La storia infinita. Alcune considerazioni sull’Operazione Panico e l’arresto di Ghespe

LA STORIA INFINITA
Alcune considerazioni sull’Operazione Panico e l’arresto di Ghespe

Mentre prosegue lo scontro sul suolo ucraino tra gli apparati militar-industriali dei diversi blocchi capitalisti, e in Palestina il genocidio portato avanti dalla democrazia israeliana non si è mai fermato, la rielezione del presidente “arancione” negli USA rilancia scenari di incertezza; in mezzo, un’Europa che torna a parlare di riarmo e ormai esplicitamente di “nucleare militare”.

In questa fase caratterizzata dalla tendenza alla guerra totale, che già da sola può bastare a togliere il sonno anche ai più ottimisti, nelle scorse settimane i nostri cuori hanno sussultato di tristezza per una piccola notizia riguardante una singola esistenza: il 15 febbraio 2025 in Spagna è stato arrestato il nostro compagno e amico Salvatore Vespertino (Ghespe, per chi gli vuole bene), uccel di bosco da circa due anni in seguito ad una pesantissima condanna ad 8 anni per fabbricazione, detenzione e porto di ordigno esplosivo, lesioni personali gravissime e danneggiamento, relativa all’Operazione Panico del 2017 a Firenze. Ghespe è stato estradato in Italia il 4 marzo, un altro compagno è già in carcere dal 2023 dopo la sentenza della Cassazione, ed un’altra decina di compagni/e attende di scontare pene da 1 a quasi 4 anni per reati vari.

Era la notte di Capodanno tra il 2016 e il 2017, quando ignoti piazzarono un ordigno artigianale davanti all’entrata della libreria “il Bargello” a Firenze, sede dei fascisti di Casa Pound. Erano mesi ed anni che in città fremeva un’opposizione crescente ai fascisti, portata avanti sia con azioni collettive pubbliche sia con attacchi notturni, che avevano costretto i fasci a fare i conti con una trasversale ostilità da parte della città e a sobbarcarsi costanti cambi di sede. L’azione di quella notte si sarebbe aggiunta alle varie già accadute, ma non aveva previsto il delirante intervento della Questura.

Avvisati di un pacco sospetto (piazzato prudentemente dietro la serranda metallica, nel pieno della notte in una via laterale di scarso passaggio e completamente deserta), i prodi della DIGOS iniziarono a manipolare e addirittura calciare il pacco, in barba ad ogni protocollo di sicurezza e ad ogni minimo buon senso esistente. Non paghi di tanta spavalderia, nonostante non ci fosse nessun pericolo né per cose né per persone, hanno richiamato l’unico artificiere disponibile a quell’ora a Capodanno, che, nella stanchezza e nei postumi dei bagordi iniziati la mattina precedente, ha iniziato a disinnescare l’ordigno senza la benché minima protezione. Il risultato è stato lo scoppio accidentale, che gli ha fatto perdere l’uso di una mano e di un occhio.

Prima ancora che si fossero posate le polveri dell’esplosione, già veniva strombazzato chi fossero gli ovvi autori del “vile attentato”: gli anarchici. Così, con le consuete indagini a senso unico, dopo neanche un mese vennero arrestati/e 3 compagni/e per il reato di associazione a delinquere e vari altri reati specifici relativi ad accadimenti del periodo precedente, più altri/e sottoposti/e a restrizioni varie. Inoltre, veniva sgomberata Villa Panico, occupazione quasi decennale nel parco di San Salvi, con un dispiegamento di forze esagerato, con il corpo degli Artificieri in prima linea, a far detonare porte e fioriere di un edificio vuoto.

Nei mesi successivi le indagini proseguirono, a “pesca” di indizi rivelatori: tramite una mole pazzesca di intercettazioni ambientali e telefoniche (dal costo milionario e che riempivano oltre 10.000 pagine), riuscirono a fare un collage forzato di frasi rubate da conversazioni telefoniche per potersi costruire qualche “colpevole”, e così ad agosto 2017 scattarono altri arresti (tra cui Ghespe, che era venuto in città apposta per solidarizzare), stavolta per il reato centrale del botto di capodanno, e sgomberando a questo giro l’occupazione decennale de La Riottosa.

Sui mesi e sugli anni successivi purtroppo non abbiamo granché di esaltante da rievocare, dato che il tutto ha seguito il copione preconfezionato dalla questura. Nonostante un’accorata solidarietà, sia da parte dei movimenti cittadini sia dal movimento anarchico e libertario dentro e fuori i confini italiani, la macchina repressiva non ha subito molti intoppi, con tutti i media perfettamente allineati alle veline della questura, e con l’apparato giudiziario dichiaratamente di parte fin dall’inizio, arrivando più volte a calpestare senza vergogna lo stesso codice di procedura penale, pur di ignorare l’assoluta inconsistenza degli indizi presentati dall’accusa e di arrivare a condanna veloce e certa rispettando ad ogni costo il calendario delle udienze. Il primo grado di giudizio ha comminato in totale condanne per circa un secolo, principalmente per associazione a delinquere, e tre compagni si sono ritrovati condannati a 9 anni sulla base di una sola e unica prova: un esame del DNA raffazzonatissimo e… irripetibile. L’appello ha mitigato parzialmente le condanne, principalmente annullando l’associazione a delinquere, e la Cassazione ha poi suggellato il tutto. Dopo circa 15 anni di presenza anarchica costante sul territorio, tutta una rete solidale di rapporti libertari in città e dintorni è stata brutalmente strappata, uno dei pochi argini che ancora resisteva alla desertificazione sociale è stato abbattuto.

Possiamo comunque a nostro avviso trarre da questa vicenda alcune indicazioni e perfino degli insegnamenti.

In primis, come sempre e più di sempre, è stata colpita soprattutto la solidarietà: buona parte delle indagini è servita per ri-mappare e dissezionare, con rinnovata foga, la rete di rapporti esistente tra le persone coinvolte. Non a caso, i due condannati principali venivano da fuori città e si trovavano solo temporaneamente a Firenze proprio per portare la suddetta solidarietà. E inoltre, la pura e semplice insuscettibile solidarietà manifestata da altri durante l’Operazione Panico è stata una delle accuse alla base di nuove inchieste e processi (una su tutte, l’Operazione Bialystok a Roma nel 2020, durante la quale 7 compagne sono state arrestate per terrorismo).

Poi, se per molti versi l’Operazione Panico è stata coerente al continuum repressivo delle politiche degli anni precedenti contro gli anarchici, vale la pena notare che, oltre ad essere stata una delle prime in cui ci si è trovati davanti a condanne definitive molte alte, è stata anche una delle prime volte in cui è stato usato lo strumento del DNA, al di fuori di pochi casi di cronaca nera, in un’occasione di rilevanza mediatica nazionale. Ed è stato subito dimostrato quanto questo strumento sia pericoloso. Da una parte, il suo uso è interamente nelle mani dello Stato, che fa i rilevamenti e i prelevamenti sulla scena del crimine, detiene nei propri archivi i reperti, fa condurre i test e le analisi al proprio personale all’interno dei propri laboratori: le contro-analisi di parte sono molto limitate, molto costose, e di fatto pressoché impossibili da condurre in un setting realmente indipendente dagli apparati dello Stato. Dall’altra, permette un’enorme malleabilità e discrezionalità nell’interpretazione dei risultati, a fronte però di una percezione pubblica che la assume come analisi altamente scientifica e quindi assolutamente certa, super partes, obiettiva. In Italia e in Europa ormai l’utilizzo di questo strumento come mezzo di repressione contro i movimenti di contestazione radicale, ma anche per reati minori e di scarsissima rilevanza criminologica e sociale, si sta sempre più diffondendo nel tentativo di normalizzarlo nonostante gli evidenti limiti.

E in ultimo, ci permettiamo di recitare brevemente la parte delle tristi Cassandre, ma non con la facile presunzione di chi pensa di averla sempre saputa più lunga degli altri, bensì con il rammarico di chi non è stato in grado di impedire ciò che sapeva sarebbe successo. Quando viene impedito di aggregarsi e fare qualche innocua festicciola (v. le politiche anti-rave), quando i vari pacchetti sicurezza negli anni hanno ridotto al lumicino la possibilità di protestare – e di disertare – in qualsiasi forma l’ordine costituito, quando a forza di DDL si mette al confino preventivo in pieno stile fascista i ben noti presunti agitatori, quando lo stato di emergenza è la norma, quando l’Operazione Covid ha definitivamente mostrato la gestione della crisi come modello di gestione sociale, politica, ed economica del futuro, quando ogni minima autonomia residua e ogni libera aggregazione sono perennemente attaccate con una sproporzione di energie altrimenti inspiegabile… come non pensare agli anni e ai decenni in cui assieme ci siamo opposti, e abbiamo lottato con le unghie e con i denti – e a volte anche con gli sputi e con il piscio – per strappare ogni centimetro possibile di libertà d’azione?

E quindi, per quanto leggere queste parole – come d’altronde dare una semplice occhiata al mondo che ci circonda – possa pesare come una pietra tombale, sappiamo che non sarà finita finché Vespertino non sarà libero di tornare da noi, finché ogni altro prigioniero di carceri o lager per immigrati non potrà distruggere la propria gabbia, finché non potremo prendere in mano le nostre vite. Non è una questione di ideologia, di convinzioni intellettuali. No, è proprio una questione di sopravvivenza.

Alcuni Anarchici e Anarchiche

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