Operazione Scripta Scelera: liberato un compagno per decorrenza termini. L’etica del capitalismo rimane sempre la stessa
Lo scorso 29 marzo Michele, compagno anarchico di Spoleto coinvolto nelle misure cautelari per l’Operazione Scripta Scelera, è stato liberato per “perdita di efficacia della misura/decorrenza termini”. Sottoposto dallo scorso 8 agosto all’obbligo di dimora con rientro notturno, nel corso dell’operazione repressiva della DIGOS di La Spezia coordinata dal PM Federico Manotti della Procura di Genova intenzionata a colpire il quindicinale anarchico internazionalista “Bezmotivny”: gli altri otto compagni e compagne, rimangono ancora oggi, rispettivamente, quattro agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni e altri quattro all’obbligo di dimora con varie articolazioni.
Nel caso di Michele, il tribunale del riesame aveva successivamente riformato l’accusa di istigazione a delinquere (art. 414 del codice penale) rimuovendo l’aggravante delle finalità di terrorismo (di cui all’art. 270 bis 1). Aveva però confermato la misura cautelare, così come per gli altri indagati. Per effetto di questa revisione, i termini per la misura cautelare del compagno decorrono in sei mesi, successivamente allungati a quasi otto con vari pretesti. Per gli altri indagati (per i quali rimangono le aggravanti delle finalità di terrorismo) i termini decorrono in 12 mesi per chi non è sottoposto a misure custodiali e in 6 per i compagni e la compagna agli arresti domiciliari (per questi ultimi, però, a causa dell’inizio del processo con rito immediato, il conteggio ricomincia dal rinvio a giudizio, una delle ragioni evidentemente per cui le loro posizioni sono state scorporate).
Michele non viene considerato dagli inquirenti un membro della redazione di “Bezmotivny”, ma il suo arresto insieme a quello di un altro compagno della redazione di “Vetriolo” (il quale risulta essere il decimo indagato in Scripta Scelera, rimasto a piede libero) era stato in due occasioni sollecitato da specifiche informative di polizia. Per dare soddisfazioni a queste richieste, gli inquirenti riuscirono a «dimostrare» l’autorialità da parte del compagno di un singolo articolo considerato istigatorio, che sarebbe stato scritto a quattro mani con un altro compagno. Il testo parlava della strage del Mottarone e rifletteva sull’etica del capitalismo (i padroni stragisti della funivia non sono stati considerati un organo costituzionale e per questo l’articolo in questione non ha meritato l’aggravante del terrorismo). Ci sembra uno scritto quanto mai attuale, in tempi di guerra in via di mondializzazione, di continue stragi sul lavoro e di un capitalismo sempre più vorace e «immorale». Pubblicarlo di nuovo, soprattutto, ci sembra il modo migliore per ribadire ai signori inquisitori che non sarà tanto facile tapparci la bocca.
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L’etica del capitalismo. E la nostra
Più sagace della critica sociale narcolettica, ci pensa talvolta l’ideologia dominante a individuare i problemi più cogenti di questa nostra epoca, naturalmente per disinnescarli preventivamente. Così ci tocca leggere sulle pagine del Corriere della Sera del 26 maggio l’intervento di Antonio Polito che, dopo i tragici fatti del Mottarone, discetta, citando Max Weber, di etica del capitalismo.
I fatti sono noti: amministratori e padroni della funivia di Stresa decidono deliberatamente di manomettere il freno di emergenza, seconda chiave di sicurezza che avrebbe dovuto bloccare il vagone nel caso malaugurato si fosse spezzato il cavo. Quei freni davano infatti dei problemi tecnici, facevano rumori fastidiosi o provocavano il blocco dell’impianto. Padroni e amministratori non volevano restare fermi nel momento in cui, temporaneamente allentate le restrizioni governative agli spostamenti per contrastare l’epidemia di Covid-19, stava ripartendo il flusso dei turisti e quindi anche le visite al Mottarone. Il caso ha voluto che quel cavo si sia spezzato, di qui l’orribile morte di 14 persone. Abbiamo scritto il «caso», ma ad essere precisi non esiste il caso, esiste la statistica: migliaia di imprenditori giocano con la sicurezza per aumentare i profitti, statisticamente qualcuno provoca una strage.
Ci si perde a volte in chiacchiere e iper-teoria: pensiamo ai discorsi su sabotaggio, terrorismo, stragismo, violenza discriminata o violenza indiscriminata – cosa è anarchico e cosa non lo è. Spesso le cose sono molto più semplici: quella del Mottarone è una strage del capitalismo, perpetrata per non perdere gli incassi. Come stragi del capitalismo sono state quelle negli ospedali di Bergamo e Brescia, dove Confindustria ha fatto pressioni per rimandare la chiusura della Val Brembana – sito che vanta una delle maggiori concentrazioni industriali d’Europa. Come strage del capitalismo è stato il Ponte Morandi a Genova, a maggior gloria della ignominiosa memoria della famiglia Benetton.
Il fiuto di una penna di razza come quella di Polito funziona evidentemente meglio di quello di molti antagonisti (forse perché ostacolato dalla mascherina), il quale ha individuato esattamente il problema, per poi impostare la difesa d’ufficio del capitalismo stesso s’intende: «quanto sta emergendo sulla gestione della funivia di Stresa ha davvero poco a che fare con l’etica del capitalismo e molto con la rapina» scrive il Nostro – come se il capitalismo non fosse per sua natura una rapina!
Mettiamo allora un attimo una lente sulla natura di questa rapina.
Luigi Nerini, attuale proprietario delle Ferrovie del Mottarone, ha acquistato quattro anni fa l’80% della funivia dal gruppo altoatesino Leitner, dandogli in pegno il capitale della sua società. Il gruppo Leitner dal 2016 fornisce la manutenzione ordinaria e straordinaria della funivia, percependo un canone annuo di 150 mila euro. Gestore e controllore sono dunque stretti da una relazione d’affari. Le Ferrovie del Mottarone, che controlla la funivia, fa un utile pari a oltre il 20% del fatturato annuo. Luigi Nerini prende un compenso di 96 mila euro dalla sua società. Il comune versa 130 mila euro annui alla società di Nerini per la gestione dell’impianto.
Questa fotografia inquadra in maniera impietosa le responsabilità.
È stato giustamente scritto sul numero 6 di Bezmotivny del 26 aprile che «parlare di violenza indiscriminata degli Stati porta con sé l’idea che non esista una guerra di classe e che lo Stato non sia il difensore degli interessi dominanti». In altre parole, per quanto retoricamente efficace, in senso proprio non è corretto dire che la violenza dello Stato è indiscriminata, mentre quella degli anarchici non lo sarebbe. Anche lo Stato ha un suo chiaro discrimine: la guerra agli sfruttati. Anche le stragi del capitalismo sono stragi con un loro chiaro discrimine: in questo caso il discrimine è il profitto!
Indicativo che la giustizia di Stato sembra orientata ad assolvere padrone e direttore, scegliendo di perseguire solo il caposervizio. Tanto per ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno, da che parte sta. Sono gli stessi sbirri e gli stessi magistrati che accusano di strage gli anarchici e cercano di seppellirli sotto decenni di galera per le loro bombe – che per inciso non hanno mai colpito alcun passante.
In conclusione Polito assolve dunque il capitalismo e se la prende, da bravo weberiano, con l’individuo:
«Dietro ogni norma, dietro ogni tecnica, c’è un uomo che compie scelte in base al suo libero arbitrio; e noi dipendiamo da quello, dalla sua scala di valori, dal rispetto per gli altri che lo anima, dal suo senso del dovere».
Ecco, anche su questo il nostro pennivendolo ci ha dato una lezione: dietro ogni norma, dietro ogni tecnica c’è un uomo. Non dimentichiamolo mai. A chi brucia nel cuore la fiaccola dell’anarchia il compito gioioso di fargliela pagare.
l’Orso e il Mammut
(Tratto da “Bezmotivny” n. 9, anno I, del 7.6.2021).
[Ricevuto via e-mail e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2024/04/03/operazione-scripta-scelera-liberato-un-compagno-per-decorrenza-termini-letica-del-capitalismo-rimane-sempre-la-stessa/]