Sulla Giornata del Disertore a Milano
Mentre la spirale di violenza si intensifica, da Gaza al Libano, da Kursk a Zaporizhzhia, a meno di un centimetro dallo spettro nucleare, la rasputiza, il pantano autunnale, invade le trincee lungo la linea del fronte NATO-Russia, dove centinaia di migliaia di uomini si rifiutano di combattere o “fuggono nel bosco” per sottrarsi alla mobilitazione generale in una guerra che esiste solo per gli sfruttati e la cui base industriale si trova anche qui in Italia, “polverificio” ucraino.
I principi di un ethos militare fondato sullo spirito di sacrificio, in cui la morte è resa desiderabile, trovano oggi una legittimazione nella grammatica informazionale egemone, a fronte di un dilagante rifiuto popolare della guerra che viene sottaciuto. Con la memoria rivolta ai milioni di disertori, ammutinati, non-sottomessi che su tutti i fronti della Prima guerra mondiale si sono rifiutati di obbedire, uccidere e morire per le rispettive patrie; ricordando tutti coloro che da Gorizia al monte Rombon hanno trovato sostegno e protezione nella fuga da parte delle classi popolari o si sono costituiti in bande armate per non diventare carne da cannone; rievocando il decimato ignoto seppellito sotto all’Altare della Patria; alcune persone hanno deciso di ritrovarsi in solidarietà ai traditori dello Stato davanti al Consolato ucraino di Milano il 4 novembre, giornata in cui lo Repubblica italiana celebra con una festa civile le Forze Armate e il massacro di 600 mila persone.
In un’epoca in cui l’avvento ideologico della democrazia e del pacifismo giustifica l’interventismo militare riabilitando le grammatiche della guerra giusta senza che sia chiamata tale, il coraggio di ribellarsi, che si registra in maniera crescente contro lo Stato ucraino e quello russo, e accade persino contro la mobilitazione esistenziale e permanente dello Stato sionista – i “refuseniks” – va supportato e difeso. Non solo per più che valide ragioni etiche, ma anche perché può materialmente portare al crollo dei fronti e così inceppare la corsa verso al massacro totale.
Con la consapevolezza che la mobilitazione generale oggi passa sempre più attraverso identità digitali biometriche funzionali a sorvegliarci, arruolarci o eliminarci, di cui esempio sono i sistemi di autorizzazione e varchi implementati durante la pandemia di COVID, abbiamo espresso la nostra tensione disfattista e internazionalista davanti al Consolato ucraino di Milano, che non rinnova i documenti a chi non si registra sul database elettronico per l’arruolamento “Oberih”, sistema analogo a quello implementato in Russia, “Gosuslugi”.
Nonostante l’imponente dispiegamento di Carabinieri, Polizia ed Esercito a bloccare tutto il perimetro del Consolato, gli interventi al microfono e i volantini distribuiti hanno incontrato l’interesse di chi si trovava lì per espletare pratiche burocratiche. Più di una parola è stata scambiata con persone rabbiose per i propri cari rapiti dallo Stato per andare al fronte: “i poveri vengono sacrificati”. Se la guerra comincia qui ed è qui che possiamo incepparla, quello del 4 novembre è stato un passaggio significativo nell’individuare un altro suo ganglio materiale.
[Ricevuto via e-mail e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2024/11/07/sulla-giornata-del-disertore-a-milano/ | Pubblicato anche in https://campiselvaggi.noblogs.org/post/2024/11/06/sulla-giornata-del-disertore-a-milano/]