“Questa è la lebbra che chiamate civiltà”. Dichiarazioni spontanee di Alfredo, Francesco, Michele, Matteo, Sara e Paolo rese durante l’udienza preliminare del procedimento Sibilla (Perugia, 15 gennaio 2025)

“Questa è la lebbra che chiamate civiltà”. Dichiarazioni spontanee di Alfredo, Francesco, Michele, Matteo, Sara e Paolo rese durante l’udienza preliminare del procedimento Sibilla (Perugia, 15 gennaio 2025)

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“Questa è la lebbra che chiamate civiltà”

Dichiarazioni spontanee di Alfredo, Francesco, Michele, Matteo, Sara e Paolo rese durante l’udienza preliminare del procedimento Sibilla

Pubblichiamo le dichiarazioni spontanee lette (in un caso, depositata e letta dall’avvocato per un compagno che non ha potuto essere presente) da alcuni dei compagni e compagne anarchici imputati nel procedimento Sibilla in occasione dell’udienza preliminare dello scorso 15 gennaio 2025 a Perugia. Fra gli inquisiti, anche Alfredo Cospito, collegato in videoconferenza dal carcere di Bancali (a Sassari) dove è rinchiuso in 41 bis, ha letto una dichiarazione. Ricordiamo che l’udienza si è conclusa con il non luogo a procedere in merito a tutte le accuse per tutti gli imputati, decretando la conclusione definitiva di un procedimento infame che, oltre a mirare a zittire la pubblicistica anarchica rivoluzionaria, ha avuto un ruolo importante proprio nel trasferimento di Alfredo in 41 bis.

Per alcune ore Alfredo ha potuto ascoltare la voce dei compagni, vedere le loro facce, ha potuto parlare, rompendo la coltre di silenzio nel quale stanno tentando di seppellirlo. E questo è sicuramente più emozionante di qualunque decisione presa da qualsivoglia burocrate dello Stato. In particolare proprio le parole di Alfredo risuonano come una potente denuncia contro l’orrore totalitario del 41 bis. Quelle impronte dei bambini sui vetri divisori della sala colloqui dovrebbero scuotere le coscienze, di chi ancora ce l’ha una coscienza.

Non sappiamo in che misura l’intervento dei compagni in aula abbia in qualche modo influenzato la decisione del tribunale di non arrischiarsi in un processo di per sé traballante. Tuttavia il 15 gennaio si è reso evidente che anche le successive potenziali udienze avrebbero rappresentato senza dubbio alcuno un’occasione per intervenire, spezzando la coltre di isolamento del 41 bis, da parte di Alfredo e da parte degli altri compagni e compagne imputati.

Certamente non dovrebbe occorrere un processo come questo per avviare momenti di mobilitazione contro la vergogna internazionale del 41 bis e, nel caso specifico di Alfredo, da oggi le giustificazioni per l’internamento in questo regime speciale hanno un importante tassello in meno. Per fargli pagare lo scotto di questa contraddizione urge più che mai intraprendere altre strade e ravvivare le iniziative contro il 41 bis e le politiche guerrafondaie e repressive degli Stati.

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Dichiarazione letta da Alfredo Cospito nel corso dell’udienza preliminare del procedimento Sibilla

Oggi voi rappresentanti del braccio giudiziario di questa repubblica ci mettete sotto processo per delle scritte sui muri, per le nostre parole, per i nostri libri e periodici, costringendo di fatto l’anarchia alla clandestinità. Siamo in buona compagnia, con questo governo a guida postfascista la censura e la repressione si stanno espandendo a tutto il corpo sociale, accelerando la transizione da democrazia totalitaria a un tragicomico regime da operetta. Detto questo mi tocca ringraziarvi: dopo un anno di silenzio, grazie al vostro imbarazzante e anacronistico procedimento penale, mi è concesso esprimere il mio pensiero pubblicamente. Anche se da remoto, anche se per il breve tempo di un battito d’ali, oggi posso strapparmi il bavaglio, la mordacchia medievale di un 41 bis che un governo di centrosinistra anni fa mi ha applicato per mettere a tacere una voce scomoda, per quanto minoritaria e ininfluente, ma certo nemica di questa vostra democrazia. Questi due anni di regime speciale mi hanno definitivamente aperto gli occhi sul vero volto del vostro diritto, delle vostre garanzie costituzionali, rivelandomi un sistema criminogeno fatto di totalitarismo osceno, quanto crudo e assassino.

Oggi in quest’aula stiamo subendo un processo inquisitoriale basato su un’intervista rilasciata con regolare posta carceraria e non come vuol far credere l’accusa attraverso il colloquio con mia sorella, trascinata in aula per il solo fatto di continuare imperterrita a fare i colloqui con il fratello. Classica strategia di tutti i regimi autoritari nel mondo, usata regolarmente al 41 bis, per far terreno bruciato di ogni legame affettivo con l’esterno.

È indicativo, ad ogni colloquio che faccio, vedere le impronte delle mani dei bambini sui vetri blindati che li separano dai loro padri o dalle loro madri. Ma in fondo che aspettarsi da una democrazia che mette in prigione i bambini?

Naturalmente mi assumo tutta la responsabilità dell’intervista, che è il motivo per il quale oggi mi trovo al 41 bis, come d’altronde mi assumo la responsabilità di tutti i miei scritti, l’ultimo in ordine cronologico il piccolo saggio sul MIL nella Spagna postfranchista scritto in Alta Sicurezza prima di essere trasferito in questa tomba per vivi e sono certo già pubblicato o in procinto di esserlo.

Ed è qui la particolarità di questa mia storia giudiziaria. Messo in questo regime per farmi tacere definitivamente con l’accusa di un ruolo apicale, come definite il mio ruolo nel vostro contorto e involuto linguaggio. Un brutto precedente il mio, con risvolti inquietanti. L’essere riusciti a far passare la tesi che un anarchico possa svolgere un ruolo apicale, un ruolo intrinsecamente autoritario, quindi incompatibile con quello che è il pensiero stesso dell’anarchia, spalanca i cancelli del 41 bis a chiunque disturbi il potere, rivoluzionario singolo o movimento radicale che sia, oltre a rendere più facili i procedimenti penali abnormi come quello a cui oggi mi tocca assistere da imputato. Dico questo perché sono fermamente convinto che il mio trasferimento in 41 bis e questo stesso processo siano fondamentalmente un attacco alla libertà di pensiero e di stampa. È questo il fuoco della questione, il cuore di questo processo.

La pericolosità del 41 bis non si può ridurre a un gerarca da operetta che imbastisce una patetica trappola a un’opposizione altrettanto da operetta (indicativo in tal senso il mio trasferimento eterodiretto due anni fa da una sezione all’altra in vista dell’arrivo di politicanti romani per imbastire un teatrino con comparse più utili alla bisogna). La sua reale pericolosità è qualcosa di ben più oscuro, in potenza una formidabile scorciatoia repressiva in caso di conflittualità sociale. Quale modo migliore per silenziare i movimenti e le opposizioni radicali di un regime emergenziale già attivo e testato. Uno stato di eccezione in cui molti diritti sono sospesi, in cui regna una censura assoluta già sperimentata in decenni di pratica sul campo. Chi saranno i primi a vivere sulla propria pelle questo regime speciale? I compagni e le compagne che si battono per la Palestina? Gli anarchici e le anarchiche che imperterriti continuano a parlare di rivoluzione? I comunisti e le comuniste mai arresi? Quattro di loro sono decenni che resistono con fierezza in questo regime nell’isolamento più assoluto, senza mai piegarsi.

Se la guerra imperialista dell’Occidente tracimerà per reazione dai confini dell’Ucraina irrompendo nelle nostre case, se i conflitti sociali supereranno il limite sostenibile di un meccanismo traballante, o anche solo se la transizione morbida e graduale in regime non sarà praticabile, il 41 bis grazie proprio alla sua patina di legalità sarà lo strumento repressivo ideale per un’anestetizzazione sociale forzata, una sorta di olio di ricino per rimettere in riga i recalcitranti, un golpe graduale e a norma di legge. E questo spiegherebbe il perché di un regime emergenziale in assenza di una vera e propria emergenza. Per fare accettare questa forzatura, questa aberrazione del vostro stesso diritto, quale miglior cavallo di troia se non la lotta ai cattivi per eccellenza: i mafiosi. Gente indifendibile, divenuta irrecuperabile dagli stessi politici che prima li hanno usati per il lavoro sporco e poi seppelliti qui dentro per evitare recriminazioni su favori fatti e mai restituiti. Un segreto di Pulcinella che non sorprende più nessuno.

Con la scusa di combattere le mafie avete calpestato le vostre stesse leggi, tradendo la Costituzione ne avete svelato l’inconsistenza e la sua reale essenza di foglia di fico. Con la scusa di combattere le mafie avete messo in atto una sorta di persecuzione etnica. Qui con me, solo calabresi, campani, siciliani, pugliesi e ovviamente anche rom, figli impresentabili di un meridione popolato da cittadini di serie b. Gente arrestata a volte solo per il cognome che porta. Gente a cui i diritti in teoria inviolabili vengono negati per spingerli al pentimento, che nella vostra aberrante concezione del diritto si concretizza nella denuncia del proprio padre, della propria madre, del proprio fratello o sorella. Avvocati accusati di collusione quando non si fanno intimidire da PM Torquemada, colloqui blindati senza nessun contatto fisico o umano, colloqui nei quali i parenti vengono incerottati in caso abbiano tatuaggi e filmati e registrati alla ricerca di pretesti per arrestarli e inquisirli. Una spada di Damocle sospesa costantemente sulle loro teste per terrorizzare chi imperterrito continua a non voler abbandonare i propri cari. Un terrorismo di Stato che ha l’obbiettivo di privare il prigioniero della solidarietà più naturale, quella dei figli, delle mogli, dei mariti, delle madri che è l’unica solidarietà che la gente qui dentro può permettersi e capire. Una tecnica repressiva che privando della solidarietà umana e dell’empatia disumanizza. Arrivati a quel punto al prigioniero si può fare di tutto perché non è più un essere umano, è solo un numero a cui estorcere informazioni. Nel caso non si piegasse un soggetto da torturare con un isolamento assassino, privandolo di ogni speranza, in caso di ergastolo ostativo fino alla morte.

Una concezione del diritto degna della vostra etica. Questa è la lebbra che chiamate civiltà.

Alfredo Cospito

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Dichiarazione depositata da Francesco Rota nel corso dell’udienza preliminare del procedimento Sibilla

Non avrei mai scritto questa dichiarazione se non avessi ritenuto che sotto attacco vi fosse non solo un percorso di analisi e di approfondimento critico, quindi una porzione importante della mia vita, bensì soprattutto un compagno anarchico che lo Stato negli ultimi anni ha inteso seppellire sotto una coltre d’isolamento tesa all’annientamento, in quanto secondo gli organi antiterrorismo rappresentativo di una pluridecennale esperienza di lotta rivoluzionaria. D’altronde era evidente che un trasferimento in 41 bis e una condanna all’ergastolo equivalessero a un tentativo di annientamento. Il movimento di solidarietà internazionale degli anni 2022-’23, con la forza delle azioni intraprese, ha però prima rotto il silenzio e in seguito ha guastato il precario equilibrio politico su cui si basava questo tentativo.

Dopo alcuni anni di indagini da parte della procura di Milano, volte a tentare di collegare in qualche modo gli inquisiti a delle azioni di attacco, la procura di Perugia ha ereditato nell’ambito di un’inchiesta su uno spazio anarchico quegli atti di indagine concernenti la redazione e la distribuzione del giornale per cui oggi viene chiesto un rinvio a giudizio. Arrivando a questi ultimi anni, ecco quindi comparire la spudorata intenzione di impiegare questo procedimento in funzione di sostegno al 41 bis contro Alfredo Cospito. Quest’intenzione, assieme al perdurante attacco contro le pubblicazioni anarchiche rivoluzionarie in corso nell’ambito delle politiche belliciste degli ultimi esecutivi, è pertanto una delle ragioni per cui deposito oggi questa dichiarazione. In questo senso esprimo nuovamente e senza mezze misure la mia solidarietà con Alfredo Cospito, riconfermo quanto già dichiarato in sede di udienza di riesame sulle misure cautelari il 14 marzo 2023 e ribadisco le ragioni della mia viscerale partecipazione alla mobilitazione del 2022-’23 contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.

Come agire contro la complessiva svolta tecnologica in atto da decenni, combattendola fin da ora, prima che sia troppo tardi? Quali implicazioni nello scontro sociale e nella lotta rivoluzionaria hanno il processo tecnologico in corso e i mutamenti intervenuti in questi decenni nella realtà sociale? E come attrezzarsi in tal senso? Quale scontro può avvenire in una società dove si manifestano con estrema difficoltà delle capacità di lotta e di organizzazione di classe? Chi sono oggi gli sfruttatori, i padroni? Questi sono alcuni degli interrogativi posti tra le pagine del giornale sotto accusa, dove la procura intende invece vedere a tutti i costi istigazioni e capacità orientative e terroristiche. Tuttavia non è di questo che intendo dire: le analisi sul terreno della lotta rivoluzionaria non sono di pertinenza dei tribunali, che per loro stessa costituzione non possono comprendere l’essenza delle lotte degli anarchici.

Conosco l’anarchismo da sempre e, meravigliato, senza che nessuno mi avesse indirizzato in alcuna direzione, ho scoperto le idee e la pratica degli anarchici dalle parole dei compagni, dal loro esempio e dagli scritti presenti in quella propaganda anarchica che oggi viene posta sotto accusa come istigazione a delinquere con la circostanza aggravante della finalità di terrorismo. È quindi difficile descrivere che cosa significano per me i testi dell’anarchismo, con la loro densità e profondità di analisi della realtà sociale: alcuni hanno avuto la capacità rivelatrice di gettare luce su aspetti solo apparentemente marginali che mai prima di allora avevo considerato, riguardanti le cose del mondo e della vita nella loro globalità; altri invece mi sconvolsero nel loro essere uno schiaffo contro ogni accomodamento e compromesso.

L’anarchismo non implica unicamente l’esistenza di un movimento, quello anarchico, che solo a costo di una grossolana semplificazione potremmo definire anzitutto un movimento politico, ma è sempre stato qualcosa di più, qualcosa di profondamente differente che parla del sogno e della possibile realizzazione di una vita diversa, radicalmente diversa da quella attuale. L’anarchismo implica la messa a repentaglio delle nostre garanzie, di molte nostre certezze. Lottare per l’anarchia significa quindi entrare inevitabilmente nella dimensione del rischio connaturato al desiderio della libertà integrale, autentica, non certo delle artefatte “libertà” democratiche di cui tribunali, inquisitori e maggiordomi dello Stato si ergono a paladini.

Questa mia conoscenza dell’anarchismo è quindi stata un’enorme fortuna e oggi non posso fare a meno di pensare all’assenza di un anarchico, di mio padre, che questa fortuna l’ha resa possibile, slegando le intuizioni del cuore dai lacci della logica spicciola e portando in alto quel grido di libertà che urge nel nostro cuore.

Dunque capirete che non mi rivolgo a voi oggi per mendicare qualcosa, per avanzare delle giustificazioni, per avviare un confronto, per rinnegare qualcosa che per me non è solo la passione di sempre, ma l’essenza indissolubile delle mie idee, la mia stessa vita.

Francesco Rota

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Dichiarazione letta da Michele Fabiani nel corso dell’udienza preliminare del procedimento Sibilla

La retorica legalitaria vede nei processi un momento nel quale si stabiliscono delle verità, nel quale un soggetto dotato di volontà si deve assumere volente o nolente le proprie responsabilità rispetto a episodi dolosi. Al punto che si viene in effetti assolti quando si accerta che l’imputato non è in grado di intendere e di volere. Non ho mai creduto a niente del genere in tutta la mia vita: penso che sia una paccottiglia ideologica tipica del liberalismo borghese schiacciare la necessità, il bisogno, le condizioni materiali, la formazione personale, gli impulsi innati dentro i concetti di colpevolezza e innocenza. Ma oggi voglio seguire, nell’economia di questo intervento, il luogo comune. Anche perché oggi si celebra il probabile inizio di un processo particolare, un processo contro libri e giornali.

Che tipo di verità cela l’Operazione Sibilla? E quale responsabilità si stanno assumendo i protagonisti?

Per coerenza comincio dalle mie, di responsabilità. Ho scritto articoli, ho pubblicato e diffuso stampa anarchica, ho pubblicato libri anarchici. Ho pubblicato, attraverso le Edizioni Monte Bove, il libro Quale internazionale? di Alfredo Cospito e molti altri. E sono talmente orgoglioso di averlo fatto, che giusto lo scorso ottobre – in un gesto volutamente provocatorio nei confronti della precedente udienza preliminare – ne ho stampata la terza edizione.

Ci sono però delle responsabilità che si dovrà assumere anche chi sostiene l’accusa, in un processo nel quale il corpo del reato sono libri e giornali. Lo dico con estrema sincerità, io proprio non mi capacito di come lo Stato non riesca a comprendere una evidenza tanto elementare: da che mondo è mondo, colui che viene censurato, imbavagliato, internato, torturato per le proprie idee guadagna popolarità e fama dall’azione stessa della censura. Tutti sanno chi sono Socrate e Giordano Bruno, credo che nessuno qua dentro conosca i nomi di Meleto o del cardinal Giulio Antonio Santorio.

Voi da che parte della storia vi sedete?

Quando si parla di responsabilità ce n’è una che è più grande di tutte e che francamente schiaccia i tecnicismi giurisprudenziali. Quando si parla di verità, io non posso tacere la verità più vergognosa di questo processo. Mentre discutiamo di proceduta penale c’è un elefante nella stanza. Proprio qui dentro.

Non posso proprio sottacere lo scandalo che c’è un mio coimputato, un mio compagno, rinchiuso in 41 bis e collegato in videoconferenza. Quando parliamo di verità, nessuno può negare che questa indagine ha avuto un ruolo centrale nella decisione di rinchiudere Alfredo Cospito in 41 bis. Ne ha parlato il ministro della giustizia in parlamento, ne ha parlato lo stesso procuratore capo Cantone durante un’audizione.

Questo è uno scandalo non solo perché il 41 bis è una vergogna internazionale, un regime carcerario di tortura a cui nessuno deve essere sottoposto. Soprattutto è uno scandalo perché noi anarchici le cose le diciamo chiaramente. In questo libro, Quale internazionale?, non troverete una cabala di messaggi criptici. Gli scritti degli anarchici non sono dei pizzini! Né troverete degli ordini, perché gli anarchici non hanno capi e non prendono ordini da nessuno.

I libri non servono a dare degli ordini, ma a ragionare con la propria testa. I libri insegnano a disobbedire agli ordini. Per questo fanno tanta paura.

Oltretutto questo processo genera delle interessanti contraddizioni. Si pensi al fatto che io non sono libero di spedire questo libro, come non sono libero di spedire il giornale “Vetriolo” ad Alfredo in carcere. Questo è semplicemente assurdo perché è evidente che io non nascondo nelle cucitura di Quale internazionale? una lametta, o una ricetrasmittente, o degli stupefacenti, né ho impaginato il libro in una maniera tale che leggendolo secondo un’astuta chiave enigmistica possa contenere dei messaggi in codice. Nemmeno l’accusa, per la verità, lo sostiene.

Che queste disposizioni siano applicate nei confronti del nostro compagno dovrebbe allora farci riflettere su tre importanti considerazioni. La prima, è che il modo di pensare e di operare del carrozzone dell’antimafia-antiterrorismo è ispirato da quello che potremmo definire il “pensiero paranoico”. La seconda, è che queste misure sono tanto più assurde per un anarchico. La terza, è che in effetti queste misure non hanno alcuna ragione cautelativa, ma mirano a un unico scopo: l’annientamento del prigioniero.

Questo genera un cortocircuito anche rispetto al nostro processo. Come può Alfredo difendersi da un’accusa che riguarda le sue idee e i suoi scritti, se non può leggerli? Non bastano evidentemente solo le carte dell’accusa, giacché queste contengono dei passaggi appositamente selezionati.

Ci sono inoltre contraddizioni ancora più grandi prodotte dal contesto generale. Evidentemente inchieste come questa si inseriscono nel contesto di guerra nel quale siamo tutti precipitati. C’è infatti uno stretto legame tra guerra e censura. Quando un Paese è in guerra, ci sono cose che non si possono dire e ci sono informazioni che non possono circolare. Il 41 bis ad Alfredo Cospito, l’operazione Sibilla, leggi liberticide contro gli scioperi e le proteste nelle carceri come quelle contenute nel ddl ex 1660 sono espressione a tutti gli effetti di politiche di guerra.

Se da un lato questa è una necessità operativa, dall’altro essa genera anche una contraddizione: con che faccia lo Stato italiano chiede sacrifici ai lavoratori, fa aumentare il costo delle bollette o quello dei carburanti, affermando che sono sacrifici resi necessari perché dobbiamo combattere contro le autocrazie, o contro qualche perfido regime mediorientale, e nel mentre processa libri e giornali e rinchiude gli oppositori politici in 41 bis? Uno Stato che ci processa per i nostri discorsi violenti, nel mentre esporta armi in Israele e in Ucraina.

Su questo terreno lo Stato è debole e un processo come questo può essere occasione per alimentare la lotta invece che per reprimerla. L’odierna svolta autoritaria si colloca nel contesto delle misure di guerra contro il nemico interno. Ma tanto sferragliare di truppe non è servito a niente.

La vicenda Cospito si è rivelata un boomerang che è tornato in faccia a chi l’ha orchestrata. Volevano chiudere la bocca al compagno e le sue idee non sono mai state tanto diffuse. Si sono moltiplicate le pubblicazioni degli scritti di Alfredo. Quale internazionale? ha avuto tre edizioni e sette ristampe. Ci sono state decine di manifestazioni, cortei, scontri di piazza. L’anarchismo si è talmente tanto rivitalizzato che sono persino nati nuovi canti anarchici, forse dopo mezzo secolo di distanza. Ci sono state – leggo su un sito internet – quasi centoventi azioni dirette distruttive nel mondo. Le azioni simboliche o di disobbedienza civile, gli striscioni, le scritte sui muri, le secchiate di vernice, l’occupazione di teatri o della sede di Amnesty o di una radio, quelle si contano a migliaia.

Vi illudete se pensate che questo può essere fermato chiudendo la bocca a un singolo compagno. Mentite se affermate che tutto questo è stato mosso dalla mente diabolica di un sobillatore, di un istigatore. Peraltro in questo guaio vi ci siete ficcati da soli. Certo, se la classe dirigente di questo Paese è composta da Delmastro e Donzelli, da Manuela Comodi o da Roberto Sparagna, Alfredo Cospito al confronto ci apparirà un gigante. E ancora oggi, qui dentro, come cantava il poeta, i nani chiedono ancora censura contro i giganti che fanno paura.

Non temo questo processo perché un processo contro libri e giornali è un processo nel quale – persino per il grande pubblico e non solo per gli anarchici, per i quali questo è sempre vero – lo scranno più onorevole nel quale sedersi è il banco dell’imputato.

Non temo questo processo perché in questo processo lo Stato è debole. Quanto successo lo scorso 10 ottobre è davvero significativo: nella mia certamente non desiderata esperienza processuale non avevo mai assistito a un’udienza nella quale gli imputati vogliono parlare e il pubblico ministero cerca delle scorciatoie tecniche per ottenere un rinvio.

Pure quanto successo qua fuori è significativo; la minaccia da parte del questore di Perugia di emettere dei fogli di via per una manifestazione nella quale non è successo – ahimè – niente di particolarmente conflittuale, è certamente segno dei tempi che corrono, può essere espressione in qualche modo di una certa arroganza, ma è sicuramente soprattutto spia di tutta la vostra debolezza.

Fosse solo per un fatto, ovvero che la semplice presenza di Alfredo – fosse pure nella forma spettrale e fantasmatica del collegamento in videoconferenza – rappresenta una contraddizione vivente per tutti quelli che il nostro compagno vorrebbero tenerlo murato vivo.

Concluderei dunque con delle ovvietà. L’anarchismo non è il prodotto di un dotto o di un filosofo, non è il raccolto di un coltivatore intensivo di cervelli, ma è una pianta selvatica della lotta di classe. Chi agisce non ha bisogno di essere istigato. Chi lo fa ha maturato da sé l’esigenza di lottare. L’istigazione irresistibile è quella provocata delle ingiustizie della vostra società.

Mentre corriamo a passi spediti verso la guerra nucleare e assistiamo impotenti al primo genocidio automatizzato della storia, è proprio la risposta alla quella domanda – Quale internazionale? – che oggi è di drammatica attualità. E non si trova in nessun libro. I libri fanno solo le domande.

Se verrò rinviato a giudizio farò del mio peggio per acuire queste contraddizioni. Cercherò di utilizzare il processo a “Vetriolo” come tribuna per fare propaganda alle idee e alle tesi espresse su quel giornale. Soprattutto farò di tutto per trasformare questo processo in un’occasione per sabotare il 41 bis, per dialogare con Alfredo, per comunicare con lui.

Voglio che Alfredo sappia che la lotta che ha portato avanti ha smosso le montagne. Non ti abbattere. Sei un esempio di coerenza e di coraggio. La strada verso Itaca è irta di terribili ostacoli, ma è anche piena di meravigliose avventure. Ti aspettiamo a casa compagno.

Viva l’anarchia!

Michele Fabiani

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Dichiarazione letta da Matteo Monaco nel corso dell’udienza preliminare del procedimento Sibilla

Prendo parola ben contento di poterlo fare di persona questa volta.

Avrei voluto essere qui già il 10 ottobre in occasione dell’udienza preliminare che è stata poi rinviata, ma purtroppo gli impegni di lavoro ai quali mi tocca sottostare per campare e i millecinquecento chilometri che separano la mia residenza da quest’aula me lo hanno impedito. Non infierirò sui grossolani errori, di certo non miei, che hanno determinato i difetti di notifica nei miei confronti e che hanno comportato il rinvio dell’udienza. Si qualificano da soli. E qualificano anche molto altro in realtà. Affronto quest’udienza, così come l’eventuale processo che ne scaturirà, con serenità. Consapevole che non ho nulla da cui difendermi in un processo politico come questo. Orgoglioso di trovarmi alla sbarra insieme ad alcuni dei compagni e delle compagne a me più cari. Felice di poter finalmente salutare Alfredo ed esprimergli tutta la mia vicinanza e solidarietà. Deciso a guardare in faccia coloro che reclamano il diritto di giudicarmi.

Ci troviamo qui perché bisogna rispondere, in particolare, dell’accusa di istigazione a delinquere con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico. Bene. Non mi interessa entrare nel merito delle imputazioni, né tantomeno, come già accennato, difendermi da questi reati di opinione. Quello che mi preme è mettere in chiaro le mie considerazioni rispetto a questa accusa.
Nella concezione che ho io dell’anarchismo, così come della vita stessa, non esiste alcun binomio istigatore-istigato, non esistono zucche vuote da riempire, non esistono masse da dirigere e indirizzare ed io non ho la pretesa di istigare alcunché. Il termine stesso “istigazione” ha un’accezione negativa, subdola, che sottintende una sorta di persuasione dell’altro tramite inganno o imbroglio o manipolazione. Ed è proprio per questo, signori, che ritengo che non esista miglior istigatore a delinquere dello Stato stesso. Cosa pensate che ingeneri sentimenti di rivalsa e rivolta tra gli sfruttati e gli oppressi in tutto il mondo? L’esportazione della guerra o gli anarchici? Siete realmente convinti che se qualcuno decide di prendere in mano la propria vita e ribellarsi è perché glielo hanno sussurrato in un orecchio gli anarchici? Non vi viene il dubbio che la violenza sistemica perpetrata tramite leggi, istituzioni e apparati repressivi, sempre indirizzata verso i proletari e sempre a difesa della borghesia, possa genuinamente produrre un ritorno di fuoco? Qual è dunque la questione? Se l’anarchismo propaganda idee di rivolta? Se io come anarchico punto sulla sconfitta di questo sistema miserabile? Certo che sì. Se scrivo e applaudo teorie e pratiche di sovversione? Mi sembra il segreto di Pulcinella.

La verità è che lo Stato, il capitale, i suoi apparati e le loro personificazioni concrete, compresi voi, hanno paura. Non paura degli anarchici sia ben chiaro, hanno paura che la situazione sfugga di mano, che il controllo che pretendono di avere sul mondo possa vacillare. Ogni sistema malato tende inevitabilmente a porsi sulla difensiva, adottando misure volte a tentare di mantenere un equilibrio interno e cercando di annientare le minacce, siano esse interne o esterne. Gli scricchiolii di questo squilibrio si avvertono un po’ ovunque e lentamente iniziano ad essere sempre più evidenti e soprattutto i responsabili sempre più chiari agli occhi della gente: disastri economici, disastri ambientali, guerre, pandemie. Le crisi, si sa, generano malcontento, il malcontento si trasforma molto facilmente in rabbia, la rabbia scatena le rivolte. E questo, voi tutti, non potete certo permettervelo. Perciò cercate di agire in maniera preventiva, andando a colpire senza tregua chi la guerra ve l’ha dichiarata già da un secolo e mezzo e chi vi considera nemici a prescindere da crisi e malcontento, tentando di evitare che certe idee si diffondano tra chi ha cominciato a nutrire una certa sfiducia e un certo risentimento nei vostri confronti. Perché sono idee pericolose per la vostra stabilità e per i vostri comodi posti nelle torri d’avorio.

Il mondo in cui voi credete e nel quale ci costringete trova la sua realizzazione nella guerra, nell’avvelenamento, nella privazione, nel ricatto, nello sterminio, nella repressione, nella tortura. Potrei continuare all’infinito ma chiudo qua quest’elenco che capisco potrà essere percepito come retorico e nulla più. Ma evidentemente c’è ancora bisogno di un po’ di retorica se ci si ostina a far finta di non capire cosa spinge gli individui a ribellarsi e si cerca di individuarne la causa negli anarchici. E quindi. Guerra, contro i proletari di mezzo mondo per assicurare potere, ricchezza e supremazia ai plutocrati del pianeta. Avvelenamento, di tutto ciò che ci circonda e dei nostri corpi con lo schifo che siamo obbligati a respirare, mangiare e assorbire per il profitto di quelli che difendete. Esproprio, di terre, culture e materiale umano per l’estrazione di materie prime utili a far marciare la macchina capitalistica, verde o a combustione che sia. E poi il ricatto del lavoro salariato, senza il quale è impossibile sopravvivere in questa società malata e pervasiva; schiavi condannati a svendere il proprio tempo libero per gonfiare le tasche di padroni senza scrupoli e dove spesso si finisce ammazzati o mutilati, ne sanno qualcosa gli operai dell’Eni di Calenzano, solo per fare un esempio. Lo sterminio degli oppressi, come quello in corso in Palestina con il quale fabbriche di morte occidentali fanno lauti profitti e del quale, personalmente, vi considero tutti complici. La repressione e l’eliminazione di chi non è conforme alla vostra idea di normalità, produttività e utilità, di chi varca le vostre linee immaginarie che chiamate confini, di chi prova a scappare dalle bombe che voi stessi sganciate e dalla fame che voi stessi procurate, di chi alza la testa contro il padrone, contro le divise, contro le leggi. E la tortura, quella che riservate a chi finisce nella vostra morsa, ma che non riuscite a piegare; quella insita nel regime di annichilimento del 41 bis sotto la cui coltre avete voluto murare vivo, oltre a tanti altri, il nostro compagno anarchico Alfredo Cospito, progetto del quale la cosiddetta operazione Sibilla rappresenta un tassello fondamentale. Per me una parte della lotta che Alfredo ha intrapreso tra l’ottobre 2022 e l’aprile del 2023 e a cui i compagni hanno dato seguito tramite proteste e azioni dirette a livello internazionale, facendovi pagare lo scotto di questa spregevole disposizione, prosegue oggi qui dentro, in questa aula di tribunale.

Da parte mia avrete solo e sempre ostilità.

Ci tengo a esprimere il mio appoggio a quanti in questi giorni scendono in strada e se ne infischiano delle regole e della moderazione, contro il massacro sionista e i suoi finanziatori, contro il monopolio della violenza da parte della polizia e dello Stato.

Solidarietà internazionalista con tutti i compagni e le compagne privati della libertà. Il mio ricordo è per Kyriakos, morto in azione ad Atene il 31 ottobre 2024, il mio affetto a Marianna, ferita nella stessa e attualmente costretta in una cella del carcere di Korydallos.

Matteo Monaco

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Dichiarazione letta da Sara Ardizzone nel corso dell’udienza preliminare del procedimento Sibilla

Sono anarchica. Come anarchica sono nemica di questo Stato come d’ogni altro Stato, dal momento in cui questo nella sua essenza presuppone l’esercizio del potere militare ed economico di alcuni uomini e donne su altre persone e sul pianeta in generale. Sono nemica di ogni forma di governo di cui questo si dota, dal momento in cui la scelta tra democrazia e dittatura è solo quella più funzionale a mantenere il controllo sulla popolazione o per essere più precisi: sulla classe oppressa. Odio l’attuale ordine esistente e chi lo detiene pertanto credo nella giustezza della violenza degli oppressi avverso le proprie catene ed avverso chi le stringe.

Di sedere sul banco degli imputati a rispondere di danneggiamento contro delle auto di poste italiane, azienda responsabile dei rimpatri forzosi di centinaia di migranti scappati dalle guerre di cui l’Italia è coprotagonista non mi provoca né turbamento né vergogna.

Quello che invece, per dirla con un eufemismo, mi lascia indignata è il costrutto che avete fatto sull’anarchismo. Un castello di bugie volto solamente ad aumentare anni di galera per compagni e compagne, volto solo a giustificare l’attuazione di regimi speciali in cui altrimenti non potrebbero andare. Pertanto la pubblica accusa ha creato un mondo, un mondo anarchico fatto di capi, dove articoli di giornale diventano “ordini” dove c’è chi impartisce comandi e chi li riceve dove c’è chi istiga e chi viene istigato.

La cosa più sorprendente è che quello di cui accusate l’anarchismo ,in realtà, è il vostro mondo. Davanti ogni caserma dei carabinieri campeggia la scritta “obbedir tacendo e tacendo morir” motto che lascia un ampio margine di giustificazione individuale per quei servi che perpetrano quotidianamente la violenza statale. Un motto studiato ad hoc o per alleggerirsi la coscienza dalle barbarie quotidiane o, forse, più probabilmente per smarcarsi da qualche processo iniziato solo quando l’operato dei cosiddetti tutori dell’ordine pubblico è troppo eclatante per essere silenziato.

La responsabilità individuale è, invece, un fondamento dell’anarchismo. Io non prendo ordini né li do’: né da nessuno né a nessuno. Agisco rispondendo solo alla mia coscienza che non ha parametri d’interesse né di vantaggi e che rimane l’unica voce che io possa ascoltare.

Vedere un anarchico, in questo mio processo coindagato, in 41 bis non è un deterrente alla convinzione nelle mie idee anzi è un rafforzativo. Mi convince sempre di più della vostra ipocrisia, mi convince sempre di più che, al di là dell’ingiustizia del 41 bis nella sua posizione specifica, il 41 bis in generale è tortura. Perché non si possono tenere per un tempo indefinito degli esseri umani senza contatti fisici né senza vedere il cielo. Mi convince che c’è un enorme differenza fra la violenza degli oppressi e quella degli oppressori: la prima segue un etica, la seconda nessuna.

Sempre per l’anarchia.

Chiudere il 41 bis.

Sara Ardizzone

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Dichiarazione letta da Paolo Arosio nel corso dell’udienza preliminare del procedimento Sibilla

Non è mia abitudine prendere parola davanti ad una corte o ad un tribunale. Se oggi, invece, ho deciso di farlo è perché vedo in questo provvedimento a nostro carico alcune specificità che vanno sottolineate. Come prima cosa vorrei precisare, però, che queste mie brevi parole non sono certo pronunciate per fornire in alcun modo alla corte elementi ulteriori di giudizio né, tantomeno, per giustificare in qualche modo ciò che mi accusate di aver fatto. Per quanto siano evidenti gli aspetti paradossali e contraddittori dell’indagine di cui, insieme a miei compagni, sono stato fatto oggetto, da una parte mi mancano le competenze giuridiche e legali e, dall’altra, ho troppo rispetto per la mia intelligenza e per la mia dignità per perdermi in cavilli e sottili discrimini giuridici. Mi preme invece sottolineare, ed è questo il motivo per cui ho preso parola, che le accuse e i provvedimenti a nostro carico oggi all’attenzione di questa corte abbiano un carattere che certo esula dalle giustificazioni legali di cui l’accusa ha ammantato questa vicenda. Vi sono delle scelte precise che hanno mosso gli organi inquisitori nella scelta di condurre questa operazione, scelte che attingono alla sfera della politica e dell’etica ben più che a quella della legalità. Penso sia evidente a chiunque che siano quanto meno due gli ordini di ragioni che hanno condotto a questa indagine.

Per primo, da una parte il progressivo inasprirsi delle tensioni sociali e politiche, in Italia e nel mondo, pongono gli apparati dello stato di fronte alla concreta possibilità di esplosioni di rabbia sociale e di rivolta contro di loro. Dalle forme di resistenza popolare e nazionale delle popolazioni palestinesi che si oppongono al genocidio perpetrato da Israele allo scoppio genuino di rabbia che sta attraversando le strade in Italia a seguito dell’ennesimo omicidio razzista da parte delle forze dell’ordine a Milano; dalle centinaia di migliaia di diserzioni e sabotaggi che, da entrambi i lati del fronte, sono diventati quotidianità nel conflitto di spartizione delle zone di influenza tra la Federazione Russa e la Nato all’azione “bella e vendicatrice” di Luigi Mangione a Manhattan; dagli scioperi selvaggi in Iran e in India alle mobilitazioni del proletariato tedesco, sempre più le tensioni che il capitalismo e gli stati stanno provocando suscitano un sommovimento delle masse oppresse che rischia di sfuggire al loro controllo. Terrorizzati di perdere il monopolio della violenza e la possibilità di sfruttare gli altri esseri umani gli oppressori, e voi che ne difendete gli interessi insieme a loro, devono tentare di mettere in campo politiche sempre più repressive e feroci. Politiche di guerra, perché l’accelerarsi delle contraddizioni interne al capitale solo guerra può portare, che hanno il preciso intento di colpire, sia all’interno dei propri confini che all’esterno, i nemici che da sempre vengono sfruttati e uccisi, gli oppressi.

In questo senso paiono assurde le accuse di istigazione e organizzazione a nostro carico. L’emergere drammatico delle contraddizioni sociali non ha certo bisogno dell’istigazione di un pugno di anarchici per dar sfogo alla propria rabbia né le lotte degli oppressi hanno necessità di chissà quale organizzazione clandestina per comprendere ed agire contro gli apparati dei loro oppressori. È quanto meno un dato di fatto che da quando il giornale anarchico Vetriolo ha cessato le pubblicazioni o da quando la vostra opera censoria ha zittito i siti di contro-informazione Malacoda e RoundRobin il conflitto sociale non è certo scemato ma, anzi, si è inasprito sempre di più.

Il secondo ordine di ragioni, che certo non esula dal primo ma ne è, anzi, un tragico corollario, attinge alle “personalità” dei protagonisti di questa vicenda giudiziaria. È in corso, ormai da decenni, uno scontro politico sulle strategie repressive che lo stato italiano deve mettere in campo per gestire l’inevitabile crisi e le sue conseguenze. In questo senso la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo rappresenta un’opzione strategica di gestione dell’ordine pubblico che ha i propri gruppi di potere, i propri organi di propaganda e i propri interessi specifici. Non è dunque un caso se questa operazione, dal chiaro carattere censorio e intimidatorio, abbia avuto un peso specifico enorme nelle decisioni di sottoporre il compagno anarchico Alfredo Cospito al regime detentivo del 41 bis. Il 41 bis rappresenta, anche dal punto di vista propagandistico oltre che da quello giuridico, il fiore all’occhiello di un intero sistema di apparati volti nei fatti ad instaurare un regime da “stato di polizia”, in cui le esigenze repressive dell’ordine pubblico siano prioritarie nella gestione dello stato. Il compagno anarchico Alfredo Cospito è stato così sottoposto a questo regime inumano per la giustezza e la dignità delle sue azioni e del suo pensiero. Il tentativo, però, di demonizzarlo e di isolarlo è fallito in primis per le capacità di lotta che lui stesso ha saputo esprimere e, anche, per la mobilitazione di centinaia di persone in solidarietà alla sua condizione. Una mobilitazione che, ancora una volta, non ha certo avuto bisogno di sobillatori o istigatori per esprimersi ma che ha avuto la capacità, grazie alla forza e all’integrità di Alfredo, di aprire delle contraddizioni anche all’interno degli apparati statali mettendo in discussione i punti di forza della corrente politica che fa capo alla DNAA. Ecco, quindi, che per giustificare le scelte repressive sulla vita e sul corpo del compagno si chiede a questa corte di aprire un nuovo processo a suo carico nell’intento di cercare delle foglie di fico legali che possano coprire la volontà vendicatrice e censoria degli apparati di polizia di colpire la coerenza e la dignità di un anarchico rivoluzionario.

Queste, brevemente, sono le poche eccezioni che volevo portare. Sta ora alla vostra falsa coscienza trovare i cavilli con cui smentire l’ovvietà di queste affermazioni e procedere nel processarci.


Paolo Arosio

PDF: “Questa è la lebbra che chiamate civiltà”. Dichiarazioni spontanee di Alfredo, Francesco, Michele, Matteo, Sara e Paolo rese durante l’udienza preliminare del procedimento Sibilla

[Ricevuto via e-mail e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/01/18/questa-e-la-lebbra-che-chiamate-civilta-dichiarazioni-spontanee/]