FUORILEGGE
Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori
Collegamenti dalle carceri e compagni da Grecia, Cile, Spagna e Messico
PROGRAMMA:
Venerdì 23 maggio a Palazzo Ricci (via collegio ricci 10 Pisa)
Ore 16:00 discussione a partire dal libro “Alcuni scritti su Kamina Libre. Identità irriducibili di una lotta lotta anticarceraria”
Sabato 24 maggio al giardino del Polo Fibonacci (Via buonarroti 3, Pisa)
Ore 10:00 discussione a partire dalla mobilitazione in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito
Ore 16:00 discussione a partire dal libro Adios Prision
Ore 20:00 cena veg con musica, a seguire concerti punk benefit prigionieri
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Introduzione all’iniziativa “FUORILEGGE.
Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori“
Nella notte di mercoledì 13 aprile un’ondata di attacchi incendiari tra Parigi e il sud della Francia colpisce la polizia penitenziaria e il sistema che ruota attorno al carcere. Questa notizia da oltralpe arriva a circa un mese dall’apertura del nuovo regime di isolamento, ispirato al 41 bis italiano, da poco introdotto in Francia dal Ministro della Giustizia Darmanin.
Mentre gli Stati si riarmano e serrano conseguentemente le loro fila sul fronte interno, mentre le nuove svolte del capitalismo decretano la riduzione progressiva dello stato sociale e della sua funzione di recupero dei conflitti, la carcerazione assume ancor più un ruolo fondamentale nella gestione di quelle “eccedenze umane”, per un motivo o per un altro, ormai espulse dal ciclo produttivo e impossibili da reintegrare. Le popolazioni devono essere tenute nell’ordine e nella disciplina per obbligare ad accettare i costi, materiali ed etici, della guerra e a renderle partecipi esse stesse del regolare funzionamento della macchina bellica e statale. Lo Stato è guerra, ed è innanzitutto in guerra contro i “propri” sfruttati. Gli individui inservibili alle esigenze degli eserciti ed eccedenti rispetto alle richieste della produzione vengono progressivamente tenuti sotto controllo tramite l’alienazione virtuale, il ricatto economico, ma soprattutto tramite l’aumento della forza coercitiva, da cui ad esempio il crescere costante della popolazione carceraria detenuta. Qui si mostra la vera faccia del carcere come parte integrante e fondamentale dei meccanismi di oppressione e sfruttamento. L’esperienza della carcerazione in questa società può diventare un’esperienza comune per ogni individuo, una dimensione altamente probabile all’interno di una vita dalla cui miseria non vi è alcuna via di uscita se non tentando la via dell’illegalità, rischiando quindi di passare per “l’imprevisto della prigione”: questa sofferenza senza assoluzioni può portare tanto all’autodistruzione quanto alla strada della rivolta per chi non ha da perdere altro che le proprie catene.
“Il carcere è l’espressione più brutale e immediata del potere e come il potere va distrutto, non può essere progressivamente abolito. Chi pensa di poterlo migliorare per poi distruggerlo ne rimane prigioniero per sempre.”1
DENTRO E FUORI
A partire dai due testi Adíos Prisíon e Kamina Libre, nei quali si parla di esperienze e visioni specifiche, vogliamo guardare ad un passato recente e attualmente vivo, dove un dialogo a più voci racconta il sentire che mantenne vivo lo spirito rivoltoso di prigionieri che da dentro hanno lottato e lottano affinché in questa società non ci possa essere posto per il carcere. Oggi, mentre gli Stati progettano un orizzonte di “più carcere per sempre più persone” e dall’America latina alla Grecia, passando per l’Italia e la Francia, tentano di seppellire centinaia di compagni e compagne insieme alle loro esperienze di lotta, crediamo che la risposta sia la moltiplicazione e diffusione dell’attacco contro lo Stato e il Capitale non solo da un fronte, ma da molti.
In questo senso il recupero delle esperienze passate, oltre che a farle emergere dall’oblio in cui lo Stato le vuole seppellire, contribuisce a mantenerle vive in una prospettiva di lotta insurrezionale, collocando “il carcere all’interno di un tessuto relazionale organico”, non considerandolo “come una cosa a sé, un’entità isolata slegata dal resto del mondo, dalla società e da noi. Se lo vediamo solo come una fortezza esso rimarrà inespugnabile. […] Il carcere è la struttura dove prende corpo il concetto di pena, è l’architetto che lo progetta, è l’azienda che lo costruisce, è la legge che lo ratifica, è il tribunale che lo introduce, è il carabiniere che ti ci conduce, è il secondino che ti sorveglia, è il prete che vi tiene messa, è lo psicologo che vi presta la propria opera. È questo e altro ancora. È l’azienda che sfrutta il lavoro dei detenuti. È quella che si arricchisce fornendo il rancio, le suppellettili, le attrezzature di controllo, i beni “voluttuari” che i prigionieri possono acquistare a carissimo prezzo, magari facendo lavori che hanno lo scopo di reinserirli nella società dei servi e dei padroni. Il carcere è anche il professore che lo giustifica, è il riformatore che lo vuole più umano, è il giornalista che ne tace le condizioni, è il cittadino che lo ignora o lo teme.”2
La lotta anticarceraria, non relegabile all’ambito tecnico, giuridico, assistenzialista o vittimistico va affrontata complessivamente. Per questo è necessario interrogarsi su come dar luogo e alimentare un conflitto permanente contro le strutture del dominio affinché la repressione non abbia la forza e la possibilità di isolare e annichilire chiunque non rinunci a tenere la testa alta, a sostenere l’esigenza delle idee e delle azioni contro il potere.
Lo sciopero della fame intrapreso da Alfredo Cospito, durato 6 mesi, per l’abolizione del regime 41 bis per tutti/e i/le detenuti/e contro l’ergastolo ostativo è stato sostenuto da un movimento di solidarietà internazionale e di azione diretta ed ha evidenziato come partendo dall’ istanza specifica “Fuori Alfredo dal 41 bis” fosse possibile affrontare un dibattito e creare delle crepe, sul 41 bis e il carcere duro, apice del sistema repressivo, questo nonostante viviamo in tempi di elogio del disimpegno, di smobilitazione permanente, di rassegnazione imperante. L’ attacco ad Alfredo è stato un monito da parte dello Stato nei confronti di chi persevera nel sostenere le idee e le pratiche rivoluzionarie, quello Stato che deve cancellare tanto la possibilità quanto la memoria della lotta armata in questo paese, di cui l’azione contro Adinolfi, rivendicata da Alfredo in tribunale a Genova, è una delle più recenti testimonianze. Riparlare oggi dello sciopero della fame di Alfredo e la mobilitazione in sua solidarietà, partendo da riflessioni e critiche, che vada oltre ad un dibattito più ampio sul 41 bis e sulla repressione in Italia, è necessario per riflettere su un dato di realtà , per quanto insufficiente a mettere in seria difficoltà il sistema repressivo, hanno certamente alimentato delle scintille non proprio ordinarie, da cui sarebbe auspicabile trarre insegnamento e stimolo per la realizzazione di una progettualità che vada oltre l’emergenzialità del momento e la parzialità delle rivendicazioni. I limiti e le criticità di quella mobilitazione non possono essere messi all’angolo. Con la fine dello sciopero di Alfredo, si è praticamente fermata lasciando immutata la condizione in totale isolamento senza che niente impedisca allo Stato di prendersi le proprie vendette su questo compagno, come dimostrano anche i recenti aggiornamenti sulla sua prigionia. Il ritorno del graduato del GOM, precedentemente trasferito per il suo coinvolgimento nello “scandalo intercettazioni”, alla direzione della sezione 41bis del carcere di Bancali ha portato con sé un ulteriore inasprimento delle condizioni già dure in questo regime. Tornare a riflettere sulle lotte contro il sistema-carcere tra dentro e fuori è quindi necessario affinché le esperienze raccontate in Adíos Prisíon e Kamina Libre possano diventare uno strumento per l’azione nel presente.
1 Alfredo M. Bonanno, Chiusi a chiave. Una riflessione sul carcere
2 Alfredo M. Bonanno, Chiusi a chiave. Una riflessione sul carcere
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Introduzione al libro “Alcuni scritti su Kamina Libre. Identità irriducibili di una lotta lotta anticarceraria”
Nel 1994 in Cile veniva inaugurato il nuovo Carcere di Alta Sicurezza (CAS). In questo nuovo carcere il sistema democratico introduceva misure inedite nel paese anche ai tempi della dittatura, queste misure riguardavano il controllo, l’isolamento e la sorveglianza dei detenuti ed erano utilizzate per i membri delle organizzazioni politico-militari esistenti in Cile. In questo nuovo CAS, che nel momento di picco ha superato i 90 detenuti, dal 1995, su iniziativa di un gruppo di prigionieri in rottura con il MAPU-LAUTARO, un’organizzazione armata marxista-leninista, iniziò a formarsi quello che poi successivamente sarebbe stato il Kolektivo Kamina Libre. Questi compagni iniziarono così ad organizzarsi nel CAS, dal 1996 lo fecero tra l’altro anche attraverso la pubblicazione “Libelo”, a cui poi negli anni ne sarebbero seguite altre come “Konciencialerta” e “T.I.R.O.” (Trasgressione Insurrezionale Radicale Organizzata). Questi strumenti furono fondamentali per far sì che il messaggio dei prigionieri si estendesse al di fuori delle mura del CAS. Dalla metà degli anni Novanta iniziava così a prendere forma il Kolektivo Kamina Libre che si dichiarava come autonomo, insurrezionale, controculturale e di resistenza offensiva per continuare a lottare, da dentro, anche dopo la “transizione democratica” del capitale al fine di ottenere un chiaro obbiettivo: il ritorno in strada di tutti i suoi membri. Obbiettivo raggiunto poi nel 2003. Le posizioni del Kolektivo mettevano al centro l’importanza della conflittualità permanente con il potere, in una fase in cui le altre organizzazioni armate deponevano le armi. Questo scontro si rafforzo all’interno delle carceri: “Rivolte e scioperi della fame hanno costituito per diversi anni il tono delle mobilitazioni interne al carcere, generando dinamismo in termini di approcci e iniziative e realizzando, d’altra parte, conquiste all’interno del carcere, che si sono concluse con la liberazione di tutti i membri di Kamina Libre. Questa posizione riflette il ruolo indispensabile che i prigionieri svolgono nella lotta per la loro libertà, una posizione che era anche in piena sintonia con l’attività degli antiautoritari e delle lotte nelle strade, dando vita ad una solidarietà combattiva lontana dall’assistenzialismo e dal vittimismo così ricorrenti oggi. Non hanno aspettato che persone più o meno coscienti si mobilitassero per loro, ma hanno capito che la propria libertà dipendeva principalmente da loro stessi, per questo hanno utilizzato il proprio corpo come strumento di lotta durante le dure giornate degli scioperi.”1 A partire dall’esperienza di Kamina Libre in Cile, oltre che rilanciare la solidarietà al compagno Marcelo Villarroel ancora oggi prigioniero nelle carceri del nuovo Cile democratico, ci piacerebbe riflettere su come da fuori si stato fondamentale un sostegno a chi da dentro per primo aveva deciso di intraprendere una lotta mettendo in gioco tutto se stesso e su come una lotta partita dall’interno di un Carcere di Alta Sicurezza si sia estesa poi a tutta la società fino a ottenere il ritorno in strada dei membri del Kolektivo.
1 Francisco Solar, l’importanza di Kamina Libre oggi
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Introduzione al libro “Adiós Prisión. Il racconto delle fughe più spettacolari”
A partire dal 1989, con una circolare, fu introdotta nelle carceri spagnole una nuova sezione per i detenuti, nota come FIES (Fichero de Internos de Especial Seguimiento). Seppur questo nuovo regime detentivo venne regolamentato solo otto anni dopo la sua comparsa, sin dall’inizio si contraddistinse per i trattamenti particolarmente duri. Inizialmente le sezioni FIES furono usate per rinchiudere membri di bande armate, ma poco dopo vennero estesi a tutti quei detenuti ostinatamente refrattari all’autorità, ai detenuti conflittuali che con continue rivolte, incendi di sezioni o evasioni danneggiavano non solo le strutture ma la reputazione stessa dell’amministrazione carceraria. Fu così che il governo socialista, allora al potere, decise di introdurre questo regime detentivo speciale.
“Ai mezzi di comunicazione, prostituiti al potere, venne impartita una direttiva secondo la quale dovevano omettere tutto quanto accadeva nelle carceri spagnole contro di noi, mostrandoci come psicopatici, con il chiaro intento di far accettare quei metodi all’opinione pubblica. Stavano facendo di tutto per frenare le denunce dei detenuti, per distruggere l’associazione APRER e restaurare l’ordine e la disciplina nelle carceri, attraverso il terrorismo carcerario. Quei metodi erano già stati utilizzati in passato con la COPEL. Si trattava di mettere in atto una forte pressione finalizzata all’annientamento della mente del recluso e a demolire lo spirito rivendicativo dello stesso, bombardando quotidianamente il suo sistema nervoso, fino a ottenere la sua definitiva resa.”
Huye Hombre Huye, X. Tarrío
Quello sperimentato in queste sezioni è il risultato del parossismo della punizione, il cui vero nome è tortura perché la volontà che c’è dietro è l’isolamento totale e l’annichilimento assoluto degli individui, sia psicologicamente che fisicamente. Si trovarono costretti ventitré ore al giorno in celle senza letto perché materassi e coperte venivano sequestrati ogni mattina e riconsegnati la sera, senza comunicazione con l’esterno perché ogni visita di parenti, amici o avvocati era negata, picchiati e ammanettati per giorni alle sbarre ad ogni minimo accenno di protesta. Tutto questo accadeva (così come accade oggi) non solo per mano diretta degli aguzzini carcerieri ma anche grazie all’ausilio dei medici del carcere, che inducevano, se non costringevano i detenuti ad assumere tranquillanti o psicofarmaci, con la volontà di avvelenarli e sedarli. Meccanismi che mirano a rendere ogni momento dell’esistenza in carcere una punizione senza fine, se non quella della tortura nuda e cruda.
Il FIES non è l’eccezione, all’interno della società spagnola, ma il riflesso più miseramente autentico della morale di Stato, in cui il carcere rappresenta la soluzione alle contraddizioni intrinseche di questa organizzazione sociale. La morale di Stato, quella che “ogni libero cittadino” fa propria si manifesta nella codardia e nel cinismo del potere in maniera incondizionata proprio nelle carceri; tutto ciò accade anche grazie a quei “mercenari dell’amministrazione penitenziaria” non rappresentati solo da carcerieri, ispettori, “garanti” dei detenuti, ma anche da medici, psichiatri, assistenti sociali, etc. che ne permettono il funzionamento e la normalizzazione all’interno e all’esterno delle squallide mura carcerarie. Un corrispettivo italiano del FIES spagnolo può essere considerato il 41 Bis: il regime di carcerazione voluto dall’infame generale Dalla Chiesa all’epoca della lotta portata avanti dallo Stato italiano contro le organizzazioni mafiose; fu usato poi per i membri di organizzazioni rivoluzionarie e da qualche anno le sue tenaglie si sono estese anche agli anarchici, come è successo al compagno Alfredo Cospito, che attualmente è ancora in totale isolamento.
Il libro Adíos Prisíon nasce con l’intento di informare e denunciare sulle condizioni detentive del FIES, per far prendere coscienza a chi stava fuori sulla reale condizione dei reclusi, per incitare alle proteste, alla ribellione, all’evasione. Uno degli obiettivi era rompere l’isolamento in cui volevano rinchiuderli e affermare la voglia di lottare anche nelle più dure condizioni per non rendere il carcere totalizzante sulla volontà degli individui, di attaccarlo per ribadire sempre il proprio irrinunciabile desiderio di libertà.
Adíos Prisíon, in questo senso, non racconta singoli episodi di lotta e fuga dalle carceri, sono le esperienze stesse a parlare in un racconto corale scritto da detenuti sottoposti al FIES.
Il libro fu elaborato clandestinamente nel carcere di El Dueso e fu subito vietata la diffusione perché “istigava all’evasione”, ma questa censura non impedì al libro di circolare da cella a cella e da carcere a carcere, a dimostrare ancora una volta quanto siano scalfibili quelle mura. Questa serie di racconti non è scritta con l’idea di fantasticare su imprese di individui straordinari, alimentando un immaginario avventuroso che metterebbe sullo stesso piano un film d’azione con un tentativo di evasione nella realtà. Ciò che è fondamentale e che si mette in luce è una tensione costante verso la vita e il desiderio di libertà che nessun buio di una cella può oscurare, che la dignità per quanto offesa o fiaccata non è qualcosa da negoziare, che nonostante le avversità e le torture si continua a lottare insieme ai propri complici. Questi racconti sono esperienze di sfide al potere costituito, ma anche a tutti coloro che ritengono il carcere la soluzione alle contraddizioni sociali generate da questo sistema ingiusto.
A partire da questa presentazione ci piacerebbe confrontarci sul tema dell’evasione non solo rispetto al suo portato nella quotidianità carceraria, ma anche alle condizioni in cui chi evade si trova, una volta uscito da quella monotona esistenza ed entrato nell’imprevedibile stato della latitanza. In tutto ciò resta fondamentale il contributo di chi, fuori dal carcere, sostiene i detenuti e i loro percorsi di lotta nel tentativo di estendere la loro rivolta al di fuori delle mura, contro tutti i dispositivi di controllo e repressione di cui questa società dispone.
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PDF: Introduzione all’iniziativa “FUORILEGGE. Due giorni di discussioni contro la galera tra dentro e fuori”
PDF: Introduzione al libro “Alcuni scritti su Kamina Libre. Identità irriducibili di una lotta lotta anticarceraria”
PDF: Introduzione al libro “Adiós Prisión. Il racconto delle fughe più spettacolari”
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