È stato pubblicato il libro “Zündlumpen, antologia” (Edizioni il Pennato, 2025)
È disponibile il libro “Zündlumpen, antologia”
Edizioni il Pennato, ottobre 2025, pp.440
Prezzo copia singola 12 euro
Da 5 copie in su 8 euro
Per contatti e informazioni:
edizioniilpennato@canaglie.net
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Prefazione all’edizione inglese
Dal febbraio 2019 al settembre 2021, Anarchistisces Wochenblatt Zündlumpen (Zündlumpen – Periodico anarchico) è stato pubblicato a Monaco, in origine settimanalmente e poi a intervalli di tempo sempre maggiori, ma anche con un numero di pagine sempre crescente. Non è mai stato chiaro se “Zündlumpen” fosse più un giornale da strada o un giornale per discussioni tra anarchici – includeva elementi di entrambi gli approcci, a seconda del numero, a volte verteva più in una direzione e altre volte nell’altra. I testi erano sia introduttivi che di approfondimento, vecchi e nuovi, traduzioni, analisi e commenti di eventi locali presenti così come di quelli provenienti da più lontano, comunicati, istruzioni, testi di discussione e polemiche come notizie da Monaco e dal mondo, dai monopattini elettrici incendiati in un parco a Monaco alle rivolte in prigione in Italia, insieme a foto di graffiti – il “Graffito della settimana” – erano ampiamente raccolti. Il giornale di Monaco ha avuto parecchi sviluppi nell’arco della sua esistenza. A parte i numerosi cambiamenti radicali nel design e nel formato, si è trasformato da un giornale anarchico locale e settimanale, che abbracciava varie tendenze di sinistra e che riempiva un foglio A3, in un giornale di discussione di dozzine o a volte centinaia di pagine di lunghezza, cominciando più o meno all’inizio del “Covid”. Si è contraddistinto per il suo stile combattivo, ha formulato una critica radicale alle misure per il Covid e ai loro sostenitori, che si identificassero come anarchici o no, e ha rinforzato e sviluppato questa critica nel corso del tempo con analisi sempre più approfondite e dettagliate. Questi numeri di “Zündlumpen” hanno reagito agli eventi che rapidamente si sono manifestati nel corso del Covid: il lockdown, gli obblighi di mascherina e di tamponi, il coprifuoco, e il divieto di contatto. Hanno evidenziato diversi aspetti della follia Covid e hanno identificato, analizzato e attaccato (verbalmente) le istituzioni che guidavano le misure e il panico: la scienza e specialmente la medicina, ma anche la statistica, i media e la stampa, lo Stato e la polizia sempre più fascista, la digitalizzazione e l’espansione del 5G, la generale “smartificazione” della vita, la civilizzazione. Nei numeri che si concentravano sul Covid, “Zündlumpen” ha raccolto analisi proprie, contributi a discussioni e polemiche, così come traduzioni di testi anarchici da altri Paesi. Ha inserito momenti di rivolta e resistenza contro le misure per il Covid, dalle rivolte in prigione alla sollevazione in Libano, così come il sabotaggio quale gli incendi alle antenne radio in molti Stati europei, o ancora come le feste tumultuose che scoppiavano ripetutamente in molti luoghi.
Anche la sottomissione volontaria e il moralismo sono un tema, ciò vale specialmente per la sinistra radicale e i (cosiddetti) anarchici che ci sguazzano dentro. In molte parti della Germania, gli anarchici hanno connessioni molto strette con la sinistra radicale che pubblicamente ha aderito, più o meno unita, alle misure per il Covid sin dall’inizio, mentre denunciava le persone che si ribellavano contro di esse come “matte” e “fasciste”, inoltre organizzandosi attivamente per contrastarle. Se già i numeri più vecchi di “Zündlumpen” avevano proclamato la sua rottura con la sinistra (vedi “Sinistra radicale, con te ho chiuso!”), il giornale stava combattendo (forse un po’ eccessivamente) il conformismo della sinistra radicale e le sue campagne diffamatorie, che accusavano il giornale di essere “darwinista sociale”, “teorico del complotto” e così via. In aggiunta al Covid, che è stato affrontato con una certa importanza, il giornale simultaneamente ha trattato altri argomenti che sono, ovviamente, inseparabili: militarismo e polizia, psichiatria, repressione, tecnologia e cibernetica, ingegneria genetica e transumanesimo, individualismo ed egoismo, moralità e controllo del comportamento. Ha esplorato l’onnipresente questione di come noi in quanto anarchici vogliamo agire e accordarci tra di noi, mentre tra un numero e l’altro continuava a dare il benvenuto a rivolte e atti di sabotaggio e a sviluppare altri dibattiti. Un numero, l’ottantesimo, fa eccezione in contrasto con il solito formato che combina analisi, traduzioni, notizie e commenti, in quanto raccoglie esclusivamente testi analitici attorno al tema della “civilizzazione”. Questi comprendono traduzioni di testi anarchici anticivilizzatori provenienti principalmente dagli Stati Uniti (testi da Green Anarchy, Baedan e Killing King Abacus), ma anche dal gruppo francese Os Cangaceiros. Questo numero sottopone tempo, numeri, agricoltura, lavoro, scienza, macchine, genere, domesticazione e civilizzazione in sé alla lente critica e alla messa in discussione radicale. Nel settembre 2021, “Zündlumpen” fu poi interrotto dopo un totale di 85 numeri a causa di problemi dovuti alla repressione – gli ultimi numeri apparvero grosso modo ogni 2 mesi e furono orgogliosamente composti da 150-170 pagine. “Zündlumpen” non solo ha sempre rifiutato i mezzi termini, il giornale non era noto né per lo stile comunicativo non violento né per la sua disponibilità al compromesso, ciò gli ha procurato alcuni nemici a fianco dello Stato e alla fine attirò anche l’attenzione dei servizi segreti a causa del suo approccio militante e della chiara difesa di rivolte e attacchi alle istituzioni di potere nel qui ed ora. Infatti, una investigazione preliminare è stata aperta contro varie persone accusate di pubblicare “Zündlumpen”, l’esito è ancora incerto al momento in cui viene scritta questa prefazione. Non è facile raccogliere una selezione per un’antologia dalla grande quantità di testi che si snodano per gli 85 numeri. Ci siamo concentrati su analisi e articoli che, per primi, furono pubblicati su “Zündlumpen” e che consideriamo stimolanti anche al di fuori da un contesto germanofono, perciò li abbiamo tradotti in inglese. Abbiamo messo una certa enfasi sugli articoli che ruotano attorno all’argomento Covid. In aggiunta a diversi articoli che affrontano direttamente le misure per il Covid, l’isolamento sociale, e la digitalizzazione, abbiamo anche incluso diversi testi più generali sulla medicina e la sua storia. La raccolta è arricchita da analisi sulla tecnologia, smartificazione e capitalismo verde, sorveglianza e militarismo, così come alcuni dei più bei “graffiti della settimana”. Fatta eccezione per un testo, qui non abbiamo incluso i dibattiti con la sinistra radicale per ragioni di spazio, ma anche perché gli altri argomenti sono più vicini ai nostri cuori e quelle discussioni ci sembravano molto specifiche del contesto tedesco. Altre questioni, come il dibattito sui comunicati e le strutture con un’organizzazione rigida, sulla proprietà, sull’individualismo ed egoismo, si sarebbero inserite bene in questa antologia, ma abbiamo dovuto tracciare una linea. Sfortunatamente, abbiamo anche escluso le molte notizie che diedero a “Zündlumpen” il suo carattere di giornale, le traduzioni, i comunicati, le poesie, le discussioni e le ristampe di testi pubblicati altrove. Da un lato, avrebbero gonfiato eccessivamente le pagine di questo libro, dall’altro questi scritti perdono la loro urgenza e rilevanza fuori dal quadro temporale e spaziale di riferimento nel quale sono apparsi. Molti di questi possono anche essere trovati in inglese in altre pubblicazioni e sulle piattaforme digitali. Molti degli articoli sono stati tradotti per la prima volta dalla loro stesura, altri erano già pubblicati in inglese da “Zündlumpen” stesso e due traduzioni di “Maelstrom” sono state riviste e ripubblicate. Consideriamo i testi pubblicati qui come contributi stimolanti per una comprensione più precisa di alcuni dei pilastri della società nella quale siamo costretti a vivere oggi, per riconoscere le trappole e identificare i nemici nella nostra costante ricerca di veri sentieri verso la libertà. Con l’umile speranza di alimentare discussioni che affilino le idee e incoraggino la complicità, speriamo apprezziate la lettura.
Prefazione all’edizione italiana
Eccoci qui su una zattera improvvisata, ormai distanti dal relitto di quel vascello con cui eravamo convinti di poter solcare ogni onda del mare, in balìa dei venti in conflitto continuo dagli esiti imprevedibili. Il tempo ci trascina, incapaci di saper fruire di questi cambiamenti di flusso repentini per spostarci lungo la nostra via. Rotta lontana dall’essere tracciata, dove i punti cardinali si confondono per la mancanza di strumenti e abilità nel riconoscerli, dove nubi salmastre oscurano spesso il ciclo vitale del sole e la terra è troppo lontana per essere scrutata ad occhio nudo. Senza prospettiva e quasi senza senno, osserviamo la vela nera sgualcita dagli anni e dall’usura venire strascicata da una direzione all’altra e non ci preoccupiamo se non del cucire i resti sbrindellati di stoffa in cui riponiamo, ahinoi, le nostre fragili speranze. La nostra volontà ci è estranea, scrutiamo in attesa, ogni minuto spiffero, con l’ansia di un imminente temporale, constatandone poi la venuta e rimpiangendo la mancata o inascoltata predizione. Lungi dal prendere decisioni avventate ci stringiamo a quei fradici pezzi di legno che ancora ci tengono a galla preoccupati più della loro sopravvivenza, piuttosto che del loro scopo; riponendo ogni nostro sforzo al fine di continuare ad esserci piuttosto che andare altrove. Ancorati alla nostra realtà, ai nostri bisogni, abbiamo perso di vista il motivo stesso per cui si scelse di salpare, nonché il piacere del viaggio. Siamo razionalmente più spaventati dall’ignoto che dalla misera esistenza che ci siamo convinti di dover condurre, respingiamo i nostri sogni perché troppo distanti e sofferti, allontanando così ogni nostra ambizione, ogni nostra possibilità di poter scorgere l’aurora oltre la foschia, di poter immaginare una vita diversa tra gli arcipelaghi ancora sconosciuti, di cui troppo spesso si è perso il desiderio di scoperta. Rimpiangiamo i tempi in cui la nostra vita affermava il suo stesso proposito: o libertà o morte. Non è chiaro se siamo più spaventati dalla prima o dalla seconda. Ma ancora soffriamo, ancora la nostra sensibilità si rivolta verso noi stessi, verso la nostra apatia, a ricordarci la necessità della fuga, la bellezza della danza dei sensi e della lotta senza tregua, dove le passioni si scatenano e i nervi tesi dalla tensione si rilassano, lasciando spazio alla quiete di chi non conosce il proprio approdo, ma intraprende ostinatamente la propria direzione accettando il rischio di naufragare.
L’orrore della civiltà tecno-industriale presenta ogni giorno il bollettino dei morti sacrificati per il progresso, delle devastazioni dei territori ancora selvaggi del pianeta e della coscienza, delle costrizioni sociali e dei nuovi dispositivi per imporle. Ogni giorno un bombardamento di informazioni riempie ogni anfratto della mente degli individui, occludendo la possibilità di sviluppo di un pensiero personale, in cui vi sia ancora traccia del sensibile. Si è passati dalla conta dei morti di Covid e dei letti in terapia intensiva nel 2020, alla conta dei Palestinesi trucidati, ai giorni di sciopero della fame, alle spese per gli armamenti, ai gradi centigradi in aumento mese per mese… Un’emergenza si sussegue all’altra e il tempo del ragionamento è sempre più spezzettato e istantaneo. Di fronte all’ordinaria stupefacenza del reale, ci si trova sbigottiti e incapaci anche solo di immaginare un modo per agire di fronte a tanto orrore. Al cospetto dell’immensità di fenomeni sociali come guerre, pandemie, catastrofi ecologiche ecc… i meccanismi di propaganda dello Stato purtroppo funzionano egregiamente, infondendo la convinzione della propria impotenza come individui o gruppi, di fronte a problemi che possono essere apparentemente affrontati solamente da organismi complessi e stratificati, in grado di esercitare un dominio sugli individui, così come sulla natura e sulla materia. Alienati dai propri desideri, dalla volontà e possibilità di realizzarli, il realismo scientifico del sistema tecnico ha contagiato gran parte della società, così come parte di quegli individui che ne criticano il funzionamento oppressivo. Il quantitativo e il misurabile sono spesso diventati gli unici criteri di valutazione delle proprie scelte, dei propri percorsi.
Uno dei pregi di questo libro è proprio quello di concedere spazio ad una riflessione più profonda. A partire dall’analisi del passato, presente e futuro del dominio, si arriva ad un’elaborazione critica di come esso contagi l’intera società e di conseguenza anche il movimento anarchico. Si indagano i limiti che le influenze della civilizzazione spesso impongono anche a chi la vorrebbe combattere, si riscontrano le contraddizioni di chi si pretende garante della libertà degli altri, limitandola. Oltre ciò, vi sono i tentativi di delineare una prospettiva di lotta contro lo stato di cose – contro il militarismo, la rete di controllo digitale, il contenimento medico della popolazione – tentativi che cercano di tracciare una via che possa essere percorsa al di fuori della comodità di sentieri già tracciati, di cui si conosce il punto di partenza e di arrivo.
I contenuti raccolti in questa antologia di testi condividono una prospettiva critica che va ben al di là delle specifiche istituzioni o processi posti sotto la lente analitica dei singoli articoli. Il tipo di osservazioni che vengono mosse nei confronti della società in Germania o nei confronti del movimento radicale e anarchico tedesco sono ben aderenti alla realtà di molti altri luoghi nel mondo, o quanto meno in Europa. Ora, lo scopo che ci prefiggiamo in questa prefazione sarebbe quello di contestualizzare le riflessioni qui contenute, per alcuni aspetti che riteniamo rilevanti, al panorama italiano, in parte differente da quello tedesco, ma di cui riteniamo di avere qualcosa da dire, alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni e di alcune derive che il vento gelido del Nord tende a trasportare pure in queste terre, irrigidendo ancor più quel poco di vitalità che resta. In buona parte dei testi si affrontano questioni che rientrano nell’area tematica della medicina moderna: della sua storia, dei suoi presupposti ideologici e materiali, del suo apporto nel controllo e dominazione dell’esistenza individuale all’interno della società civilizzata industriale. Aspetti a cui i redattori, evidentemente, ritennero necessario dedicare molto spazio, dato che il periodo di pubblicazione del giornale abbracciava l’avvento della medicalizzazione di massa con il pretesto di arginare il virus Sars-Covid2 e la trasformazione conseguente e trasversale della società, dalle istituzioni e ambienti classici a quelli radicali. In quel periodo si è potuto assistere alla più spiazzante e generale prostrazione di fronte a una divina Scienza e alla sua sottoposta Medicina, da parte non solo di chi era condiscendente a questa società (ahinoi, la grande maggioranza delle persone), ma pure da parte di chi si pretendeva, in un certo qual modo a noi piuttosto estraneo, un suo oppositore. Non solo in Germania, ma pure in Italia abbiamo potuto assistere ad iniziative annullate per paura di alimentare il contagio; a comunicati idioti di indizioni di mobilitazioni in cui si invitavano le persone a partecipare assicurando loro il rispetto delle “misure di sicurezza”, quali lo stare a distanza, l’indossare la mascherina, o il pulire il megafono dopo aver parlato; a sproloqui sulle presunte discriminazioni verso i più deboli perché qualcuno sceglie di non adattarsi alle regole imposte dallo Stato. Sostanzialmente con la scusa delle categorie da proteggere, grazie all’affermarsi di questa morale fanatica e gesuitica anche all’interno del movimento anarchico, molti paladini zelanti si sono sentiti abbastanza forti da cercare di imporre le loro prerogative autoritarie all’interno di gruppi, assemblee, spazi… la cosa peggiore è che in diversi casi gli è stato lasciato campo per poterlo fare. Fortunatamente in Italia, forse, questo tipo di derive limitanti e sostanzialmente acritiche nei confronti della tecnica e della civilizzazione, non sono ancora così enfatizzate quanto in Germania. Nonostante ciò, in quel periodo di circa due anni in cui misure di contenimento e controllo medico della popolazione erano imposte dallo Stato, la mancanza di un pensiero critico profondo e di determinazione nel sostenerlo e nell’essere conseguenti ad esso, è stata evidente. Basti pensare a quante persone, affini per idee ed esperienza, si siano trovate a fare scelte che non rispecchiavano minimamente la tensione che fino a quel momento avevano vissuto. Da quel periodo, di certo, il movimento anarchico, come il resto della società, non è uscito indenne; gli strascichi sono stati e saranno ancora pesanti, la fiducia e le relazioni perse non si ricostruiscono in un nonnulla, appena la normalità torna a regnare (o forse per qualcuno sì?!). Chi ha mantenuto il timone stretto e non si è lasciato sbaragliare dalla tempesta, come forse ancor più chi si è lasciato persuadere dalle sirene benpensanti, dovrebbe cercare di apprendere quali siano stati i motivi di questo sbandamento, di tutto questo spaesamento e accondiscendenza verso il dominio che ha avuto la meglio su di loro o molti di coloro che poco prima erano al proprio fianco. Uno tra questi è il possibilismo che a volte aleggia nei dibattiti e discussioni a proposito di un buon impiego della tecnica e la stigmatizzazione, in genere spostando il tema dell’argomento, verso chi questo possibilismo lo rifiuta totalmente. Individui che spesso si vedono accusati di essere alla stregua di trogloditi integralisti, oppure degli insensibili “abilisti” se non, in alcuni casi dei “transfobici”. Accusa, quest’ultima, avanzata di frequente da alcune becere componenti di un vasto, quanto spesso ambiguo, movimento “trans-femminista queer” che mai prende veramente le distanze (se non tiepidamente) da chi al suo interno reclama il progresso e la sua produzione tecnica. Questo tipo di accuse non solo sono scorrette e inconsistenti, perché mai affrontano veramente le problematiche etiche implicate dallo sviluppo del sistema tecnico – dalle conseguenze ecologiche e sociali della produzione industriale, alle conseguenze culturali e cognitive che l’impiego delle tecniche odierne comportano -, ma sono pure palesemente strumentali, in quanto chi le sostiene ha sempre un interesse, un modello di esistenza o un’identità da difendere, da chiunque la possa mettere anche solo indirettamente in discussione. Che questo tipo di giudizi, comportamenti e attitudini possano essere veicolati all’interno del movimento anarchico, un movimento senza bandiere e partiti a cui affiliarsi, senza identità e posizioni da difendere, ma con idee e azioni da perseguire, è un problema enorme che non si deve ignorare, pena il trovarsi senza funi di pensiero ben salde nelle mani ed essere spazzati via al primo alito di vento moralizzatore dello Stato o dei suoi ignari sostenitori. Un altro aspetto è il rapporto con la vita che gli anarchici, in quanto parte anche loro della società, tendono a riprodurre. Un certo atteggiamento, metodo di comunicazione e linguaggio pervasivo in questa società, e a volte pure nel movimento, incentrato sul far sentire le persone sempre a loro agio e sicure, un certo modo di voler affrontare ogni vicissitudine senza accettare l’inevitabilità del rischio e la scomodità di certe scelte che – in un contesto in cui il mondo, da apparentemente su misura per sé, si trasforma in palesemente ostile – portano all’incapacità di agire, di abbracciare le passioni per l’inconsueto e per l’ignoto, indispensabili ad ogni principio trasformativo della realtà. All’interno di questo processo le protesi tecniche che adoperiamo quotidianamente hanno un ruolo significativo. Quando per poter parlare non hai più bisogno di incontrarti, la comunicazione diventa più immediata e sempre alla propria portata, ma anche più superficiale e parte del discorso, spesso la più significativa, viene omessa. L’abitudine poi a queste modalità fa sì che certe questioni – per motivi evidenti – smettono di essere discusse al punto che si smette pure di prenderle in considerazione, finendo per scomparire. Non è sorprendente che molti si siano semplicemente adattati senza grandi problemi alla distanza virtuale imposta, organizzando incontri in videoconferenza. Evidentemente, nel contenuto dei loro confronti non c’era nulla di possibilmente problematico per il sistema. A furia di adattarsi anche il leone più feroce finisce per trasformarsi in agnellino. Ciò non vuol dire che un nemico del dominio debba sempre vivere con il coltello tra i denti, ma deve prendere consapevolezza del mondo che lo circonda, di cosa sia necessario fare per attaccarlo, degli strumenti adeguati per farlo e non solo delle gioie e soddisfazioni, ma anche delle difficoltà, ansie e sofferenze che comporta la via della distruzione.
Invece spesso la tensione è quella di voler porre un argine al dominio dello Stato e non di volerlo sovvertire, di voler costruire comunità in cui sentirsi a proprio agio, in cui prendersi cura di sé e sentirsi sicuri, mettendo da parte il desiderio di libertà. Il concetto di resilienza sembra aver attecchito e sostituito quello di rivolta anche nel movimento anarchico. Un esempio: con un semplice gioco di parole si trasforma il nome di un opuscolo dei primi del ‘900 in cui si fornivano istruzioni sulla preparazione di esplosivi, in un’innocua iniziativa dove prendersi cura di sé con yoga e massaggi (benefit prigionier* ovviamente…). Purtroppo il movimento anarchico, in molti casi, tende in questi tempi a trasformarsi in quello che qualcuno aveva descritto come la “sottocultura anarchica”. L’anarchismo piuttosto che una tensione etica alla vita, viene intesa come una sezione, spesso neanche prioritaria, della propria esistenza frammentata, al pari del lavoro, delle relazioni affettive, degli studi, dello svago… Gli spazi anarchici sono spesso simili a circoli del dopolavoro, ad associazioni storiche e culturali, a case malconce dove sopravvivere. Al posto di essere mezzi e veicoli di rivolta, si sono trasformati nel fine stesso degli sforzi di chi li anima. Cosa mai sarebbe potuto accadere a queste realtà traballanti quando lo Stato vietò di incontrarsi? In molti casi è bastata la minaccia di una multa per spegnere ogni iniziativa, senza neanche dover ricorrere a deterrenti significativi. Si ricorre spesso ad espedienti retorici per consolarsi affermando che “la vita è altrove”, ma la vita nelle sue più svariate forme dovrebbe germogliare in ogni iniziativa e progetto che l’individuo indomito intraprende. Come si è potuto osservare in quel periodo per certi versi stra-ordinario, la dualità tra un’esistenza di compromesso con la realtà quotidiana del dominio e la rottura radicale con esso, non sempre è compatibile o giovevole alla propria tensione libertaria, anzi, in certi casi è deleteria. Accettare di iniettarsi un siero sperimentale per poter continuare a lavorare per l’impossibilità di cavarsela in altri modi o per l’incapacità di immaginare un’altra esistenza al di là di quella vissuta fino a quel momento, potrebbe essere un esempio di come certe scelte professionali/economiche possano portare a un vicolo senza uscita, in cui è difficile o impossibile scavalcare il muro, evitando un posto di blocco. Non che esista una ricetta prestabilita o si voglia biasimare certe scelte piuttosto che altre, ma sicuramente non sarebbe cosa superflua interrogarsi sull’eventualità di un cambiamento repentino e sempre imminente delle condizioni sociali in cui si è, in un modo o nell’altro, obbligati a sopravvivere. La vita frammentata della società capitalista non sempre è compatibile con le prerogative del dominio o le contingenze del caso. Una prospettiva di vita che non separi gli aspetti della propria esistenza, assegnando il proprio tempo ad uno piuttosto che all’altro, scindendo la propria personalità in parti che possono entrare facilmente in conflitto le une con le altre, potrebbe rivelarsi in periodi come questo indispensabile per non smarrirsi e doversi adeguare alle richieste e imposizioni del potere. Cosa accadrà quando lo spettro del totalitarismo busserà nuovamente alle nostre porte, che sia per garantire un buon numero di soldati al suo esercito, o per limitare il consumo di “risorse” idriche e alimentari, non più garantite da un territorio in collasso ecologico…? Sarà prevedibile se non ci si interrogherà già da ora sulle modalità con cui intraprendere la propria guerra contro il dominio, se non si realizza già oggi una progettualità che preveda un conflitto permanente con l’esistente, che nel suo stesso adempimento ci rifornisca di esperienze, strumenti critici e pratici con cui affinare un metodo che possa essere condiviso e diffuso, portando al suo massimo compimento ad un momento insurrezionale che spazzi via ogni esercito in uniforme militare o civile, così come ogni autorità.
[Ricevuto via e-mail | Pubblicato in https://tipografiabelladonna.noblogs.org/post/2025/09/26/e-disponibile-il-libro-zundlumpen-antologia-edizioni-il-pennato/ | Riproposto in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/10/15/e-stato-pubblicato-il-libro-zundlumpen-antologia-edizioni-il-pennato-2025/ | Segnaliamo inoltre che l’archivio completo con tutti i numeri del giornale anarchico “Zündlumpen” è consultabile, in lingua tedesca, tramite il link: https://archive.org/details/awb_nr011_202405/awb_nr001/]
