È uscita la seconda edizione del libro “Memorie di un anarchico” di Giuseppe Mariani (Editziones de su Arkiviu-Bibrioteka “T. Serra”, 2024)

È uscita la seconda edizione del libro “Memorie di un anarchico” di Giuseppe Mariani (Editziones de su Arkiviu-Bibrioteka “T. Serra”, 2024)

Giuseppe Mariani
Memorie di un anarchico
Editziones de su Arkiviu-Bibrioteka “T. Serra”, seconda edizione, Guasila, 2024. Collana “I Refrattari”, 7.
Introduzione di C. Cavalleri, presentazione di G. Damiani, con Appendice documentaria.
192 pp., 7,50 euro.

Per richieste di copie: anarkiviu@autistici.org

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Editziones de su Arkiviu-Bibrioteka “T. Serra”
via mons. Melas 24 – 09040 Guasila (SU)

È appena uscita la II edizione del libro
Memorie di un Anarchico / Giuseppe Mariani ; Introduzione di C. Cavalleri ; Presentazione di G. Damiani ; con Appendice documentaria. – 192 pag., € 7,50. – Collana “I Refrattari : 7”.

Il testo è complementare al volume, sempre disponibile, n. 6 della Collana “I Refrattari” dal titolo: La strage del Diana. Il processo agli anarchici nell’Assise di Milano 9 maggio – 1 giugno 1922 ; a cura di Fioravante Meniconi ; Introduzione di C. Cavalleri. – 222 pag., € 6,20.

Giuseppe Mariani infatti è stato uno dei tre processati e condannati come esecutori dell’attentato al teatro Diana, e l’unico sopravvissuto all’ergastolo.

Italia, 1920

Scema il periodo del terrore del capitale e dello Stato, suo pilastro fondamentale. Le ipotesi, mal poste, che le diverse anime del Partito Socialista e, soprattutto, dell’altra sua colonna portante, la CGdL, concorressero alla imminente rivoluzione proletaria, svaniscono come neve al sole. La rivoluzione è sospesa, rinviata a miglior futuro: le fabbriche occupate e difese a mano armata dagli operai, tornano nelle disponibilità dei padroni-ladri; le terre in mano agli aguzzini e sanguisughe di sempre. Operai e contadini, scampati alla guerra-carneficina, o rimasti storpi nella strage fratricida dei popoli ridotti a carne da cannone, si ritrovano così, nuovamente, quasi domati del tutto, nel ruolo di gregge mansueto pronto ad essere munto e tosato dalla bramosia del capitale e dello Stato!

Milano, 1920

Era chiaro, per gli anarchici almeno, che sarebbe scattata la reazione più feroce dei padroni, quale vendetta per il terrore subito nel periodo appena passato (cosiddetto Biennio rosso). Così vengono arrestati nell’ottobre del 1920, tra decine e decine di altri, per ordine del governo, Errico Malatesta, Armando Borghi e Corrado Quaglino; il primo quale presunto capo dell’anarchismo, il secondo come capo dell’anarcosindacalismo impersonato dalla Unione Sindacale Italiana (U.S.I.), e il terzo quale redattore instancabile del quotidiano anarchico “Umanità Nova” (che nonostante il boicottaggio governativo, i sequestri continui, le censure, ecc., per farlo chiudere, esce imperterrito in almeno 50 mila copie a numero).

Facile (relativamente) l’arresto, assai più complicata la sua giustificazione e pertanto il processo. Così che trascorrono settimane e mesi senza che si formulino le accuse che giustifichino la incarcerazione, ed il processo non viene mai fissato. Si arriva al mese di marzo del 1921 e le cose stando come all’atto dell’arresto dell’ottobre precedente, i nominati tre anarchici dichiarano lo sciopero della fame. Gli anarchici, soprattutto nella città meneghina, trepidano da mesi: nel 1919 han fatto il diavolo in quattro costringendo il governo ad applicare l’amnistia (da cui è stato appositamente escluso) anche all’anziano Malatesta, esule in Inghilterra, al fine del suo rientro in Italia, certi che darà il suo contributo in funzione della rivoluzione che si approssima, ed il “vecchio” rientra tra le traversie e si impone la sua liberazione allorché si tenta l’arresto tra il tripudio delle folle che lo attendono ad ogni stazione ove transita. Ed ora? Ora che le sue di già precarie condizioni di salute, a cui si somma dopo cinque mesi di carcere il digiuno volontario che

lo porterà a morte sicura non si hanno la volontà e la forza per imporre allo Stato ed ai padroni la sua liberazione? Ecco che in città è tutto un susseguirsi di azioni, di attentati esplodenti alle strutture del sistema e dei suoi uomini. Si arriva al parossismo allorché si attende, di volta in volta, il responso del governo sulla liberazione di Malatesta che però è sempre negativa; l’ultimo, proprio la sera del 23 marzo.

Un gruppo di compagni e compagne, aduso da tempo all’utilizzo dell’esplosivo, progettano negli ultimi giorni un attentato alla questura, ove i compagni arrestati vengono sistematicamente torturati, pestati a sangue fino allo sfinimento, costretti così a dire o firmare ciò che vogliono i questurini. Così si dividono i compiti e si ridanno appuntamento la sera del 23 marzo, il materiale pronto per l’uso, e si attende che la compagna Elena Melli riporti il responso del governo sulla liberazione degli arrestati.

Si è scoperto nel frattempo che l’operazione prevista ai danni della questura non è fattibile, e ciò alcuni del gruppo, Mariani in primis, vengono a saperlo sul momento, essendo stati fuori città ed appena convenuti. Si decide allora di effettuare l’attentato al teatro del Diana, che fa parte di un complesso ove, al piano superiore, vi è l’appartamento in uso del questore Giuseppe Gasti, ove è solito riunire la crema della borghesia meneghina, le alte autorità cittadine ed il duce del fascismo Benito Mussolini per decidere assieme strategia e tattica per assestare al proletariato ribelle i colpi da infliggergli.

La Melli ritarda assai e quasi ci si prepara a disfare ogni cosa perché si deduce che il governo abbia dato l’assenso alla liberazione. Ma eccola, infine, con l’ennesima notizia negativa. Si opera pertanto quanto deciso: i centoventi candelotti di esplosivo (circa 20 kg) si collocano in una delle tre saracinesche del teatro e si dà fuoco alla miccia. È una strage: 21 morti ed un centinaio feriti, diversi gravemente; la sera il Diana era al pieno della capienza per lo spettacolo programmato, Mazurca blu.

La caccia al sovversivo, all’anarchico in primo luogo, ha inizio poco dopo l’esplosione, il che significa che autorità, forze armate e fascisti eran pronti da tempo a dare l’assalto ai rivoluzionari alla prima occasione: decine e decine gli arresti, che proseguono per giorni, distruzione delle sede di Umanità Nova e dell’Avanti!, torture e pestaggi inauditi nell’immediatezza.

È solo a strage avvenuta e conseguente caccia all’anarchico, che il governo si decide a fissare accuse e processo per Malatesta e compagni, in cui vengono ovviamente assolti.

Il processo per gli imputati della strage del Diana incorpora pure tutto l’operare dell’anarchismo radicale a Milano, degli ultimi tempi. Così, scarcerati a decine dopo le solite torture di Gasti e subalterni, vanno a processo in 17, stralciati i casi di Fedeli e Bruzzi perché latitanti, e quello di Ghezzi, agli arresti in Germania. Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini vengono condannati all’ergastolo più, rispettivamente, 9 e 8 anni di segregazione cellulare. Ettore Aguggini è condannato a 30 anni di galera più 2 anni di vigilanza e multa. I tre risultano gli autori dell’attentato al teatro.

In quella sede vengono altresì condannati Primo Parrini, Antonio Pietropaolo, Orazio Perelli, Amleto Astolfi, Eugenio Macchi, Sante Creatini, Ferdinando Biscaro, Guido Fabbro, Francesco Tosi, Giuseppe Biscaro, Cesare Persivale a complessivi 103 anni, 6 mesi e 10 giorni di carcere più pene accessorie, per una serie di attentati avvenuti negli ultimi tempi a Milano.

Dei tre compagni condannati per la strage del Diana, solo Giuseppe Mariani sopravviverà all’ergastolo; nel 1929 Aguggini muore d’inedia e torture nel carcere di Alghero, all’età di appena 30 anni; Boldrini muore di stenti o trucidato in un tentativo di fuga dai nazisti nel lager di Mathausen (a seconda delle poche notizie), anch’egli giovanissimo.

Giuseppe Mariani libero, 1946

Mariani, nel 1946, esce dagli ergastoli per amnistia e occupa ancora il suo posto nelle fila dell’anarchismo. Nel 1953 esce il suo libro autobiografico dal titolo «Memorie di un ex-terrorista», stampato a Torino presso Arti Grafiche Garino. Poco dopo acquistata la libertà, scrisse una “Lettera ai compagni”, pubblicata in Umanità Nova n. 33 del 18 agosto 1946, in cui afferma di non tenerci affatto ad essere ritenuto quale “eroe della dinamite”, non perché si ritenesse pentito di qualcosa bensì perché … «l’atto terroristico in sé lo ritengo più dannoso che utile ai fini della rivoluzione sociale per la quale ogni anarchico lavora» […]. L’uscita delle sue Memorie riaprì in certo qual modo il dibattito in seno al movimento anarchico, e parte di questo viene documentato nell’Appendice al testo delle sue Memorie. Tuttavia si scorge in certo qual modo un fondo di ambiguità in quel dibattito, e il lettore attento potrà coglierlo in pieno.

Sarà invece a seguito della strage di Stato del 1969, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana, nella medesima città meneghina, che da parte degli stragisti di Stato da un lato, di una schiera di anarchici dall’altro, si riparlerà dell’attentato al teatro Diana, i primi per rafforzare il loro addebito agli anarchici «in quanti ben adusi alle stragi», i secondi per rafforzare ancor più la versione secondo cui «gli anarchici non sono affatto bombaroli», anche perché in quel lontano 1921 alcuni di essi svolsero il ruolo di «utili idioti» manovrati dallo Stato e suoi organismi, secondo qualche posizione manifestamente espressa.

È ovviamente ben difficoltoso affrontare questa tematica stretti dalla immediatezza di fatti e atti repressivi che ci soffocano nella loro imperiosità, proprio per questo è necessario che i compagni e le compagne la affrontino in tempi di relativa calma, non ossessionati da pressanti esigenze che richiedono una soluzione immediata.

Sia il resoconto del processo per l’attentato al Diana, celebrato a Milano nel 1922 e steso brillantemente dal compagno Meniconi, sia le Memorie di Mariani, rappresentano occasioni inestimabili per affrontare la tematica della validità o meno dell’attacco immediatamente distruttivo (il cui rischio è che, comunque, possa ingenerare conseguenze non volute) contro il capitale e lo Stato che lo sorregge, da parte degli anarchici ma anche di quei ribelli sociali che riescono ad individuare il proprio nemico che li soffoca giorno dopo giorno. Anche perché, ripercorrendo con le sue Memorie l’intero suo tragitto esistenziale, Mariani medesimo riesce a focalizzare non solo la sua maturazione all’anarchismo, e dunque alla necessità di colpire il capitale-Stato, ma anche il suo (il “nostro”) senso di “pressante necessità” decretata dalla reazione del sistema e delle sue istituzioni, che giocano strategicamente sulla feroce repressione che infine può togliere la lucidità necessaria (al fine di eliminare quanta possibile aleatorietà alla operazione che si porta avanti) per il concreto agire rivoluzionario anarchico. In tal senso è Mariani medesimo che afferma essere lui, forse, il meno responsabile tra coloro che progettarono ed operarono l’attentato al Diana; non bisogna dimenticare che, ritenuto impossibile l’attentato alla questura, gli si presentò l’opzione per colpire il Diana, allorché egli appena giunse a Milano. Non rinnega la sua responsabilità, né accenna ad errori eventuali di valutazione da addossare ai suoi compagni, ma evidentemente nella scelta del nuovo obiettivo non vi è stata la cura e l’attenzione dovuta. Forse una carenza all’origine? …

[Tratto da https://anarkiviu.wordpress.com/2024/12/11/e-appena-uscita-la-2a-edizione-memorie-di-un-anarchico-giuseppe-mariani-introduzione-di-c-cavalleri-presentazione-di-g-damiani-con-appendice-documentaria-192-pag-e-750/ e ripubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2024/12/20/e-uscita-la-seconda-edizione-del-libro-memorie-di-un-anarchico-di-giuseppe-mariani-editziones-de-su-arkiviu-bibrioteka-t-serra-2024/]

Giuseppe Mariani