10 MACCHINE NON POSSONO BASTARE
Nelle prime ore del 27 Maggio abbiamo portato avanti un’azione incendiaria contro le auto del car sharing Enjoy di proprietà della multinazionale ENI s.p.a. (ente nazionale idrocarburi) nella zona Tuscolana-Cinecittà, a Roma. Da quanto apprendiamo dai giornali locali 10 macchine sono state completamente distrutte mentre altre 4 sono state seriamente danneggiate.
ENI è da sempre uno dei pilastri del capitalismo italiano, i suoi interessi coincidono con quelli dello stato e di conseguenza dei governi che si susseguono amministrandolo, siano essi di destra che di sinistra, poiché il suo profitto e le sue infrastrutture sono strategiche in quanto rafforzano lo stato in cui esse si immedesimano, essendo fondamentali nella contemporanea configurazione del sistema produttivo capitalista alla preservazione del potere economico.
Essa è presente in numerosi paesi in cui sono attivi conflitti locali e internazionali per il controllo delle risorse energetiche: Libia, Mali, Nigeria, Kazakistan (da notare il fatto che nessuna parola è stata spesa contro il l’oligarca Putin quando ha inviato le sue truppe a reprimere nel sangue le rivolte scoppiate in questo paese), solo per citarne alcuni. In questi luoghi l’energia sotto forma di combustibili fossili viene da decenni sottratta alla terra per foraggiare il fabbisogno energetico dell’industria occidentale seguendo un modello che assume la forma di un vero e proprio neo-colonialismo. Queste attività di estrazione comportano, qualora ci fosse il bisogno di ricordarlo, grandi rischi per l’ambiente e per le popolazioni autoctone, soprattutto in quei paesi dove i controlli e i sistemi di sicurezza sono coscientemente ridotti al minimo per massimizzare i profitti, come nel caso del Delta del Niger, area gravemente devastata dalle continue fuoriuscite di greggio e dalla dispersione nell’aria di gas e di residui di combustione come conseguenza delle attività estrattive. Questa situazione ha dato vita nel tempo a diverse forme di resistenza, con sequestri di tecnici, sabotaggi e veri e propri assalti alle piattaforme petrolifere. Questi attacchi hanno costretto la mobilitazione militare degli stati per i difendere i propri interessi nella regione, come in altre dove sono presenti infrastrutture e lavoratori del comparto petrolifero. È questo il caso delle missioni dell’esercito italiano in Libia (dal 2015), Angola, Ghana, Nigeria, Iraq, o che sta per esempio dietro alla sua intenzione di unirsi alla missione internazionale in Mozambico, scosso da violenti disordini, con lo scopo di accaparrarsi una fetta della cospicua presenza di combustibili fossili presenti nella regione. Le missioni umanitarie nascondono un metodo che è diventato prassi nell’accaparramento delle risorse in paesi esteri in via di sviluppo, così come l’”esportazione della democrazia” risulta essere solo un vuoto espediente retorico per annettere gli stati all’interno della sfera d’influenza occidentale, il che ci porta a nutrire dubbi sulle cause stesse dell’instabilità perenne di alcune regioni. Non si contano i casi di corruzione di politici e amministratori locali, in molti di questi paesi sono presenti forze mercenarie private finanziate da stati occidentali, sono stati registrati casi di conflitti etnici sobillati da forze estere, con distribuzione di armi e diffusione di false notizie con lo scopo di destabilizzare intere aree e spingere le popolazioni locali a migrare altrove. Sono almeno due decenni che gli stati occidentali muovono guerre e sobillano conflitti con il solo scopo di mettere le mani sulle risorse locali, destabilizzare un’area strategica e colpire gli interessi di stati rivali. In tal senso si possono leggere le guerre d’invasione avvenute in Iraq, Afghanistan, o i più recenti conflitti Ucraina, Libia, Siria, Yemen dove l’occidente con le sue truppe o attraverso milizie finanziate appositamente ha combattuto per la depredazione delle risorse e, in ultima analisi, per la propria supremazia globale.
La politica e la giustizia internazionale si è sempre rivelata inutile nel far fronte a questi avvenimenti, in quanto non esiste nessuna reale volontà di cambiare questo stato di cose. Ricordiamo a questo proposito le recenti assoluzioni dei vertici di ENI implicati in un caso di corruzione internazionale per i diritti di esplorazione in Nigeria, o il caso di SAIPEM in Algeria.
La devastazione e l’inquinamento causato da quest’azienda non riguarda solo territori lontani, ma avviene anche qui, dietro casa nostra. Nella regione italiana della Basilicata per esempio sono anni che si susseguono allarmi a causa delle sostanze inquinanti presenti nelle zone limitrofe agli stabilimenti petroliferi. Lo stesso avviene ovunque esistano impianti di estrazione o raffinazione, nel ravennate così come a nei pressi di Cagliari. Un pericolo costante per gli ecosistemi locali e le popolazioni aumentato dal fatto che queste infrastrutture sono spesso oggetto di guasti e incidenti che, come nel caso dell’incendio della raffineria di Gela a Gennaio di quest’anno e a Livorno il 30 Novembre 2021, causano una massiccia dispersione di elementi inquinanti.
Tutto questo, nell’indifferenza totale delle istituzioni, locali e non, che attivamente (dando per esempio alla stessa azienda il compito di monitorare i tassi di inquinamento nel territorio) o passivamente (ignorando gli allarmi delle associazioni ambientaliste e delle popolazioni locali, non effettuando i debiti controlli, …) ne proteggono gli interessi e l’immagine.
ENI per la sua posizione dominante sul mercato degli idrocarburi è in prima fila nella riconfigurazione degli equilibri geopolitici mondiali. In questa fase di ristrutturazione del capitalismo essi vertono principalmente attorno alle catene di approvvigionamento di materie prime ed energia che stanno diventando sempre più uno strumento di pressione nei vari scenari di conflitto tra stati. Il suo amministratore delegato Claudio Descalzi sta a questo scopo accompagnando i ministri Di Maio e Cingolani nei loro viaggi all’estero alla ricerca di nuovi fornitori di greggio e gas per sottrarre l’Italia alla sua dipendenza dal gas russo, obiettivo imposto come necessario all’Europa dalle pressioni degli Stati Uniti nella loro guerra permanente per la spartizione delle aree di influenza globali all’alba dell’ennesima crisi del capitalismo. Questi viaggi hanno portato i vertici dell’azienda e dello stato italiano a stipulare accordi con i governi del Congo, dell’Algeria, della Turchia, a dimostrazione di quanta ipocrisia ci sia nella denuncia occidentale rivolta verso il regime dittatoriale di Putin. La mancanza di democrazia è come dicevamo solo una scusa che l’occidente utilizza per abbattere un governo quando lo ritiene necessario, ma che non costituisce un problema quando fa comodo ai suoi interessi, come nel caso dei paesi citati o dell’Arabia Saudita e dell’Egitto.
In questo particolare momento stiamo entrando in una nuova fase di questo processo di spartizione del mondo data la sempre maggiore richiesta di energia, soprattutto elettrica, di cui l’occidente necessita a causa della diffusione esponenziale di sempre nuovi apparecchi tecnologici, esigenza che ha generato l’odierna guerra che scuote l’Ucraina. Con essa gli Stati Uniti perseguono lo scopo di sottrarre il mercato europeo alla Russia e di compattare i propri alleati del continente dopo aver permesso ad essi per troppo tempo di fare affari con il suo storico avversario nel predominio della regione.
In questo scenario le compagnie petrolifere giocano un ruolo non secondario essendo materialmente coloro che hanno il diritto di acquistare e ridistribuire a livello nazionale i prodotti energetici. Attaccare dunque oggi e qui ENI vuol dire contribuire ad attaccare la guerra nelle sue propaggini locali, colpendo il capitalismo nostrano anch’esso partecipe di questo ennesimo confronto tra blocchi di potere opposti per l’espansione delle proprie aree di influenza.
All’interno di questo quadro che crediamo descriva a sufficienza il ruolo di quest’azienda nella depredazione delle risorse, nella devastazione ambientale e nello sfruttamento umano che essa comporta, oltre che nel complicato gioco di interessi geopolitici di cui l’Ucraina è solo l’ultimo e più visibile episodio, si colloca la questione della transizione ecologica che le élites politiche hanno elaborato per allontanare da sé le responsabilità per il disastro ecologico e climatico che sta avvenendo. Essa dovrebbe avvenire attraverso cospicui investimenti nell’innovazione tecnologica e nelle cosiddette energie “green”, anche attraverso provvedimenti assurdi quanto emblematici come è stato l’inserimento nella tassonomia verde del nucleare e del gas da parte dell’Unione Europea nel febbraio di quest’anno. Il vero obiettivo è tenere in vita un’economia costantemente in crisi attraverso l’iniezione di nuova liquidità e lo sviluppo di nuovi settori produttivi o il loro ammodernamento grazie a continui sussidi alle aziende. ENI partecipa ovviamente a questo processo cercando di arraffare quanto più possibile dei miliardi messi a disposizione dell’Italia attraverso il Next Generation Ue, nello specifico promuovendo i suoi progetti all’interno di quel PNRR che costituisce il nuovo grande affare per politici e dirigenti vari. In questi ultimi mesi ci sono già stati numerosi incontri tra i rappresentanti dell’industria dell’energia e del fossile con le istituzioni responsabili della distribuzione di questi fondi.
I viaggi istituzionali per aumentare i progetti di estrazione e le forniture di combustibili fossili, assieme ai contributi economici che verranno forniti per la “transizione” al comparto industriale, dimostrano chiaramente la volontà delle istituzioni di tutelare le aziende a cui sono legate a doppio filo (non si contano i casi di politici italiani a cui vengono dati incarichi amministrativi in aziende legate agli interessi dello stato, e viceversa) e il rifiuto di mettere in campo azioni effettive per ridurre l’impatto dell’industria sul clima. Piuttosto è in corso una ciclopica opera di “greenwashing” da parte delle istituzioni e delle multinazionali che dopo aver per anni promosso, organizzato e incentivato il saccheggio e la devastazione dei territori a scopo di lucro con conseguenti danni per la salute dell’ambiente e delle persone, ora cercano di mostrarsi preoccupate per la situazione da loro stesse create diffondendo una falsa intenzione a porvi rimedio. Non c’è azienda che negli ultimi tempi non si presenti pubblicamente come attenta alle tematiche ambientali, e così anche ENI attraverso pubblicità ingannevoli e la promulgazione di finti progetti ecologici tenta di crearsi un’immagine “green” al passo coi tempi.
A noi appare chiaro come la transizione ecologica sia una bufala che ha il solo scopo di contenere la crescente coscienza popolare attorno alla questione climatica. Noi riconosciamo come causa prima dell’inquinamento che sta compromettendo il clima e gli ecosistemi questo sistema produttivo industriale energivoro che di fatto nessuno ha intenzione di mettere in discussione ma che anzi viene spinto al rinnovamento, che vuol dire il suo incremento attraverso la produzione di nuove tecnologie e nuovi settori produttivi che necessiterà l’estrazione di nuove materie prime e comporterà un maggiore consumo di energia. In questo modo si prosegue seguendo quella logica positivista che vede nel progresso tecnico e nello sviluppo capitalistico l’unica via possibile per la società umana. La transizione ecologica, così come la guerra, costituiscono solo delle grandi occasioni per aumentare i profitti e ridefinire i gli assetti geopolitici e di distribuzione delle materie prime. È di dominio pubblico per esempio la notizia che le multinazionali del comparto fossile abbiano massificato i loro utili grazie alla speculazione finanziaria seguita alla guerra, dopo che avevano invece registrato un calo dei guadagni nel periodo dalla pandemia.
Per questi motivi e nonostante l’appoggio e la copertura istituzionale di cui gode ENI è spesso al centro di forti critiche, scandali e inchieste più o meno indipendenti che hanno portato diverse componenti della società, tra cui gli anarchici, ad esprimersi apertamente contro il suo operato organizzando presidi, manifestazioni, così come azioni dirette e sabotaggi. Queste attività hanno di conseguenza attirato le attenzioni delle istituzioni repressive incaricate di proteggerne gli interessi. L’ultimo caso è quello dell’operazione Bialystok nella quale un anarchico è stato accusato dell’incendio di tre macchine del car sharing Enjoy di proprietà della suddetta multinazionale. Nella richiesta di condanna del pubblico ministro sono state chieste per questi fatti pene particolarmente alte: 8 anni e centinaia di migliaia di euro di danni materiali e d’immagine da pagare. È stata anche contestata l’aggravante di terrorismo, una novità per questo genere di azioni, inquadrando gli attacchi all’interno di una cosiddetta “campagna intimidatoria”. Si cerca in questo modo aumentare la pena in caso di condanna, creando un precedente pericoloso volto ad intimidire le pratiche di azione diretta. Inoltre c’è intenzione di far pagare ad un solo individuo l’ondata di attacchi che si è registrata negli ultimi anni in Italia ai danni di ENI.
Noi non resteremo immobili di fronte questa ennesima manovra repressiva volta a spaventarci. Non ci faremo intimidire dall’aumento delle pene, dalle misure di repressione, e neanche dalla minaccia del 41bis, infame regime di annichilimento legalizzato nello stato di eccezione permanente creato ad arte dalle istituzioni italiane in cui è stato da poco trasferito il compagno anarchico Alfredo Cospito. E questo non perché siamo estranei a questo sentimento, ma perché è l’accettazione passiva di questa normalità fatta di devastazioni ambientali, saccheggio endemico delle risorse, sfruttamento massiccio degli ecosistemi e degli esseri viventi, guerre, controllo sociale, migrazioni di massa e conseguenti opere di contenimento che causano migliaia di morti lungo i confini dell’occidente che ci terrorizza. È in questo stato di terrore che siamo stati allevati e siamo cresciuti e attraverso di esso che la paura si trasforma in volontà d’agire e nella determinazione necessaria a passare all’attacco. Negli ultimi tempi lo stato italiano sta compiendo un innalzamento repressivo ai danni del movimento anarchico senza precedenti, con l’impiego di capi d’imputazione mai usati nella storia di questo paese (l’accusa di strage politica che prevede l’ergastolo per Anna e Alfredo nel caso Scripta Manent) e distribuendo pene elevatissime (come nel caso dei 28 anni dati a Juan). Ma lo stato forse non sa che noi siamo ormai vaccinati contro la paura che vorrebbe imporci, e che la sua repressione non può nulla.
Con quest’azione vogliamo in primo luogo portare solidarietà al compagno accusato nell’operazione Bialystok per l’incendio delle macchine di proprietà dell’ENI perché crediamo che solidarietà sia soprattutto continuare le pratiche di attacco che lo stato vorrebbe disincentivare attraverso la sua opera repressiva. La lotta contro ENI non deve arrestarsi, soprattutto ora che le contraddizioni che il capitalismo ha creato producendo il cambiamento climatico chiamano quest’azienda a prendersi le sue responsabilità di fronte alla popolazione, e che è attore-promotore degli interessi del capitalismo col tricolore all’interno del conflitto in Ucraina e nella ridefinizione degli assetti di potere globali. Colpire ENI oggi vuol dire sabotare la guerra in corso e muoversi concretamente per far pagare ai diretti responsabili la situazione di instabilità climatica e ambientale che stiamo vivendo.
Ai i compagni e le compagne sotto processo per l’operazione Bialystok che a Settembre dovranno affrontare una condanna.
Ad Alfredo, Anna e Juan contro quali si sta scatenando la vendetta dello stato. Questo inaprimento della repressione non deve passare! Colpire gli interessi dello stato italiano ovunque!
Per Giannis Mihailidis anarchico prigioniero in Grecia in sciopero della fame fino alla morte dal 23 Maggio per l’accesso alla libertà vigilata così come previsto dalla legge greca. Forza compagno!
Per la libertà di Claudio Lavazza e di tutti i prigionieri di lunga data.
Per tutti i prigionieri anarchici e ribelli nel mondo.
Per i 13 morti nelle carceri italiane durante le rivolte di Marzo 2020.
Vendetta!
GUERRA SOCIALE CONTRO LE GUERRE DEL CAPITALE
MORTE ALLO STATO
VIVA L’ANARCHIA
Ribelli per l’estinzione dello stato e del capitale
Nota: Il testo “10 macchine non possono bastare” è stato divulgato nel mese di luglio 2022 in alcuni siti internet e pubblicazioni anarchiche.