezionale internazionalista anche con i prigionieri rivoluzionari greci Nikos Romanos e Yannis Michilidis in sciopero della fame nelle carceri greche in quel periodo. Alberi di Natale, metro e stazioni dei bus sono andate a fuoco: queste sono solo alcune tra le molte iniziative che hanno avuto luogo in quegli anni di fermento insurrezionale, che ha visto anche lo svolgersi, dentro al più grande auditorium occupato, del primo congresso internazionale anarchico insurrezionale con la partecipazione tra gli altri (via Skype perché non gli venne concesso l’ingresso nel paese) anche del compagno Alfredo M. Bonanno. Questo decennio di lotte all’interno delle carceri, dati i numerosi arresti tra compagne e compagni anarchici e non solo, come Fernando Barcenas, Fernando Sotelo, Abram Cortez, Amelie e Fallon ha avuto il tratto distintivo del rifiuto di aderire alle buone condotte e alla servitù volontaria imposta dall’amministrazione carceraria. Ci sono state varie esperienze di autorganizzazione: da laboratori di scrittura anarchica fino alla realizzazione di un periodico Cañero”11. Questo giornale veniva prodotto e distribuito sia all’interno dei vari istituti penitenziari che fuori, il quale raccontava le condizioni e le lotte carcerarie, oltre ad essere uno strumento di unione tra i prigionieri per rompere la dispersione che li vedeva divisi in vari penitenziari, fu anche utile per sviluppare ed esprimere la loro posizione contro l’amnistia. In quegli anni sono anche stati portate numerose lotte, come ad esempio uno sciopero della fame per la liberazione totale e contro il carcere, lanciato con le seguenti parole:

nella nostra concezione, è costituito dalla società nel suo complesso, mentre le prigioni fisiche sono solo un’espressione concreta dell’isolamento sociale che sostiene e legittima il potere ed è per questo che non ci rivolgiamo ai media, né alle classi dirigenti, ma ci rivolgiamo e parliamo ai nostri compagni dell’immensa prigione chiamata terra che, come noi, sono anch’essi figli della guerra per il solo fatto di essere nati diseredati.”

Da questo progetto di traduzione12 di Kamina Libre, abbiamo preso la decisione di realizzare questa due giorni di incontri anche per poter contribuire a discutere, trovare spunti e domandarsi come poter portare avanti, da fuori, un supporto e una solidarietà attiva alle lotte dei prigionieri, un riconoscersi nelle lotte, nelle insurrezioni, nella rivolta, e nella solidarietà internazionalista. L’ascolto e il confronto con compagni e compagne che hanno negli anni lottato, e che lottano, contro il carcere è fondamentale, nonostante il tempo mai sufficiente, per riflettere su alcune possibilità ed esperienze.

Questa due giorni di discussione nasce per oltrepassare i limiti riscontrati nel sostenere le rivolte che avvengo all’interno, come ad esempio abbiamo visto nel 2020 durante l’emergenza Covid, così come in questi ultimi anni durante i quali ci sono state altre rivolte nelle carceri in varie parti di Italia, che però non sono riuscite a dilagare e dialogare con il fuori e dalla necessità di rispondere all’ attacco degli Stati contro le lotte portate avanti sia dentro che fuori le carceri, dall’Italia con l’ex DDL 1660, al Cile, alla Grecia e alla Francia. Questo tipo di attacco, che passa dalle riforme del sistema penitenziario tra le altre cose, a nostro modo di vedere, ha un carattere preventivo in un orizzonte di guerra e conflitto sociale che ribolle sempre più sotto la superficie, in continuità diretta con l’applicazione del 41bis ad Alfredo. Pensiamo infatti che l’attacco ad Alfredo Cospito sia stato un monito da parte dello Stato nei confronti di chi persevera nel sostenere le idee e le pratiche rivoluzionarie, quello Stato che deve cancellare tanto la possibilità quanto la memoria della lotta armata in questo paese, di cui l’azione contro Adinolfi di Ansaldo Nucleare, rivendicata da Alfredo in tribunale a Genova, è una delle più recenti testimonianze. Ma soprattutto, ci siamo domandati cosa vuol dire continuare a sostenere una battaglia del primo compagno anarchico seppellito nel sottosuolo del carcere di Bancali in 41 bis e contro l’espansione del modello di questo regime in varie parti del mondo, dal Cile alla Francia, con lo Stato italiano sempre più esportatore di regimi di isolamento.

Nella seconda giornata sono state ripercorse le motivazioni della lotta e la mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito. La discussione è stata introdotta su dei punti critici e di domanda contenuti in questo testo13 dal centro alla periferia, che hanno permesso di riflettere anche sugli elementi di riuscita della mobilitazione che, seppur sotto mille difficoltà e, in una situazione “ai minimi termini del movimento anarchico”, è riuscita a portare fuori le ragioni, le parole, e l’identità di Alfredo Cospito, che ha sostenuto uno sciopero della fame durato per ben 181 giorni. Una mobilitazione che ha avuto carattere internazionale di solidarietà e di azione diretta, durata oltre dieci mesi e iniziata molti mesi prima dello sciopero di Alfredo, per cercare di infrangere la coltre di silenzio dove avrebbero voluto relegarlo.

Questa mobilitazione vede ora la vendetta dello Stato contro chi si è mobilitato in quei mesi, come con la richiesta di condanne per oltre 6 anni per resistenza aggravata, travisamento, lancio di oggetti e concorso morale in danneggiamento per un corteo a Milano, l’11 febbraio del 2023 contestualmente a quando Alfredo era stato trasportato in ospedale. Il concorso morale, elemento che sarebbe da approfondire, è anche uno degli elementi centrali dell’operazione City con 19 richieste di condanne per devastazione e saccheggio in riferimento al corteo del 4 marzo 2023 a Torino. A questa discussione ha portato il suo contributo e saluto Lello Valitutti, che da oltre un anno si trova agli arresti domiciliari per questo corteo e per il processo del Brennero. Lello ha oggi una situazione medica complessa, e questo, ci ha detto, gli rende impossibile poter presenziare e poter esercitare pienamente il suo diritto di difesa al processo dell’operazione City del prossimo luglio che lo vede imputato insieme agli altri compagni e compagne accusati appunto di concorso morale in devastazione e saccheggio. Si trova quindi a dover chiedere la sospensione del processo per motivi di salute.

Concludiamo con alcune considerazioni uscite da questa discussione:

Siamo ad un anno da quando lo Stato e la DNAA con quasi certa probabilità proporranno di mantenere Alfredo Cospito in 41 bis, e magari mandarci anche degli altri prigionieri anarchici. Questo nonostante siano cadute le accuse del processo dove lo Stato ha provato a colpire l’agitazione e la propaganda anarchica verso i compagni e le compagne del quindicinale Bezmotivny, nel quale l’accusa ha provato a delineare la figura di Alfredo, nel procedimento Scripta Scelera come quella figura apicale nell’ambito di un certo segmento del movimento anarchico. Dipingendo una istigazione a delinquere con lui come “orientatore”, anche dopo l’assoluzione piena per il processo Sibilla, dove lo si accusava direttamente di essere un “istigatore” in un ambito, quello del movimento anarchico, che ha nell’autonomia di pensiero e azione il suo fulcro. Assieme al processo Scripta Manent l’operazione Sibilla è stata determinante nel trasferimento in 41 bis di Alfredo Cospito. Con la mobilitazione partita dalla lotta di Alfredo si è aperto un dibattito, si sono create delle crepe sul 41 bis, sull’ergastolo ostativo e sul carcere duro, apice del sistema repressivo, che è talmente risuonato, che a volte, di fronte ad alcuni carceri dove esistono le sezioni di 41 bis i detenuti dall’interno erano i primi a lanciare il coro “fuori Alfredo dal 41 bis”. La lotta non ha avuto una dinamica essenzialmente antirepressiva, néintrapresa unicamente dagli avvocati, ma ha rilanciato l’iniziativa del movimento anarchico e rivoluzionario più in generale per contrastare l’offensiva del capitale e dello Stato, questo nonostante viviamo in tempi di elogio del disimpegno, di smobilitazione permanente, di rassegnazione imperante.

La lotta di Alfredo ha permesso di portare avanti un dibattito sul 41 bis e sulla repressione in Italia, ha soprattutto messo in contraddizione tanto lo Stato con le sue emanazioni (si veda il cambio del parere della DNAA sul mantenerlo in 41 bis che si è scontrato con Nordio), così come anche la mobilitazione esterna ha creato problemi all’apparato repressivo, con la forza di portare le parole e la lotta di Alfredo in ogni angolo possibile e con le più differenti iniziative, riprendendo in modo conflittuale la presenza nelle strade, nelle piazze, fuori dalle carceri.Dire “fuori Alfredo dal 41 bis” ha imposto nel dibattito la figura di Alfredo, della sua storia, in un’ottica di incompatibilità con ogni compromesso o soluzione politica di sorta nonostante delle componenti para istituzionali della sinistra abbiano tentato di insinuarsi all’ interno della mobilitazione.

Oggi l’importante è poter discutere di come, oltre alla vita di Alfredo, siano stati messi in gioco anche il senso e  la prospettiva della solidarietà,un principio da anni sotto costante attacco da parte delle procure antiterrorismo di tutta Italia e non solo. Dalla fine dello sciopero della fame, e ora che la mobilitazione si è praticamente fermata, lo Stato cerca di prendersi una rivincita su questo compagno, come dimostrano anche i recenti aggiornamenti sulla sua prigionia, ovvero il ritorno del graduato del GOM, precedentemente allontanato per il suo coinvolgimento nello “scandalo intercettazioni”, alla direzione della sezione 41bis del carcere di Bancali, ha portato con sé un ulteriore inasprimento delle condizioni già dure in questo regime per Alfredo. Oggi è necessario riflettere su un dato di realtà: questa mobilitazione per quanto insufficiente a tirare fuori Alfredo dal 41 bis, alla chiusura di questo regime detentivo e anche alla liberazione di Alfredo e di tutti i prigionieri e le prigioniere, ha certamente alimentato delle scintille non proprio ordinarie, da cui sarebbe auspicabile trarre insegnamento e stimolo per la realizzazione di una progettualità che vada oltre l’emergenzialità del momento. A questo proposito, riflettendo su come non fossilizzarsi su una lotta anticarceraria, l’applicazione del 41bis ad Alfredo sarebbe da mettere in una relazione più esplicita con le politiche di guerra dello Stato italiano. Sempre su come proseguire la lotta in solidarietà ad Alfredo e al sostegno alle pratiche da lui portate avanti è stata anche rimarcata l’importanza di portare il caso di Alfredo nelle lotte contro il nucleare. Come proseguire adesso data la realtà della situazione di oggi è una delle domande per cui abbiamo pensato valesse la pena incontrarsi e riflettere. Mentre gli Stati si attrezzano per la guerra e i profitti sugli armamenti crescono a dismisura, mentre prosegue il genocidio in Palestina, e con l’approvazione di una nuova legge sulla sicurezza che attacca gli oppressi, questi signori si affrettano nuovamente a processare gli anarchici, un nemico interno da debellare perché da sempre in opposizione al capitalismo, allo Stato e alle sue politiche di guerra.

Sabotare il fronte interno significa quindi anche rilanciare la solidarietà ad Alfredo, a tutte e tutti i prigionieri e le prigioniere.

1 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/05/e-uscito-la-prima-edizione-italiana-di-alcuni-scritto-su-kamina-libre-identita-irriducibili-di-una-lotta-anticarceraria/

2 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/03/marcelo-villarroel-su-iniziativa-fuorilegge-due-giorni-di-discussione-contro-la-galera-tra-dentro-e-fuori/

3 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/fransisco-solar-prigioniero-sovversivo-anarchico-detenuto-nelle-prigioni-del-territorio-occupato-cileno-carcere-azienda-la-gozalina-rongagua/

4 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/juan-sorroche-prigioniero-anarchico-italia-as2-terni/

5 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/contributi-dal-carcere-senza-frontiere-alledizione-italiana-di-kamina-libre/

6 https://www.rivoluzioneanarchica.it/notizie-prigionieri-anarchici-elisa-di-bernardo-stiamo-vincendo-delle-battaglie-per-la-liberta-di-gabriel-pombo-da-silva/

7 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/paolo-todde-compagno-prigioniero-ad-utaca-contributo-percorsi-di-lotta/

8 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/nikos-maziotis-prigioniero-anarchico-condannato-per-le-azione-di-lotta-rivoluzionaria/

9 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/messico-da-citta-del-messico-un-contributo-sulle-lotte-esperienze-di-complicita-tra-fuori-e-dentro/

10 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/da-qualche-luogo-sulla-terra-aggiornamenti-e-scritti-dalla-latitanza/

11 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/el-canero-1-stampa-carceraria-dal-messico/

12 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/presentazione-progetto-di-traduzione/

13 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/dal-centro-alla-periferia/

[Ricevuto via e-mail e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/06/19/fuorilegge-contributi-dalle-carceri-materiali-vari-e-un-racconto-su-una-due-giorni-di-discussione-tra-fuori-e-dentro-il-carcere/]

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Contributo di Marcelo Villarroel in occasione dell’iniziativa “FUORILEGGE: Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori”

Cari compagni e care compagne della regione occupata dallo Stato italiano, vi inviamo un abbraccio fraterno, pieno di affetto e lealtà dalla prigione La Gonzalina, qui a Rancagua, nella zona centrale del territorio occupato dallo Stato cileno.
Un abbraccio fraterno, sovversivo, anarchico, antiautoritario, un abbraccio che si fonde con il rispetto, l’affetto e la gratitudine di poter continuare a mantenere il legame di complicità insurrezionale con voi nel territorio dello “stivale” occupato dallo Stato italiano.
Voglio dire che la giornata che ci riunisce ha a che fare con la storia di Kamina Libre, la presentazione del libro scritto qui in Cile e che ha varcato i confini ed è stato pubblicato in Argentina, distribuito in Spagna, Germania, nella regione cilena e ora in Italia.
Per me è molto significativo che ora sia possibile tradurlo in italiano e vorrei raccontare una breve storia. All’inizio degli anni 2000, compagni della vostra regione, del vostro territorio, sono venuti nel Cono Sur di Abya-yala, come lo chiamiamo noi, in quella che i colonizzatori europei chiamano America.
Allora, nel Cono Sur, nella zona dove si trovano il Cile e l’Argentina, sono arrivati alcuni compagni e alcune compagne italiane.
Alcuni e alcune di loro ci ha fatto visita in prigione durante il mio precedente arresto. Grazie alle loro pubblicazioni, abbiamo potuto conoscerci superando la barriera linguistica, cosa non così difficile, perché nonostante tutto siamo riusciti a capirci. Da lì è iniziata una storia intermittente di legami con diversi compagni e compagne della vostra regione che dura ancora oggi.
Sono passati 23 anni, un legame segnato da diversi processi che si sono mantenuti nel tempo. Ciò significa che non è solo il legame di complicità insurrezionale che ci unisce, ma la profonda convinzione che la nostra lotta antiautoritaria sia, prima di tutto, una lotta per la distruzione dei confini. Possiamo parlare lingue diverse, ma parliamo lo stesso linguaggio di guerra contro l’esistente.
Per me questo è qualcosa di profondo valore perché trascende contesti, momenti e transitorietà, poiché significa che non si tratta di legami costruiti su una relazione temporanea e utilitaristica, ma di legami che durano nel tempo perché basati sulla profonda convinzione che, tra compagni e compagne di diverse latitudini che percorrono strade comuni, possiamo abbattere tutto ciò che ci opprime, reprime e sfrutta. I confini, il settarismo, la mancanza di riflessione, la necessaria ricerca di una fluida interrelazione, il necessario dibattito su ciò che abbiamo fatto, ciò che cerchiamo, ciò che facciamo, le nostre intenzioni, la condivisione delle nostre storie con tutti i loro dettagli.
Sono tutti questi aspetti che rafforzano un legame che si trova soprattutto nell’essere umano. Sapere che voi là, come noi qui, avete pagato un prezzo enorme per aver affrontato il dominio, per aver affrontato la società carceraria, per aver affrontato il potere perverso dell’autorità. Voi là, con i sistemi di isolamento, sorveglianza, controllo e punizione dello Stato, con tutto l’apparato repressivo della società carceraria italiana, siete riusciti a resistere al passare del tempo.
Siete riusciti a mantenere viva la fiamma dell’anarchia. Siete riusciti a mantenere la vostra pratica nonostante il 41 bis, nonostante tutto l’apparato di controllo e punizione. Una pratica che da voi là, si è mantenuta nel tempo, in particolare la pratica antiautoritaria degli ultimi 30 anni, 28 anni, 25 anni, un po’ più, un po’ meno..
E invece qui,
una pratica antiautoritaria che ha elementi propri del nostro particolare temperamento (spa: idiosincrasie), delle nostre particolarità.
Posso dire che è incredibilmente gratificante per me sapere che continuiamo a mantenere dei legami e che ora sono vivi sotto forma di libro. La storia di Kamina Libre è una storia viva, ancora presente negli ambienti di lotta, nella controcultura, negli spazi di resistenza anti-carceraria. La storia di Kamina Libre continua a vivere perché gli elementi che l’hanno fondata persistono ancora. Con il tempo, le cose sono cambiate, a cominciare dal rapporto con lo Stato. Anche lo Stato ha sviluppato, sulla base dell’esperienza internazionale, una pratica specifica per contrastare le pratiche antiautoritarie sovversive.
Quindi il fatto che la questione venga sollevata da lì è estremamente importante anche per noi. Voglio anche dire che è incredibilmente gratificante per me sapere che questo fa parte della campagna in corso per lottare per la mia irrinunciabile possibilità di tornare in strada. Oggi sono ancora sequestrato dallo Stato, nonostante sarei dovuto tornare in libertà nel dicembre 2023.
Siamo nel maggio 2025 e sono ancora in prigione perché mi vengono applicate le leggi della giustizia militare dell’era di Pinochet. Le condanne che ho da più di 30 anni dovrebbero essere annullate.
Ebbene, lo Stato, con i suoi stratagemmi e cavilli giuridici, è riuscito a giustificarle e a tenermi in prigione fino ad oggi.
Hanno in programma di tenermi in prigione fino al 2056, quando avrò più di 80 anni. Questo non accadrà.
Per quanto riguarda la presentazione del libro, vorrei anche chiarire – e questo è importante – che questo libro è stato pubblicato dai compagni qui in Cile quattro anni fa.
E alcuni anni fa, compagni e compagne provenienti dall’Italia e dalla Francia della casa editrice “El buen Trato” hanno realizzato un’edizione in spagnolo e ce l’hanno inviata in Cile e in Spagna. Con grande generosità questi compagni hanno portato avanti questo importante progetto inviandoci libri che ormai non ci sono più. Le edizioni “El Buen Trato” hanno dato questo contributo.
Attualmente questo è un nuovo progetto, la nuova edizione in italiano, fatta con altri compagni e compagne.
Detto questo, vi invito a continuare con il legame di complicità insurrezionale con noi, rafforzando la lotta per la mia liberazione in questa campagna internazionale per denunciare la mia situazione e per generare solidarietà concreta.
Quindi, compagni, da qui, un forte grido ribelle in questo maggio anti-carcerario, un grido di memoria per Mauricio Morales, un grido di guerra, di libertà per Alfredo Cospito, per Juan Sorroche, per Ana Beniamino, per tutti quei compagni e compagne che non posso nominare in questo momento perché non ricordo i loro nomi nei dettagli, ma so che resistono con dignità sovversiva nelle carceri dello Stato italiano.

Un forte abbraccio, sempre con il pugno alzato.

Fino a distruggere l’ultimo baluardo della società carceraria!

Finché esisterà la miseria, ci sarà ribellione!

Marcelo Villarroel
23/5/2025

[Pubblicato in https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/03/marcelo-villarroel-su-iniziativa-fuorilegge-due-giorni-di-discussione-contro-la-galera-tra-dentro-e-fuori/ | Riproposto in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/06/19/fuorilegge-contributi-dalle-carceri-materiali-vari-e-un-racconto-su-una-due-giorni-di-discussione-tra-fuori-e-dentro-il-carcere/]

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Contributo di Fransisco Solar in occasione dell’iniziativa “FUORILEGGE: Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori”

Kamina libre uscì e ruppe con tutta la tradizione che aveva caratterizzato, fino ad allora, le organizzazioni dei prigionieri politici. Il loro impegno nella mobilitazione di strada, che li portò a legarsi ai gruppi anarchici e controculturali dell’epoca, fu uno degli aspetti che più attirarono la mia attenzione e che mi portarono a indagare sulle loro caratteristiche. Insieme a questo, le affermazioni sul fatto che la lotta non fosse finita e che stesse solo cambiando e mutando continuamente forma costituivano una posizione particolare e inedita all’interno del mondo del carcere politico, che, in generale, anelava alla lotta contro la dittatura e ignorava in modo consapevole e voluto, le lotte che stavano nascendo e si stavano sviluppando in quegli anni. Partendo dalla premessa che la ricerca che ho svolto sulla kamina libera era un lavoro accademico, ho sentitola necessità di far conoscere questa interessante esperienza di lotta all’interno del carcere
in uno spazio in cui di carcere si parlava poco o nulla.
La resistenza che si svolgeva nel carcere di massima sicurezza era, all’epoca, poco conosciuta nell’ambiente universitario e quel poco che si sapeva era legato all’attività svolta dalle organizzazioni tradizionali dei prigionieri politici, da cui la kamina libera si distaccò, optando per altre strategie legate al rafforzamento dei legami di solidarietà con gli ambienti combattivi di strada.
A mio avviso, la sintonia che kamina libre ha cercato con gli spazi di solidarietà ha rappresentato una particolarità, un successo e, senza dubbio, una forza che era essenziale salvare e diffondere come esperienza fondamentale che sarebbe servita per la lotta in generale e in particolare per le future generazioni di prigionieri politici. È in questo senso che questa memoria della lotta anti-carceraria rappresenta un contributo alle iniziative che si stanno svolgendo e continueranno a svolgersi in questo e in altri territori nella misura in cui, oltre a essere un’esperienza di successo, è stata una scommessa rischiosa che ha compreso che solo attraverso l’inasprimento del conflitto è possibile, senza rimpianti e con dignità, piegare la mano delle autorità.

Fransisco Solar
Carcere Azienda La Gozalina- Rongagua
19/5/2025

[Pubblicato in https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/fransisco-solar-prigioniero-sovversivo-anarchico-detenuto-nelle-prigioni-del-territorio-occupato-cileno-carcere-azienda-la-gozalina-rongagua/ | Riproposto in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/06/19/fuorilegge-contributi-dalle-carceri-materiali-vari-e-un-racconto-su-una-due-giorni-di-discussione-tra-fuori-e-dentro-il-carcere/]

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Contributo di Juan Sorroche in occasione dell’iniziativa “FUORILEGGE: Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori”

“Contributo alla discussione sul libro uscito in Italia: alcuni scritti su kamina libre identità irriducibili di una lotta anticarceraria”

“La lotta è la nostra, ogni gesto contro questo mondo ha la tua impronta…
perché siamo un unico branco che non dimentica mai i suoi e le sue,
indipendentemente, da dove ci troviamo”
Lettera pubblica di Marcello Villarroel – 14/09/19

Hola a tutte e tutti i presenti all’ iniziativa che si fa oggi. Un saluto per primo a chi ha creato questo spazio di confronto di solidarietà rivoluzionaria per la lotta antiautoritaria e che mi ha dato la possibilità di esprimermi qui, e anche per la solidarietà che spesso esprimete. Uno speciale saluto a tutti e i compagni/e prigionieri sovversivi, e anarchici che lottano in Cile e nel mondo. Saluto in particolare Franscisco Solar, che dopo anni è uscito dal’ isolamento.
Voglio ringraziare tutti i compagni/e che hanno fatto uscire questo libro, sia in Cile che in altri paesi e per il bel lavoro che hanno fatto e la passione nel farlo. Come in Italia dove i compagni/e hanno tradotto dal “castellanos” tale esperienze del Cile, e cosi velocemente.
Un buon lavoro, con una bella impaginazione tra il classico e il punk.
Eh,…
Mi piace.
Faccio una piccola premessa: io credo fortemente nell’importanza empirica e pragmatica che hanno i libri e i giornali per l’anarchismo, e non solo, che tende verso la lotta, e sono mezzi di pensiero e che protendono, stimolano e realizzano la prassi. I libri per me sono pensiero e azione, non separabili, sono un tutt’uno.
I libri, i giornali, spesso vanno ben oltre un esclusiva lettura d’evasione, e credo anche che bisognerebbe stare molto attenti per evitare la creazione di miti ed eroi anarchici o libertari da idolatrare. Io sono convinto, ci credo saldamente, che sta a noi anarchici e libertari imparare dalle esperienze passate e portare avanti questo sentimento- realizzazione della lotta libertaria contro ogni autorità. Ma, come ci insegnano tanti di questi compagni, del passato- presente, è con l’esempio,l’agire, che si necessita di definire queste metodologie anarchiche e sovversive antiautoritarie.
Questo è un prezioso insegnamento di queste esperienze fattuali che dovremo apprendere bene
E queste radici sono anche la radicalità dell’anarchismo e dell’anarchia e dei sovversivi antiautoritari che utilizzano e sperimentano fattualmente le diverse e diversificate metodologie rivoluzionarie- libertarie.
Radici che provengono da un assestamento profondo e storico, da cento cinquantanni dell’ anarchismo rivoluzionario e sovversivo libertario che è sperimentato e nel campo dell’ azione rivoluzionaria in generale. Con tutti i suoi paradossi e grandi contraddizioni.
Queste sono ricette, tattiche e strategiche alla portata di tutti, per chi oggi cerca un anarchismo o delle metodologie libertarie, che non delega al mero attivismo democratico e autoritario, anarchici e sovversivi libertari che agiscono nel qui e ora, nel presente. E allo stesso tempo riescono, ancora e ancora a sognare, immaginare, condividere, creare e hanno come bussola una visione dell’ utopia anarchica e antiautoritaria nelle diverse condivisioni di un mondo libertario.
Rispetto al libro uscito in Italia: “ alcuni scritti su kamina libre: identità irriducibili di una lotta anticarceraria”. Quando l’ho riletto, avevo letto l’edizione in “castellanos” ho ritrovato diverse questioni interessanti. Le condizioni carcerarie di quei territori che in Italia ne sappiamo molto poco, come è la quotidianità dei compagni nelle prigioni del Cile.
Le questioni storiche delle diverse evoluzioni politiche rivoluzionarie di lotta dei compagni in Cile e in particolare di Kamina libre. LE affinità create in anni di lotta- vita dentro- fuori e fuori- dentro le carceri è il filo conduttore antiautoritario e anarchico con delle prospettive rivoluzionarie-libertarie che arriva fino ai giorni nostri. La qualità, l’utilità e la necessita ancora oggi nell’ organizzarsi, articolarsi dinamicamente. Anche se il progetto specifico di “ kamina libre” non esiste più. Dopo l’auto dissoluzione specifica del gruppo di prigionieri di “kamina libre” un compagno, Marcelo scriveva cosi riguardo allo sviluppo e alla trasformazione su tale collettivo non più in quella forma specifica:

“[…]E’ dal momento fino oggi nel quale il kontributo di detto kollettivo si ha mantenuto e approfondito nelle kostruzione autonoma per la lotta per l’abolizione delle prigioni, per la distruzione della società Karceraria, per le kreazioni di reti di komplicità, per la proliferazione della lotta antiautoritaria, per le relazioni delle diverse -micro culture di resistenza in Cile e nel mondo, e che chiaramente, senza ambigutià sono per la guerra sociale .”
– Giornale anarchico ; “Tinta di fuga”, n 1 2021 Cile, sulla resistenza alla prigione e la necessità di allargare la lotta anti-karceraria ( I parte)- Marcello Villarroel-

Ecco, quella forma non è più utile, ha fatto il suo corso strumentale e ci si sbarazza della forma.
Ma, quello che viene mantenuto ed approfondito e sviluppato, collettivamente assieme e continuamente, sono i principi, e le metodologie strumentali quelle che possono e sono utili qualitativamente e che sono essenziali per la lotta antiautritaria a lungo andare. Continuando a svilupparsi collettivamente e autonomamente, per espandersi nella prospettiva delle lotte anarchiche e antiautoritarie in connessione con fuori e dentro e ne sono parte qualitativa questi compagni sovversivi antiautoritari e alcuni anarchici del Cile che con la loro lotta di prassi lo hanno sperimentato fattualmente creando connessioni con la lotta fuori- dentro e dentro-fuori trasformandolo in prospettiva come una parte del tutto essenziale della visione internazionalista – libertaria nel mondo. E oggi ci sono ancora queste continuità essenziali delle lotte fuori e dentro le carceri e che sono parte di questo bagaglio come metodologia strumentali di tutti quei compagni anarchici e antiautoritari che vogliono lottare collettivamente articolandosi dinamicamente. Spesso tanti di questi compagni del Cile, e non solo pagandolo caramente, anche con decenni e decenni di carcere e con anni di isolamento, come ad esempio ultimamente i compagni/e Francisco e Monica. Oppure spendendosi nella lotta con passione, come il compagno Luciano Pitronello morto poco fa in un incidente, che ci ha mostrato con l’esempio la gran dignità e la sensibilità e il coraggio dell’ anarchico in lotta. Come Mauricio “el punky” morto in un azione trasportando un ordigno. E Bau uccisx nella lotta Mapuche, cosi come tanti altri.
E non è un caso che i compagni Cileni hanno questa speciale attenzione di sensibilità per i nostri morti; quelli uccisi nella lotta di classe contro l’autorità dello Stato-capitalista e soprattutto provando a non trasformarli in martiri, portandoli spesso con il pensiero e con le parole nel cuore della prassi delle lotte di cui essi e tutti noi facciamo parte.
Credo anche molti importante e interessante e da approfondire l’approccio utilizzato di come portano avanti le rivendicazioni specifiche in carcere, questi compagni cileni. Come si pongono degli obbiettivi specifici, ma con prospettiva a lungo andare e che hanno come obbiettivi la liberazione dei compagni.
E senza perdere mai la bussola delle progettualità generali di rottura rivoluzionaria- libertaria.
Questo è quello che ho apprezzato personalmente negli approcci di questi compagni/e nelle realtà della lotta carceraria.
Questo è quello che ho apprezzato personalmente negli approcci di questi compagni/e nella realtà della lotta carceraria. Portare avanti rivendicazioni specifiche anche a lungo andare senza perdere la visione generale di rottura antiautoritaria. Apprezzo la coerenza e l’umiltà e la sincerità nell’ esporlo e proporlo agli altri compagni come lotta antiautoritaria. E soprattutto senza inutile polemiche di negazioni metodologiche delle altrui prassi rivoluzionarie libertarie.
Ossia senza chiacchiericci, come principi etici e metodologici, anche perché come principi e metodi il chiacchiericcio non apporta niente di positivo e utile qualitativamente nella lotta- vita antiautoritaria.
Questi compagni lo propongono con l’esempio delle azioni di lotta affermative. Sono quest’ultime che comunicano complicità e creano relazioni di lotta- vita.
Come la proposta dello sciopero della fame liquido che i compagni prigionieri anarchici e sovversivi della rivolta in Cile hanno fatto nel 2021 con 50 giorni di sciopero contro le modificazioni della legge di l 321, e che tocca in particolare il compagno Marcello Villarroel con una forte e ampia solidarietà rivoluzionaria fuori e dentro le carceri, con diverse e diversificate forme di lotta e senza mai perdere la bussola della progettualità generale di rottura rivoluzionaria-antiautoritaria e rivendicandola.
E’ importante ricordare e bisogna tenerlo presente e in mente, che queste esperienze sono connesse allo sviluppo continuo del contesto di lotta sovversiva fuori e dentro le carceri nel contesto Cileno molto prima, durante e dopo le rivolte sociali dell’ottobre 2019 essendo presenti, come parte della trasformazione della lotta e che hanno una continuità nel tempo- spazio della lotta metodologica che arriva fino ad oggi a noi.
Anche per ciò ho voluto essere parte esprimere la solidarietà internazionalista e la mia complicità come prigioniero anarchico in Italia ai compagni prigionieri del Cile e del mondo.
Ed essere parte di quel tutto, di queste reti di relazioni di resistenza informale ed eterogenee come esperienze di lotta-vita assumendomi collettivamente la lotta con la partecipazione alla loro proposta dello sciopero della fame liquido dei compagni prigionieri sovversivi, anarchici in lotta dalle carceri Cilene nel 2021.
Certo non nascondo che non è solo stato questo, ci sono anche stima, simpatia ed amicizia a radice di corrispondenze intraprese nelle prigioni molto prima di essere prigionieri qui,però oggi per quanto mi riguarda la stima e la complicità e credo reciproca, verso questi compagni, si sono allargate a radice di queste condivisioni fattuali della lotta, creando di fatto sentimenti forti di solidarietà tra compagni prigionieri. Certo lotte sporadiche nel tempo, e specifiche e nonostante non ci conosciamo di persona.
Però la solidarietà rivoluzionaria non si misura come matematica, per accumulo meccanicistico nel tempo e nello spazio, è una prassi empatica viva e dinamica e soprattutto continua nel tempo-spazio. E che oltrepassano muri e frontiere, non sono solo slogan astratti, per ciò credo sia importante, fondamentale oggi continuare e continuare con i compagni questa solidarietà internazionalista che sia di prassi rivoluzionaria- libertaria, nonostante le grandi difficoltà e momenti difficili che vedo oggi nel nostro movimento di lotta anarchico in Italia.
Comunque questo approccio e metodo io credo sia lo stesso che abbiamo saputo fare collettivamente qui come anarchici e lo abbiamo visto nelle lotte per il declassamento di Alfredo Cospito del 41 bis e contro l’ergastolo, come lo abbiamo sperimentato in diverse lotte con rivendicazioni specifiche come per l’Aquila. Per chiudere la sezione di As2 come lo stesso metodo che si è utilizzato in Grecia di un pugno di prigionieri sostenuti in un assemblea di compagni che ha portato all’ abolizione delle carceri speciali, al ridimensionamento- travisamento durante i cortei e a quella sul DNA, non proprio bruscolini. E tante altre situazioni. Eppure alcuni compagni non mancarono di sottolineare i limiti e che certo ci sono tutt’oggi in questo metodo. Però io credo, sono convinto che sono utili qualitativamente, come si sono sperimentati e sono parte strumentale di noi anche storicamente, ma che bisognerebbe affinare consapevolmente alla base come metodi, e non i limiti. Per uscire dal rincorrere il solito emergenziale e apprendere per saperli riprodurre con prospettiva, io credo, sono convinto, che questa continuità sperimentale nel campo dell’ azione rivoluzionaria- libertaria nel mondo può avere un enorme potenziale di qualità e di forza reali che sono ancora da scoprire in noi stessi come un gran potenziale nascosto e da scoperchiare.
Essendo consapevole che queste mie osservazioni come contributo sono filtrate sempre dal buco della serratura della cella carceraria e possono facilmente essere fuorviate dai limiti imposti dall’ isolamento del carcere, vi saluto con un forte abbraccio e stima.

Buon proseguimento nella vita- lotta con amore e anarchia !

Contro tutte le strutturazioni carcerarie repressive di questa società!

Contro la guerra per la rivoluzione-libertaria!

Juan Sorroche
cpc as2 Terni
23/04/2025

Ps: se volete potete pubblicarlo dove volete una volta fatta la discussione e sarebbe bello che fosse tradotto in castellano per i compagni/e Cileni, Grazie.

[Pubblicato in https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/juan-sorroche-prigioniero-anarchico-italia-as2-terni/ | Riproposto in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/06/19/fuorilegge-contributi-dalle-carceri-materiali-vari-e-un-racconto-su-una-due-giorni-di-discussione-tra-fuori-e-dentro-il-carcere/]

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Contributo di Paolo Todde in occasione dell’iniziativa “FUORILEGGE: Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori”

CONTRIBUTO PERCORSI DI LOTTA

Questa è la seconda volta che finisco in carcere, la prima nel 2017 e la seconda volta nel 2024, quindi ho il “privilegio” di poter raccontare di carcere con una certa continuità/discontinuità temporale.
Il primo ingresso nel 2017 è stato a dir poco traumatico, anche visto la nostra “spettacolare” cattura durante una rapina ad un ufficio postale di Cagliari.
La prima cosa che ricordo dell’ingresso in sezione, la sera tardi, è stata la puzza asfissiante di tabacco stantio, ed il rumore unisono delle televisioni accese.
Ci ho messo un po’ di giorni ad “ambientarmi” alla cattività carceraria in questo sicuramente aiutato dall’amico e complice walter, che nella sua vita aveva già “dimorato” delle patrie galere. Sicuramente sapevo già che, visto il mio odio verso le divise, mi sarei scontrato con i secondini giorno per giorno, ed infatti così è stato.
La composizione prigioniera vedeva una maggioranza di “delinquenti” dediti alla droga, tra loro c’erano carnefici e vittime, poi c’era una piccola minoranza di rapinatori e ladri, infine gente di ogni etnia per lo più invischiata nella droga “strano a dirsi” mancavano colletti bianchi, padroni e similari, a quanto sembra la galera non è fatta per loro.
In seguito ho conosciuto un padrone che si era intascato in maniera fraudolenta soldi della regione sardegna, ebbene questo tipo aveva molto più dignità di tanti ras locali, anche perché veniva tenuto in galera, per costringerlo a vendere il suo collettore di denaro (risaputo da tutti chi era), ed il tipoè rimasto omertoso fino all’ultimo, ed oggi tutti sono liberi di continuare nelle loro storie, anche se non penso che il tipo che stava dentro abbia ripreso a “delinquere”, quello graziato sicuro che sta continuando in quella strada.
Quindi diciamo che la composizione sociale dei prigionieri era più tendente verso il proletariato, il sottoproletariato e piccola borghesia per lo più agraria/commerciale, e come dicevo prima c’erano “carnefici” e vittime della droga.
Nelle celle (sempre stipate) spesso “dimoravano” spacciatori e consumatori, dove questi ultimi avevano un che di sudditanza nei confronti dei primi, infatti prima i consumatori erano “clienti” degli spacciatori, poi una volta dentro entrambi,erano e sono gli spacciatori che “reinvestono” i profitti ottenuti con lo spaccio, “acquistando” la manovalanza per i lavori di corvee nelle celle. Vige una solidarietà orizzontale, non ci sono cupole, situazioni sociali verticali, quindi anche il loro approccio alla galera ed agli altri galeotti, è molto diversa.
Difficilmente troviamo situazioni di acquisto di manovalanza in carcere, come invece troviamo mutui appoggi ai prigionieri di qualsiasi etnia, come è impossibile (o quasi) trovare situazioni di ruffianeria verso i secondini, se non di delazioni vere e proprie.
Certo non tutti i santi vanno in paradiso, ma la differenza tra il crimine dello spaccio, ed il crimine della rapine vede questi ultimi tenere un comportamento molto più lineare sull’omertà. Sulla autorevolezza di quando non ce lo abbiano i primi soggetti.
Al rientro in carcere per la seconda volta ho trovato un mondo molto cambiato, innanzitutto la componente prigioniera è cambiata, ormai di rapinatori se ne trovano pochi (e meno male almeno qui in galera), per lo più si parla di reati legati al commercio della droga, e non solo, se prima almeno una certa categoria di prigionieri stava confinata nelle loro sezioni, almeno qui ad Uta troviamo, in sezioni normali, molestatori seriali, misogini incalliti e sicuramente anche bugoni (spie) in incognito. Non solo, c’è anche da aggiungere che è aumentato spudoratamente lo spaccio interno di pillole, gocce e similari fornito dall’amministrazione, come la gomorrizzazione della gioventù carceraria è arrivata all’assurdo, mai mi sarei immaginato di vedere ragazzi ventenni girare in sezione col bocchino in mano, veste da camera e uno stuolo di giovinetti che fanno da soprammobili, una situazione assurda, che fa il paio sui voleri dei secondini, dove loro (i secondini) hanno bisogno di “referenti” per pacificare ogni dissidio, controversia all’interno del carcere.
Vitalità dentro il carcere ce ne è poca, si prendono parole per una sigaretta non data, per una carica di caffè negata, poi il fatto che i secondini cerchino di fare il bello e il cattivo tempo, viene visto come un disegno divino, così è stato e così sempre sarà. È innegabile che tutto ciò viene da lontano, ed uno dei principali problemi sta nella premialità dei giorni di sconti di pena semestrali, cazzo per 45 giorni di sconto di pena chiniamo la testa, ci pensiamo due volte (se non di più) a rispondere a malo modo ai secondini quando fanno cagate, quando vengono calpestati i tuoi/nostri diritti. Adesso io sono nuovamente in sciopero della fame per problemi materiali e generali dentro il carcere (dall’8 maggio), però anche se cerchi di parlare, di coinvolgere i prigionieri, questi ti guardano come un marziano che sta facendo una lotta non per sé stesso, ma per tutta la popolazione prigioniera, e c’è da aggiungere che abbiamo raccolto 150 firme (se non di più) a sostegno di un documento sulla lotta in questione.
Certo non sono solo e soletto, seguendo un nostro calendario presto entrerà in sciopero della fame un altro prigioniero, per dare a me l’opportunità di “rifiatare”, anche perché sono abbastanza mingherlino, e per chi mi conosce fuori sa benissimo che non ho nella “stiva” accumuli di materiale da consumare nel tempo, e poi anche altri sono pronti. Diciamo che si va alla giornata.
Poi quando vengono le compagne ed i compagni a far casino fuori dal carcere, tanti si entusiasmano, fanno un tifo da stadio, qualcuno cerca un approccio con me, ma il tutto finisce lì, anche cercare di dargli da leggere pubblicistica anarchica trova pochi lettori, sicuro questo è dovuto alla ignoranza che si portano dietro, poi certo ora in carcere stanno vergando nei muri della A cerchiate, qualcuno mi fa vedere i suoi pantaloni vergati anarchy, ma sono cose che portano chissà dove… Chi so accontenta gode. Ecco a me fa specie questo individualismo becero, il chiudersi in se, e vedere il tuo vicino (di branda, di cella) non come un nemico ma come un rivale, io ho più un senso di comunità, un bisogno di dialogare, di fidarmi (nel dovuto) degli altri, e questa frustrazione è per me un senso di debolezza, oh sia chiaro con le autorità, con i secondini non ce ne è per nessuno, sono un guerriero, non mi piego e non mi spezzo, e godo nel vedere l’odio e il disprezzo da parte dei secondini nei miei confronti, cosa tra l’altro reciproca ed esplicata chiaramente.
Già tanti si ricordano (prigionieri) delle mie lotte nella prima carcerazione, e vi posso assicurare che se ne ricorderanno anche in questa seconda, anche se adesso sono affamato ed innocente qua dentro (unitamente ai miei complici), e sono anche più vecchio, infatti ora a 64 anni suonati sono il più vecchio della sezione, però ci sono ancora.
Chiudo così se no divento patetico
Sempri ainnantis

Uta, 12 maggio 2025

[Pubblicato in https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/paolo-todde-compagno-prigioniero-ad-utaca-contributo-percorsi-di-lotta/ | Riproposto in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/06/19/fuorilegge-contributi-dalle-carceri-materiali-vari-e-un-racconto-su-una-due-giorni-di-discussione-tra-fuori-e-dentro-il-carcere/]

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Contributo di Nikos Maziotis in occasione dell’iniziativa “FUORILEGGE: Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori”

Compagni e compagne,
saluti a tutti voi, vi mando un grande abbraccio dal carcere di Domokos in Grecia. Grazie per avermi invitato al vostro evento. Faccio un breve excursus della situazione legale in cui mi trovo: la prospettiva è che io venga rilasciato alla fine del 2026 per fine pena. Cosa significa questo? Finora ho presentato 7 domande di liberazione condizionale. Secondo il vecchio codice penale in Grecia, un detenuto anziano come me può essere rilasciato con la condizionale dopo aver scontato i 3/5 della pena. E quando dico 3/5 della pena includo anche il tempo scontato con il lavoro in carcere. I restanti 2/5 della pena, l’ex detenuto deve presentarsi alla stazione di polizia della zona in cui vive e ha il divieto di lasciare il paese. Nel mio caso, in cui sono stato condannato a 20 anni, i 3/5 sono 12 anni. Ho completato i 3/5 nel gennaio 2022, avendo scontato 9 anni di carcere più 3 anni di lavoro. Da allora, come ho detto, ho presentato 7 richieste di libertà condizionata per la parte rimanente parte della pena, e sono state tutte respinte.

Come ho reso pubblico in un testo che forse avete letto (è stato anche tradotto in inglese), “Fino alla fine della pena – Come siamo arrivati qui“, il motivo per cui vengono respinte le mie richieste è perché rimango coerente con le scelte che ho fatto, cioè la scelta della guerriglia nell’organizzazione a cui appartenevo “Lotta Rivoluzionaria”, e mi sono sempre rifiutato di fare qualsiasi dichiarazione di resa o pentimento o dissociarmi delle mia azioni.

Inoltre, nel rigetto delle richieste di libertà condizionata, oltre al fatto che considero ancora la scelta della lotta, della guerriglia come punti essenziali del mio essere e agire, a loro dire citano anche varie “infrazioni disciplinari” che ho commesso principalmente nel 2017.Normalmente, secondo l’ordinamento giuridico, queste non dovrebbero essere considerate come criterio nelle decisioni di scarcerazione, poiché è passato del tempo da quando sono state commesse. Tali ‘’infrazioni disciplinari’’ sono state la distruzione delle telecamere del sistema di controllo e monitoraggio del carcere, l’insulti al procuratore e al direttore del carcere, la distruzione dell’ala di isolamento in cui sono stato rinchiuso per un periodo, quando ero nel carcere di Korydallos e la disobbedienza agli ordini delle guardie carcerarie.
Finora ho scontato 12,5 anni di carcere più 4,5 anni di lavoro, per un totale di 17 anni. Quando dico lavoro intendo dire che sono addetto alle pulizie nel reparto in cui mi trovo, dove ad esempio un giorno di lavoro conta per 2 nello scontare la pena. Quindi, considerando che mi mancano 3 anni per completare tutti i 20 anni, se continuo a portare avanti il lavoro nel carcere, mi rimane quasi 1,5 anni di carcere. Ciò significa che avrò scontato quasi 14 anni di carcere più 6 anni di lavoro. La cosa positiva è che quando uscirò di prigione non dovrò presentarmi nelle stazione di polizia!

Tutto dipenderà dalla situazione legale in cui mi troverò quando sarò rilasciato.

In generale, si tratta di una condizione generale molto negativa e grave, perché finora non era normale che facessero una cosa del genere. Tuttavia, negli ultimi anni in Grecia c’è stato un crescente inasprimento della repressione, del codice penale e del codice “penitenziario”, al fine di aumentare le pene e la durata della permanenza in carcere dei detenuti. E questo vale innanzitutto per i prigionieri politici come me, che probabilmente sarò la prima persona con una condanna a 20 anni a scontare l’intera pena senza la condizionale.

Tutto questo riguarda la situazione legale in cui mi trovo e la data del mio rilascio.

In generale, si tratta di un avanzamento molto negativo, perché finora non era usuale che facessero una cosa del genere. Tuttavia, negli ultimi anni in Grecia c’è stato un crescente inasprimento del quadro giuridico della repressione, del codice penale e del codice “penitenziario”, al fine di aumentare le pene e la durata della permanenza in carcere dei detenuti. E questo vale innanzitutto per i prigionieri politici come me, che probabilmente sarò la prima persona con una condanna a 20 anni a scontare l’intera pena senza la condizionale.

Per quanto riguarda le azione di solidarietà e il tentativo di evasione della compagna Roupa nel 2016, dirò alcune cose che penso chiariranno ciò che state chiedendo rispetto alle prospettive di lotta.

Il tentativo di fuga in elicottero tentato dalla compagna Roupa era chiaramente finalizzato, in caso di successo, a continuare a portare avanti le azioni d Lotta Rivoluzionaria nel contesto in cui i memorandum, i programmi di austerità imposti alla Grecia dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale si erano consolidati dal 2010 in poi. Lotta Rivoluzionaria aveva già iniziato una campagna di attacchi contro la gestione politica della crisi economica da parte dei governi greci, già a partire dal 2009 dopo la rivolta del dicembre 2008, ci sono stati attentati dinamitardi contro le banche (Citibank, Eurobank), contro la Borsa di Atene e anche con alcuni attacchi armati contro gli agenti della polizia antisommossa dopo la rivolta del 2008. Anche quando eravamo ancora in clandestinità nel 2012, dopo i nostri primi arresti nel 2010 – essendo stati inizialmente messi in custodia cautelare per 18 mesi e poi rilasciati perché il processo non aveva avuto luogo – abbiamo continuato l’azione realizzando l’attentato con un autobomba da 75 kg di esplosivo il 10 aprile 2014 presso l’edificio della Direzione di Vigilanza della Banca di Grecia dove si trovava l’ufficio del rappresentante permanente del FMI in Grecia. Questo attentato è stato dedicato al nostro compagno Lambros Fountas, ucciso in uno scontro armato con gli agenti di polizia il 10 marzo 2010, durante un’azione preparatoria -( l’esproprio di un auto) che l’organizzazione avrebbe dovuto utilizzare in un attentato che andava a colpire l’applicazione del Primo Memorandum del 2010.

Ma dopo la sconfitta della rivolta sociale e popolare contro l’imposizione dei memorandum nel 2010-12, le condizioni sono cambiate drasticamente in peggio. Questa sconfitta, come ho formulato anche nel mio ultimo testo “Fino alla fine – Come siamo arrivati qui “, è dovuta all’assenza di un movimento rivoluzionario antistatale e anticapitalista negli anni 2010-12 – quando il popolo greco aveva assediato il Parlamento e ne sarebbe dovuta seguire l’occupazione di questo- con l’obiettivo di tentare una svolta rivoluzionaria in Grecia in quel momento. Questo era qualcosa che Lotta Rivoluzionaria. aveva proposto al movimento anarchico/antiautoritario e al più ampio movimento anticapitalista già nel 2009, quando la crisi economica internazionale stava iniziando a colpire la Grecia e noi stavamo portando avanti la campagna di attacchi di cui ho parlato poco prima. Lotta Rivoluzionaria, allora sosteneva che solo la Rivoluzione Sociale sarebbe stata la soluzione per superare la crisi economica. Ma questo non è avvenuto. La sconfitta della rivolta sociale contro i memorandum nel 2012, ma allo stesso tempo la sconfitta politica del “movimento” e degli spazi di resistenza, ha avuto conseguenze molto gravi. Questa sconfitta ha portato al totalitarismo statale che stiamo vivendo oggi, all’impoverimento e all’austerità permanenti, ai crimini di Stato come gli incendi mortali a Mati nel 2018 e lo scontro tra treni a Tempe nel 2023, dovuti al degrado deliberato delle infrastrutture sociali, e alla simultanea intensificazione della repressione anche dal punti di vista legislativo, come l’indurimento del quadro giuridico nel codice penale e ‘’penitenziario’’ che ho menzionato prima. Da allora si è assistito a un generale arretramento delle lotte e delle resistenze sociali e da allora lo Stato approva qualsiasi misura desideri con relativa facilità e quasi senza trovare resistenza, indipendentemente dal governo, sia esso di destra o di sinistra. Un’altra conseguenza della sconfitta del 2012 è che parti dello spazio anarchico/antiautoritario greco hanno sostenuto il partito di sinistra Syriza dopo il 2012, nell’illusione che se fosse salito al governo si sarebbe opposto ai finanziatori della troika dell’UE, della BCE e del FMI -, e che il Paese sarebbe uscito dall’UE e che ci sarebbero potute essere alternative e opportunità di lotta!

È noto che molti anarchici hanno votato per SYRIZA nelle elezioni del 2012 e del 2015.

Al contrario, nel 2014, quando Lotta Rivoluzionaria ha messo un ordigno esplosivo alla Direzione della Vigilanza della Banca di Grecia e l’ufficio del Fondo Monetario Internazionale, aveva previsto nella sua rivendicazione, nella quale si assumeva la responsabilità, che anche SYRIZA, una volta diventata governo, si sarebbe sottomesso alla troika, nonostante le sue promesse di abolire i memorandum, e queste ipotesi sono state confermate.

In queste condizioni di generale sconfitta sociale, ma anche di fallimento politico, di arretramento e di opportunismo dello spazio anarchico/antiautoritario e del “movimento” dopo il 2012, Lotta Rivoluzionaria ha incontrato grandi difficoltà nell’intensificare la sua azione. Ci siamo trovati isolati e con una grave mancanza di solidarietà e sostegno. È stata proprio questa la causa dei nostri arresti, il mio nel 2014 e quello della compagna Roupa nel 2017, ed è stata la causa, ovviamente, della fine delle azioni di Lotta Rivoluzionaria. Non avevamo alcun sostegno per resistere nell’illegalità, nemmeno per sopravvivere. Perché altrimenti come si spiega che la compagna Roupa, da sola, abbia tentato di dirottare l’elicottero per permettere a me e ad altri di fuggire dalla prigione?

Più in generale, la mancanza di solidarietà è stata una cosa che abbiamo riscontrato fin dai primi arresti nel 2010. E questo è dovuto alla cattiva tradizione del “movimento” greco, che ha difficoltà a difendere politicamente i militanti che si assumono la responsabilità politica della loro partecipazione alle organizzazioni di guerriglia di cui fanno parte, mentre è più facile difendere coloro che vengono arrestati per questa stessa appartenenza, ma che dichiarano di essere stati vittima di una montatura dello Stato o di essere perseguitati per le loro relazioni associative e politiche. Questa è una cattiva tradizione in Grecia rispetto all’Europa occidentale e al movimento di guerriglia dell’Europa occidentale degli anni ’70 e ’80, dove l’assunzione di responsabilità politica da parte dei membri delle organizzazioni di guerriglia era evidente. Siamo stati i primi in Grecia, a livello organizzativo e non individuale, ad assumerci la responsabilità politica della nostra partecipazione a Lotta Rivoluzionaria nel 2010. Quando nel 2012 siamo entrati in clandestinità per continuare a portare avanti le azioni di guerrilla, nelle condizioni dei sconfitta sociale generale, nell’arretramento degli spazi di resistenza e nell’opportunismo dimostrato da parti dello spazio anarchico/antiautoritario che vedeva positivamente il governo di Syriza, la mancanza di solidarietà è stato ancora maggiore. Questa mancanza di solidarietà, combinata con il totalitarismo di Stato e di regime che ha iniziato a prevalere dopo il 2012 e con l’intensificarsi della repressione penale e ‘’correzionale’’ negli ultimi anni, ha contribuito in una certa misura al trattamento brutale che abbiamo ricevuto dallo Stato dopo i nostri arresti nel 2014 e nel 2017, evidente anche anche in termini di sentenze e nel fatto che, dopo l’arresto della compagna Roupa nel 2017, ci hanno tolto la custodia di nostro figlio, nato in carcere nel 2010, e hanno cercato di rinchiuderlo in un istituto.

Più in generale, parti dello spazio anarchico/antiautoritario hanno mostrato un atteggiamento bellicoso nei nostri confronti, arrivando a sostenere politicamente un ex membro dissociato della nostra organizzazione che nel 2017 aveva dichiarato pubblicamente in tribunale che “non ho mai dichiarato di essere un rivoluzionario” e che “Lotta Rivoluzionaria è stata sconfitta nel 2010”, prendendo una netta posizione di separazione da noi, da me e dalla compagna Roupa che eravamo in clandestinità e continuavamo con le azione di Lotta Rivoluzionaria, come con l’attacco alla CBE e all’ufficio della FISM e il tentativo di farmi fuggire da parte della compagna Roupa. Per alcuni, Lotta Rivoluzionaria è stata ‘’buona’’ fino al 2010, ma non sarebbe dovuta esistere dopo! Infatti, il sostegno politico al dissociato è arrivato a tal punto, che in tribunale 3 persone del movimento, hanno fatto da testimoni per sostenere la difesa del dissociato, dopo che queste aveva fatto queste dichiarazioni che affermavano la sua separazione da noi e della storia dell’organizzazione, che è una prima mondiale nella storia dei movimenti e delle guerriglie!

Per tutti questi motivi che ho citato sopra, la sconfitta sociale dopo il 2012 e l’arretramento e l’opportunismo del “movimento” e dello spazio anarchico/antiautoritario, il tentativo di fuga con il dirottamento dell’elicottero da parte della compagna Roupa, pur essendo un’azione senza precedenti, non ha avuto i risultati che avrebbe dovuto avere. Il fatto che il tentativo fosse destinato a far sì che altri si unissero a noi in questa fuga, lo ha reso un atto di solidarietà senza precedenti che la compagna Roupa ha compiuto a rischio della sua vita. Ma questo non è stato apprezzato né dallo spazio anarchico/antiautoritario né da coloro che stavano per fuggire con noi. Ciò è dovuto all’erosione delle coscienze nello spazio, alla portata della sconfitta nella lotta e all’alienazione del concetto di solidarietà, poiché la solidarietà è diventata una questione di interesse individuale e personale.

Ma per essere onesti, devo dire che ci sono parti dello spazio e del movimento anarchico che sono solidali con noi, che ci sostengono in ogni modo possibile, così come dall’estero. Ma questo non annulla la triste situazione che vi ho descritto. E questa situazione è il motivo per cui sarò l’unico prigioniero finora con una condanna temporanea, non una condanna all’ergastolo, che sarà rilasciato non con la condizionale ma al termine dell’intera pena.

Un’altra cosa che vorrei sottolineare è che attualmente nelle carceri greche non esiste nulla di simile al 41 bis che invece esiste in Italia come regime totale di isolamento. Nel 2014 è stato creato un regime speciale, le carceri di tipo C, e questo è il carcere di Domokos. Io sono stato il primo detenuto a esservi trasferito.

Questo regime è stato rapidamente abolito nella primavera del 2015 dopo uno sciopero della fame dei detenuti politici-anarchici. Tuttavia, l’attuale governo a partire dal 2022 ha legiferato un regime di detenzione speciale, le cosiddette carceri di “massima sicurezza”, che tuttavia non sono ancora state aperte ed è previsto che vi siano detenuti coloro che sono accusati o condannati in base alla legge ‘antiterrorismo’, cioè i prigionieri politici, per crimini “organizzati” o i detenuti che hanno commesso infrazioni disciplinari all’interno del carcere.

Vorrei anche sottolineare che, a parte l’arretramento delle lotte e della resistenza nella società, negli ultimi 5 anni, nonostante lo Stato abbia ripetutamente rivisto peggiorativamente il codice penale e “penitenziario”, con l’obiettivo, come ho detto prima, di aumentare le pene e di mantenere la maggior parte dei detenuti in carcere alzando i limiti per accedere alle libertà vigilata, non ci sono lotte di detenuti in carcere. Tutte le proposte di legge in materia sono passate senza alcuna opposizione. Le uniche iniziative degne di nota sono state, nel 2020, una manifestazione di donne detenute nel carcere di Korydallos che hanno tenuto aperte le loro celle all’ora di chiusura di mezzogiorno, organizzata dalla compagna Roupa – e legata a misure covid – e per la quale la compagna è stato trasferita il giorno dopo nel carcere di Tebe. E una rivolta avvenuta anche dalle donne prigioniere detenute nella prigione di Tebe, quando una detenuta morì per l’inadeguatezza delle cure mediche, doveva essere trasportata in ospedale ma non lo fecero. E più recentemente ci sono state alcune mobilitazioni nel carcere femminile di Korydallos.

Quando sono state approvate diverse proposte di legge per la revisione del codice penale e “correzionale”, ci sono stati alcuni tentativi di mobilitazione molto tardivi, nel 2023-24, nelle carceri maschili, senza alcun successo.

Purtroppo, compagni, viviamo in un totalitarismo di Stato e di regime in continuo aumento, con lo Stato che avanza e gli spazi di resistenza e il “movimento” che arretrano costantemente. Tuttavia, non dobbiamo perderci d’animo e continuare la lotta.

Nonostante il costo che sto pagando, sono più che mai convinto della giustezza e della giustizia delle mie scelte e della giustezza dell’azione di Lotta Rivoluzionaria, della correttezza delle sue proposte, di ciò che ha detto. Perché le nostre analisi e le nostre previsioni si sono avverate nel tempo e perché le proposte per un’altra società, libera dallo Stato e dal capitale e senza classi, restano attuali.

Auguro a tutti i compagni, ai combattenti forza e salute. Mando un grande abbraccio a tutti i compagni di tutto il mondo che sono in carcere e auguro loro di rimanere forti nonostante le difficoltà dell’incarcerazione.

LOTTA CONTRO LO STATO E IL CAPITALE

SOLIDARIETÀ A TUTTI I RIVOLUZIONARI DETENUTI

LUNGA VITA ALLA RIVOLUZIONE SOCIALE

Nikos Maziotis,
condannato per le azioni di Lotta Rivoluzionaria,
4° reparto del carcere di Domokos

[Pubblicato in https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/nikos-maziotis-prigioniero-anarchico-condannato-per-le-azione-di-lotta-rivoluzionaria/| Riproposto in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/06/19/fuorilegge-contributi-dalle-carceri-materiali-vari-e-un-racconto-su-una-due-giorni-di-discussione-tra-fuori-e-dentro-il-carcere/]

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Contributo di Emilio, anarchico di Città del Messico, in occasione dell’iniziativa “FUORILEGGE: Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori”

Come compagni e compagne che da anni siete parte della solidarietà anarchica con i prigionieri politici in Messico, a Città del Messico come è la realtà che vivete? L’unico prigioniero politico anarchico imprigionato è Jorge Esquivel.
Miguel Peralta è fuori dalle loro mura…
Un saluto a tutti e tutte le compagne li presenti, un forte abbraccio a voi, a questa possibilità di incontro per la solidarietà internazionale e complice. Da me, dai compagni e dalle compagne che da anni sentiamo il calore di questo legame che ci unisce nelle lotte che vogliono la distruzione del carcere, perchè esempio di tutto questo putrido sistema che ne è il suo principale sostenitore.
Jorge Esquivel è un compagno anarchico della comunità Punx, qui a Città del Messico.
Fa parte, è membro e partecipa all Okupa Che. L’Okupa Che è uno spazio autogestito, libero e autonomo, qui a Città del Messico da oltre 25 anni. È un auditorium – per darvi un’idea migliore, un auditorium all’interno dell’Università, dentro l’Università Nazionale Autonoma del Messico.
In primo luogo, quello spazio fu occupato dal movimento studentesco al termine di una lotta, la “huelga” durata nove mesi contro la privatizzazione dell’accesso all’università. Col tempo, i collettivi studenteschi se ne andarono gradualmente e, principalmente, rimasero gruppi libertari, tra cui gruppi Punx e legati alla cultura Punx che iniziarono a gestirlo, organizzando attività, presentazioni di libri, concerti e incontri.L’ auditorium Che Guevara, come spazio, o “Okupa Che”, come è oggi conosciuta, è stato storicamente anche un luogo di incontro per i movimenti sociali e popolari in Messico, a partire dal movimento studentesco del ’68 e dagli scioperi universitari, e ha aperto le sue porte ad altri movimenti, come il movimento zapatista dell’epoca.
Jorge è stato un membro molto attivo di Okupa Che, partecipando a diverse iniziative, come la mensa vegetariana, il cineforum e altre ancora. È anche importante notare che l’Okupa Che esiste da oltre 25 anni – 25, proprio quest’anno – ha sempre mantenuto la sua identità autonoma, autogestita e che ha sempre resistito ai tentativi del rettore universitario di sgomberarla per riappropriarsi di questo auditorium. I tentativi sono stati dagli attacchi mediatici, ai tentativi di accusare o di accuse vere e proprie nei confronti di vari membri di Okupa Che, e l’ Okupa stessa, di essere un luogo di spaccio di droga, e che i suoi occupanti fossero degli spacciatori.
Hanno anche tagliato molte volte la corrente elettrica, l’ acqua e i servizi pubblici, che ogni volta sono stati ripristinati grazie all’ autogestione. Abbiamo ricevuto anche attacchi fisici e tentativi di sgombero, come avvenuto in un’occasione in cui gruppi organizzati di attacco “porros”supportati e finanziati dal rettore sono entrati, hanno picchiato gli occupanti e hanno tentato di sgomberare l’auditorium. Tuttavia, grazie a una grande solidarietà, lo spazio è stato difeso e mantenuto autonomo. Concettualizzare cosa sia Okupa Che e il contesto che la circonda, è importante per comprendere la detenzione di Jorge Esquivel, inizialmente arrestato nel 2016 con l’accusa di essere uno spacciatore.
Fu arrestato nei pressi delle dell’ Okupa, nella Ciudad Universitaria e trasferito inizialmente in carcere, poi la Procura Generale lo ha trasferito in un carcere di massima sicurezza nel nord del paese, a diverse migliaia di chilometri di distanza, con l’accusa di spaccio di droga. Il carcere in cui fu inizialmente detenuto era un carcere di massima sicurezza, dove vengono detenuti i leader o i capi di gruppi criminali, i cartelli della droga, proprio lì, il nostro compagno Jorge fu inizialmente incarcerato. Fortunatamente, grazie al lavoro legale e alla solidarietà, il tribunale ha dovuto ribaltare l’accusa e il nostro compagno è stato rilasciato.
Ma è stato un po’ come il caso del nostro compagno Miguel Peralta, di cui abbiamo parlato. Beh, non so se fosse correlato, ma dopo il rilascio di Jorge, anni dopo, gli è arrivata una notificata, dal tribunale, che sosteneva che la Procura della Repubblica, non era d’accordo con la decisione del giudice, e a seguito del ricorso, il giudice ha nuovamente emesso un mandato d’arresto per il nostro compagno Jorge. Dopo circa tre o quattro anni di libertà, hanno emesso un altro mandato d’arresto, e lui è stato nuovamente arrestato dopo aver lasciato l’Okupa Che.
Lo arrestano, ma questa volta lo mandano in un carcere di Città del Messico, qui al Recursorio Oriente. Questa volta l’accusa viene rimodulata, non più un reato federale, come la prima volta, per la quale fu mandato in un carcere di massima sicurezza, ma piuttosto di un reato comune, locale, equivalente allo spaccio di droga, a qualsiasi vendita di droga. Lo scorso dicembre, Jorge ha trascorso tre anni in carcere, rinchiuso.
Attualmente è condannato a sette anni e sei mesi, di cui ne ha già scontati tre. Durante questo periodo, sono state svolte diverse azioni e attività di solidarietà, non solo qui a Città del Messico, ma anche in diverse parti del paese, in questa regione, e siamo in attesa del ricorso presentato dagli avvocati. È stata presentata un’ingiunzione affinché il giudice prenda in considerazione una serie di irregolarità nel processo, poiché le accuse contro il compagno sono evidentemente false. Non è coinvolto nello spaccio di droga, ma fa parte di una campagna politica contro OKUPA-CHE, contro gli spazi autonomi, contro gli spazi libertari, e stanno usando il nostro compagno Jorge come capro espiatorio, come lo chiamiamo noi. Lo stanno punendo, lo stanno rinchiudendo, come un modo per attaccare o continuare ad attaccare l’OkCUPA.
Jorge ha mantenuto una ferma resistenza all’interno del carcere, è rimasto saldo nei suoi ideali e stiamo aspettando la sentenza d’appello. Speriamo che, forse, grazie a questo appello, il nostro compagno possa essere nuovamente rilasciato. Ma nel frattempo, le azioni e le attività continuano, e continuano a esserci chiamate e iniziative per continuare ad esprimere solidarietà e sostegno a Jorge.

D: La solidarietà e la lotta dall’interno e dall’esterno, negli anni. Le esperienze, le lotte e i prigionieri politici dell’ultimo decennio.

Per questo è necessario tornare un po’ indietro nel tempo, più o meno al 2012. Un po’ prima, esattamente, forse anche un po’ di contesto, perché il 2012 ha segnato l’inizio di un momento, un periodo di grande persecuzione politica e giudiziaria e una presa di mira del movimento anarchico e di alcuni gruppi e individui anarchici in particolare.
In seguito a quanto accaduto il 1° dicembre 2012, nel contesto della presa del potere da parte dell’allora presidente Enrique Peña Nieto, scoppiarono una intensi di scontri e rivolte nelle strade del centro storico della città, individui, compagni e compagne, persone dei quartieri, gruppi, organizzazioni, esprimevano malcontento, e si scontravano con la polizia. Ci furono tanti danni e molti scontri. Quello stesso giorno, il capo della polizia di Città del Messico si presentò sulle tv nazionali per denunciare i responsabili di quei disordini, i responsabili di quegli scontri. Indicò diversi gruppi, e questo aprì una fase di persecuzione, di accuse politiche e giudiziarie contro gli anarchici in generale.
Da quella situazione, da quel clima, credo– mi soffermo brevemente – che emerga la logica di creare un nemico interno per attuare politiche di controllo sociale e repressive da parte del governo. Vale a dire, giustificare misure di polizia come l’installazione di telecamere negli spazi pubblici, protocolli di controllo della folla durante le manifestazioni, in breve, una serie di misure di polizia e repressive giustificate con la scusa di controllare gli anarchici. Quindi, credo che questo fosse il contesto di queste politiche all’epoca, ma proprio per giustificarlo, decisero di scegliere di arrestare in alcuni momenti specifici, come la marcia del 2 ottobre anniviersario del massacro di Tlatelolco dove furono uccisi centiania di studenti, il 2 di ottobre del 1968.E’ una marcia molto ampia e numerosa a cui parteciparono diverse organizzazioni sociali, di base, studentesche e di altro tipo.
E dove il blocco nero, il blocco anarchico, era costantemente sorvegliato e perseguitato. Diversi compagni vennero arrestati in questi contesti di mobilitazioni e cortei. Come Fernando Bárcenas, Abraham López e altri compagni di cui parleremo più avanti.
È anche importante ricordare che in questo contesto che si sviluppa maggiormente la cosiddetta “tendenza informale” all’interno dell’anarchismo e di gruppi insurrezionali e d’azione che innondarono la città con azioni di sabotaggio e attacchi contro i simboli del potere e del capitale. Questo è il contesto di cui stiamo parlando, all’incirca dal 2012 al 2016. E proprio in quel periodo, diverse compagne, furono incarcerate per vari motivi, sia perché arrestate durante queste marce, sia arrestate dopo aver compiuto alcune di queste azioni contro i simboli del potere.
C’erano anche diversi compagni che erano in prigione. Alcuni di loro nella stessa prigione. Qui a Città del Messico ci sono quattro prigioni: quattro maschili e due femminili. Alcuni erano nella prigione nord, altri in quella est e alcuni in quella sud.
Ce n’erano diversi in diverse carceri. C’erano anche compagne nel carcere di Santa Marta, che è il carcere femminile. E bene, in quel contesto, all’interno di queste carceri e a causa della presenza dei compagni che erano stati arrestati in diverse situazioni, è iniziata una serie di lotte e di resistenza all’interno del carcere, contro la prigione, a volte contro la reclusione, ma anche per la libertà, per la loro libertà.
Nello specifico, beh, parlerò di due, tre esperienze. Una è stata, credo, la prima esperienza di coordinamento tra compagni anarchici, detenuti in carceri diverse, per realizzare un’azione contro il sistema carcerario, che si è concretizzata in uno sciopero della fame. A quello sciopero della fame hanno partecipato un compagno che si trovava nel carcere orientale, Carlos López; due compagni che si trovavano nel carcere settentrionale, Fernando Barcenas e Abraham López; e un compagno che era detenuto in un carcere di Oaxaca, Miguel Peralta.
Quei cinque compagni, anche con Luis Fernando Sotelo si sono riuniti e lo stesso giorno hanno iniziato uno sciopero della fame contro il sistema carcerario.
Si è trattato di uno sciopero della fame particolare perché, in genere, e non lo dico in alcun modo per denigrare, gli scioperi della fame perseguono generalmente un obiettivo specifico, che si tratti di miglioramenti all’interno del carcere o del carcere stesso, o di una pressione diretta per il rilascio del/i detenuto/i. In questo caso, lo sciopero non è stato uno sciopero di protesta in tal senso, ma piuttosto ha cercato, attraverso l’utilizzo dello sciopero della fame, di denunciare e rendere visibile la natura del sistema dei carcerario come meccanismo di dominio all’interno del sistema capitalista. E, d’altra parte, è stato uno sciopero di protesta contro quei meccanismi che il carcere usa per spersonalizzare, spezzare la persona, trasformarla non in una persona, ma in un numero o in un oggetto che non può fare altro che obbedire agli ordini all’interno del carcere e disciplinarsi.
Quindi aveva anche quel carattere. Questi cinque compagni si sono uniti e hanno intrapreso uno sciopero della fame. Due compagne anarchiche non hanno aderito allo sciopero della fame, ma hanno mostrato la loro solidarietà con un’azione all’interno del carcere, nella sala da pranzo, dipingendo graffiti che esprimevano la loro solidarietà ai compagni in lotta.
Erano due detenute nel carcere di Santa Marta, Amelie e Falón. Questo sciopero della fame, non avendo un obiettivo specifico, ma piuttosto una protesta e una rivendicazione, non è durato più di 15 o 20 giorni. Perché non era intenzione dei detenuti stremarsi o mettere a rischio la propria salute, ma semplicemente fare questa dichiarazione politica contro il carcere.
Questo sciopero è stato accompagnato e sostenuto da varie manifestazioni e azioni di solidarietà nelle strade. Proprio perché a volte parliamo di dentro e di fuori, come se noi fuori dal carcere fossimo liberi, ma siamo comunque soggetti a questo sistema capitalista. Questo sciopero è stato accolto e sostenuto e rivendicato con vari gesti e azioni nelle strade.
È stata un’esperienza molto arricchente, sia per il coordinamento dei detenuti nelle diverse carceri, sia per la natura stessa dell’azione, sia per il sostegno e la solidarietà che sono stati forniti all’esterno. Ci sono stati cortei, raduni, incontri, blocchi stradali, picchetti, scioperi e la solidarietà si è espressa in una moltitudine di modi. Questo è stato molto importante.
Successivamente, un’altra esperienza di lotta, organizzazione e resistenza all’interno del carcere: la “il coordinamento Informale dei Prigionieri in Resistenza, o CIPRE, come veniva chiamato. Mi sembra che riecheggiasse quell’esperienza di organizzazione e coordinamento che si era sviluppata tra i prigionieri anarchici in diverse carceri. Questa volta si trattava di prigionieri politici; non tutti anarchici, ma che erano stati detenuti nel contesto delle manifestazioni del 2 ottobre o delle proteste contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici.
Come nel contesto delle proteste, queste compagne e compagni erano statei arrestati e detenuti in diverse carceri, principalmente nel carcere orientale e nel carcere femminile di Santa Marta. Decisero di coordinarsi e di organizzarsi formando questa organizzazione informale, chiamata “Coordinatrice Informale”, e lanciarono una serie di rivendicazioni. In questo caso, lo fecero, a esempio, denunciando con azioni la collaborazione delle istituzioni carcerarie con gruppi di criminali organizzati, garantendo loro lo spaccio e il consumo di droga all’interno delle carceri. Denunciarono anche una serie di violenze e percosse da parte delle guardie carcerarie. Oltre denunciare t questo sulle condizioni carcerarie, in questo caso chiedevano il rilascio delle membri del CIPRE. Inizialmente, questo coordinamento era composto da prigionieri politici, ma gradualmente, principalmente nel carcere settentrionale, si unirono anche compagni che non erano state detenuti nel contesto di manifestazioni o azioni politiche, ma erano piuttosto cosiddetti prigionieri sociali, prigionieri comuni, che gradualmente si iniziarono ad interessare, ad organizzate, ed in qualche modo divennero politicizzati e coordinati all’interno della coordinatrice informale.
E’ stato lanciato uno sciopero della fame, per denunciare queste condizioni carcerarie e chiedere il rilascio dei membri del coordinamento. A poco a poco, sono stati rilasciati perché la situazione legale dei prigionieri è stata risolta, o perché sono stati assolti o perché, essendo stati detenuti in questi contesti politici, la maggior delle accuse a loro carico era inventata o manipolata.
La compagna Jacqueline, il compagno Brian e il compagno Julián sono stati rilasciati. Non ricordo tutti i loro nomi, ma continuavano man mano ad essere rilasciati.
Alla fine, solo il compagno Fernando Bárcenas e il compagno Abraham Cortés, che erano imprigionati nel Carcere del Nord, rimasero in carcere. Abraham, arrestato durante una marcia per il 2 ottobre, e Fernando Bárcenas, arrestato durante una manifestazione contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici e accusato di aver dato fuoco a un albero di Natale che decorava Avenida Reforma.
La sua permanenza diede vita ad un’altra esperienza di organizzazione e lotta che in seguito avrebbe avuto un peso e una portata molto maggiori: i prigionieri di quel coordinamento iniziarono a scrivere un giornale, prodotto, scritto e realizzato a mano da loro.
Cosa intendo per “fatto da sé”? Lo facevano a mano, perché ovviamente in prigione non avevano accesso a computer, programmi di grafica o cose del genere. Tutto, dagli articoli, erano scrittoi a mano, facevano anche delle illustrazioni e dei disegni Questo giornale si chiamava El Canero.
“Cana” è il nome che si dà alla prigione qui in Messico. Chi è in prigione o ha qualcosa a che fare con la prigione è considerato “canero”. Quel giornale è nato in quel contesto.
Ma quando Cifre e le persone che ne facevano parte furono liberate, solo Fernando Bárcenas rimase in carcere perché alla fine fu rilasciato anche Abraham Cortés. Fernando iniziò a organizzarsi e a formare una comunità con altri prigionieri all’interno carcere Nord. Non erano prigionieri politici, perché non erano incarcerati per rivendicazioni politiche, ma piuttosto, ancora una volta, erano i cosiddetti prigionieri sociali o prigionieri comuni. Iniziarono a riunirsi attorno a questo giornale, El Canero, e da lì emersero varie iniziative o proposte, varie esperienze di lotta e organizzazione all’interno del carcere, come il Comando Cimarron.
Il Comando Cimarron era una band hardcore punk formata da alcune detenuti che facevano parte di questo collettivo, riuscirono anche a registrare e pubblicare una registrazione di alcune canzoni, dovuto anche alle condizioni del carcere, che permettevano, se si avevano i soldi di farlo, ovviamente di qualità molto bassa, ma, e ancora una volta, la cosa interessante è che si tratta di canzoni scritte da loro in carcere e registrate in carcere, quindi anche di questa esperienza è rimasta anche questa registrazione dei Comando Cimarron. Allo stesso tempo, avevano questo giornale che continuava, che era iniziato in forma differente ma che continuava. Ci furono, se non ricordo male, quattro numeri, e ancora una volta, da fuori il legame, il supporto, la solidarietà e la complicità tra questi compagni che erano in carcere e alcuni compagni nelle strada si dava anche con la digitalizzazione, l’impaginazione e la stampa. Era importante la pubblicazione di questi scritti, riprodurre questo giornale, che veniva distribuito sia per strada che all’interno delle carceri.
Alcune copie sono state rimandate indietro, perché c’era molta attenzione dagli agenti, dai carcerieri, che se le vedevano, le sequestravano.Ma molte sono riusciti a farle passare comunque! È così che siamo riusciti a riprodurre il giornale e a distribuirlo. Ci sono state anche alcune attività per presentare questo giornale in vari luoghi. Quindi, beh, è ​​stata anche un’esperienza interessante, perché non era mai successo prima, almeno non in questi termini, di una collettività, una comunità all’interno delle carceri, all’interno del carcere, che lottava in modo organizzato, resistendo alla reclusione attraverso la creatività, l’espressione musicale e artistica, ma anche attraverso la riflessione e l’analisi. Il canero conteneva le loro riflessioni, le loro analisi del carcere, le loro esperienze, l’esperienza della reclusione, ma tutto questo si dava anche attraverso la resistenza con i loro corpi. Il fatto che questi compagni si siano organizzati, si siano uniti, abbiano creato questa collettività, questa comunità, non è stato ben accolto dagli agenti, dall’amministrazione penitenziaria, e sono stati costantemente attaccati e provocati, non solo dagli agenti ma anche da altri detenuti.
E qui è importante ricordare che nelle carceri messicane, e suppongo anche altrove, ci sono questi prigionieri che lavorano, forse non ufficialmente o istituzionalmente, ma è noto che lavorano o rispondono all’istituzione. Sono i cosiddetti “borrego negro” o pecore nera, o simili a pecore, che svolgono questo ruolo di guardiani, di controllori quando i guardiani e le guardie dell’istituzione non sono presenti. Questi prigionieri provocavano e attaccano costantemente i compagni, spesso arrivando persino a provocare scontri. Quindi, di conseguenza, per la sua “sicurezza”, secondo l’istituzione, Fernando Bárcenas è stato tenuto in isolamento per lungo periodo, da solo, , sostengono per la sua sicurezza. Tuttavia, questo non ha impedito all’collettivo di continuare a funzionare, alla comunità di continuare ad andare avanti.
Funzionavano così, come una comunità all’interno del carcere, e credo che sia importante menzionarlo, perché il carcere ha proprio questo scopo: spezzare una persona, spezzare lei e i suoi legami di solidarietà, isolarla. Il fatto che questa comunità si sia creata all’interno del carcere è stato anche, in un certo senso, un modo per affrontare e rispondere a questi meccanismi di confinamento e isolamento. Quindi, beh, è ​​stata un’esperienza molto interessante di organizzazione e resistenza. Alla fine, anche i compagni che facevano parte del Comando Cimarrón, che avevano partecipato al Canero, hanno iniziato ad andarsene.
Fernando Bárcenas è stato finalmente rilasciato dopo quasi quattro anni di carcere, e dimenticavo un’altra esperienza organizzativa, ovvero la creazione della Biblioteca José Tarrío, all’interno del carcere, e questo anche grazie alla solidarietà di molti compagni, di molti collettivi che hanno donato libri, che hanno donato fanzine, opuscoli, pubblicazioni, e che questa comunità, questo collettivo all’interno del carcere, era riuscito a ottenere uno spazio all’interno del carcere per avere questa biblioteca, una biblioteca, uno spazio dove venivano altri prigionieri, e potevano prendere libri, leggere pubblicazioni, non solo anarchiche, ma in generale di altro tipo, e che sebbene ci fosse una biblioteca all’interno del carcere, funzionava anche e soprattutto come uno spazio di incontro, e uno spazio all’interno del carcere stesso,in uno spazio di “libertà”. Purtroppo, il Commando Cimarrón non ha continuato ad esistere ora che i compagni sono liberi. El Canero, non ha avuto seguito. Né dai compagni che sono stati rilasciati, nè dai detenuti che rimanevano dentro, né dalle persone fuori. E’stata un’esperienza importante che è durata per un tempo ed è finita. La biblioteca, quando è stato rilasciato Fernando Bárcenas, l’istituzione carceraria, la direzione del carcere ha deciso di appropriarsi della biblioteca, le ha cambiato nome, ha rimosso il nome della biblioteca José Tarrío, e l’ha presentata come una sua istituzine. Quindi, sfortunatamente, anche quella è andato persa., Stiamo parlando di tutto questo che è successo proprio in quel contesto dal 2012 al 2016. Tutte queste esperienze sono terminate con il ritorno in strada degli ultimi compagni. Sono come tre esperienze di organizzazione, di letterale resistenza dal carcere, di accompagnamento anche fuori, nelle strade questo, attraverso azioni, manifestazioni, eventi di solidarietà, ma anche di creazione di queste reti di complicità per far circolare questi materiali che tanto il Canero, quanto le registrazioni del comando Cimarron, dimostravano che era possibile realizzare questa coordinazione tra i prigionieri, nonostante fossero in prigioni diverse.

Emilio, compagno anarchico di CNA Mexico

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“Dal centro alla periferia”. Contributo per l’iniziativa “FUORILEGGE: Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori”

DAL CENTRO ALLA PERIFERIA
Pensieri spontanei e dissonanti per un dibattito ancora aperto. Contributo per la discussione che si terrà il 24 maggio a Pisa sulla solidarietà ad Alfredo Cospito.

Scrivo queste righe, per lo più interrogative e prive di facili risposte, perchè ritengo che un approccio militante, quanto acritico, abbia predominato negli ultimi anni in ogni confronto sulla tematica in questione, evidente già a partire dal linguaggio impiegato nei dialoghi, tanto quanto negli scritti. Per quanto si possa aver vissuto esperienze e contesti differenti, durante quell’arco di tempo che abbraccia lo sciopero della fame di Alfredo, è innegabile la mancanza di un’analisi critica condivisa a posteriori che davvero prenda in considerazione le modalità tramite cui la mobilitazione in sua solidarietà è stata affrontata (almeno in Italia). La maggior parte degli scritti pubblicati se non sono del tutto “derealizzati”, scambiando l’attenzione dell’opinione pubblica, dei media e dello Stato, con una forma di successo che ha messo in crisi l’apparato repressivo, sono in ogni modo mancanti o contraddittori. Questa carenza critica è ragionevolmente dovuta all’urgenza del momento, che ha portato in mancanza di strumenti di pensiero e di progettualità rivoluzionaria, ad affrontare la questione con una logica emergenziale, a riprodurre un fare senza prospettiva, impossibilitato per sua stessa natura a dar luogo ad una trasformazione qualitativa. Oltre a ciò vi è un’ingenuità di fondo nel considerare il modo di operare dello Stato e dei suoi apparati propagandistici che sono riusciti a recuperare il conflitto espresso in quel periodo, senza il bisogno di arretrare in alcunchè sulla situazione di Alfredo che è evidentemente rimasta invariata. Se vi è stato un recupero da parte dello Stato, da una parte del suo apparato burocratico, da umanisti democratici, politicanti di movimento esterni o parte del movimento anarchico (vedi coloro che per non compromettere la loro politica del consenso popolare sono stati disposti a gettare acqua su ogni fiammella di conflitto), non sarebbe onesto da parte di nessuno eludere la questione di come ciò sia stato possibile, alienando questa dinamica come totalmente esterna al proprio agire e alle proprie idee. Se ciò è stato possibile è anche perchè non si è fatto abbastanza per evitarlo e se non si riflette e non si affinano gli strumenti critici necessari, ci si troverà sempre nella stessa condizione disarmante ed esauriente.

Partiamo dal principio: come riporta la citazione di Alfredo Bonanno riportata nel testo introduttivo dell’iniziativa “Il carcere è l’espressione più brutale e immediata del potere e come il potere va distrutto, non può essere progressivamente abolito. Chi pensa di poterlo migliorare per poi distruggerlo ne rimane prigioniero per sempre.” è possibile e, se la risposta è affermativa, come, conciliare questa prospettiva chiaramente anarchica e irrecuperabile, con il sostegno ad un compagno prigioniero che rivendica l’abolizione di uno specifico regime carcerario? Questa riflessione ritengo sia un punto di partenza inevitabile per qualunque anarchico che si trovi a sostenere una lotta rivendicativa. Come fare a sostenere da fuori il percorso intrapreso dai prigionieri senza scivolare in logiche riformistiche e facilmente assimilabili dal dominio? Nel caso di Alfredo penso che in molti abbiano con le loro proposte facilitato il recupero di una lotta che già in partenza poteva mostrare delle criticità se non affrontata coscientemente. Una mobilitazione che ponga il proprio obiettivo dichiarato nel declassamento di Alfredo dal 41 bis, per certi versi limita non solo la sua estensione all’interno del mondo carcerario, concentrandosi solamente sulla condizione specifica di un anarchico prigioniero, ma pure la possibilità che la lotta raggiungi il suo potenziale massimo di liberazione, ponendola per di più su un piano facilmente strumentalizzabile da chi approfitta della situazione di Alfredo per denunciare un’ingiustizia giudiziaria, una persecuzione politica spropositata, o la disumanità di un regime carcerario; deviando l’attenzione della lotta dal pensiero e agire anarchico di Alfredo, dall’abominio dello Stato e della reclusione, verso la necessità di sanare delle ingiustizie troppo evidenti negli apparati stessi del dominio, mantenendo invariato il tutto. Da quando si dichiara pretendere una migliore detenzione per un compagno e non la sua libertà? Se si pensa sia solo questione di parole o slogan ci si sbaglia e non accadrebbe se le parole stesse non avessero smarrito ormai troppo spesso il loro significato e relazione con la realtà, parole come solidarietà e progettualità rivoluzionaria. Uno slogan ripetuto meccanicamente in ogni manifestazione come “fuori Alfredo dal 41 bis”, non solo pone ogni azione compiuta sotto questo cappello in una prospettiva limitata e limitante, come se si scegliesse di rinunciare in partenza ad un proposito più desiderabile e incompatibile con il potere, ma contiene in sè il possibile germe del riformismo.

Ciò che sostengo implica che bisognerebbe evitare di porsi degli obiettivi specifici e parziali, o di sostenere chi li rivendica? Assolutamente no, sono le modalità tramite cui si raggiungono questi obiettivi a fare la differenza, ovvero voglio dire che tali obiettivi andrebbero raggiunti in conseguenza del conflitto che si è in grado di dar luogo, obbligando lo Stato a concedere ciò che si vuole ottenere, senza che ciò implichi alcun tipo di dialogo con esso. Le esperienze del Kolektivo Kamina Libre, così come quelle dei compagni che raccontano le loro evasioni nel libro Adiòs Prisiòn dimostrano come la libertà possa essere strappata allo Stato con una lotta che si estenda nelle carceri e al loro esterno, o tramite la riappropriazione individuale o in gruppo della propria vita tramite la fuga. L’unico vero obiettivo era la libertà per poter tornare a vivere e a lottare.

Ciò che trovo molto spiacevole è l’impressione che per molti sia esistito ed esista solo l’approccio criticato finora, che tutto ciò che è avvenuto in solidarietà alla lotta di Alfredo segua questa logica volutamente parziale. Purtroppo il silenzio diffuso e la mancanza di una prospettiva differente, elaborata chiaramente e condivisa, rende effettivamente facile cadere in questo equivoco. Uno sguardo non solo carente, ma scorretto, pretende unificare motivazioni, differenze di prospettiva e metodo, in nome di un’esigenza militante che, per alcuni ha preso la forma di uno spregevole gioco politico automistificante e celebrativo. No, ci sono compagni che ritengono offensivo e indignitoso essere associati ad una tale campagna politica, compagni che hanno diverse motivazioni e modi di esprimere solidarietà ad Alfredo, che hanno preferito o purtroppo accettato il silenzio relativo o totale, piuttosto che adeguarsi alla retorica egemonica e confusa, tanto più allargata quanto meno sovversiva.

Penso sia il portato di tutte quelle azioni sparse, incessanti e destabilizzanti, che sono avvenute in quel periodo, ad aver trasmesso forza e passione, nonostante la tragicità del momento, a quest’agitazione. Azioni che, se anche nel più malaugurato caso, fossero sprezzantemente considerate da qualcuno come il canto del cigno, certamente non hanno nulla di paragonabile in bellezza alle tante apparizioni militanti, quando non umilianti e vittimiste, prettamente simboliche, che hanno distinto gran parte della mobilitazione. Una riflessione a partire dall’agire mi è sembrata particolarmente assente nel dibattito sulla solidarietà, che non solo affermi la necessità dell’azione, ma rifletta sulle circostanze che ne rendano possibile la diffusione, sugli obiettivi e sul portato che un certo tipo di azioni comporta piuttosto che altre (bruciare una macchina, per quanto è positivo perchè richiede una messa in gioco della persona e permette un approfondimento nelle relazioni, è ben diverso da interrompere o distruggere una fabbrica che ne produce i componenti per migliaia di vetture ogni giorno, per fare un esempio). Spesso ho l’impressione che si dia visibilità solo a ciò che è facilmente etichettabile da uno sguardo militante, perdendo di vista il senso e il potenziale di un agire rivoluzionario, dando importanza solo all’apparenza e alla spendibilità propagandistica di ciò che accade, non sviluppando uno sguardo progettuale rispetto al proprio agire come anarchici in un mondo che ha un suo funzionamento e quindi i suoi punti deboli.

Ripartire dalle circostanze e dal potenziale che hanno reso effettivamente possibile l’emergere di un agire qualitativo e quantitativo, riconoscendone i limiti dati dall’aspetto contingenziale e teoricamente carente, per poterli oltrepassare, realizzando effettivamente la prospettiva di un conflitto permanente e progettuale contro lo Stato, ritengo sia il compito necessario che ogni anarchico dovrebbe portare a termine affinchè la vita riaffiori tra le tetre monoculture del fare monotono e fine a se stesso. Mi auguro che queste mie considerazioni, per quanto frettolose e volutamente polemiche, possano effettivamente essere da stimolo per la discussione che avverrà.

Ogni società […] avrà i suoi margini, e ai margini di ogni società, vagabondi eroici e irrequieti andranno in giro, con i loro pensieri selvaggi e incontaminati, capaci solo di vivere preparando sempre nuovi e terribili scoppi di ribellione! Io sarò tra loro!”
Renzo Novatore

erre

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Materiali:

PDF (IT): Da qualche luogo sulla terra. Aggiornamenti e scritti dalla latitanza
PDF (ES): Canero. Periodico indipendente de combate No.1 – Junio 2014
PDF (ES): Canero. Periodico indipendente de combate No.3 – Primavera 2015
PDF (ES): Canero. Periodico indipendente de combate No.4

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