Recensione della terza edizione di “Insegnamenti della Rivoluzione spagnola 1936-1939” di Vernon Richards (Biblioteca Anarchica Disordine, 2023)
NON SOLO LETTURA – EDIZIONI RECENTI
Vernon Richards / Insegnamenti della Rivoluzione spagnola 1936-1939 – Edizioni Biblioteca Anarchica Disordine, Lecce; 322 pagg.
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Vi sono testi, anche vertenti sul movimento anarchico e libertario in generale, che mantengono sempre una certa attualità, perché lungi dall’essere semplicemente apologetici, pongono delle riserve, delle critiche pure radicali su aspetti non secondari dell’agire anarchico, e che rischiano di apparire in second’ordine rispetto a quelle che vengono invece valutate come esperienze principali, sostanziali degli avvenimenti che vedono, o hanno visto, l’attiva partecipazione degli anarchici nei tentativi di rivoluzionamento dell’esistente.
Come sottolineano gli editori di questa Terza edizione italiana del testo di Richards, l’apologetica di per sé “chiude” il dibattito, le riflessioni, le critiche che rilevano gli aspetti negativi delle esperienze del movimento anarchico, affinché si colga nell’agire, in ogni tempo, ciò che ci proviene dal passato appunto come esperienze negative, e che è necessario non ripetere per fare in modo che l’agire anarchico rappresenti un passo significativo del processo di liberazione totale dallo sfruttamento e dall’oppressione che il sistema vigente rappresenta.
È dalla breve esperienza della Comune di Parigi (1871) che si sono sottolineati gli errori che – in buona o cattiva fede, ma per inesperienza più che altro, in questo caso, posso tranquillamente aggiungere – in avvenimenti futuri non si dovevano replicare, assolutamente, al fine di evitare che il processo degenerativo interno al movimento rivoluzionario dia alle forze della reazione validi appigli e apra voragini nelle barricate dei rivoluzionari, per la vendetta e quindi la vittoria delle forze della reazione. Sempre pagate dal movimento rivoluzionario con fiumi di sangue.
Ora, gli avvenimenti spagnoli del 1936-’39 sono caratterizzati, per quanto concerne il movimento anarchico e libertario, come se la Comune di Parigi nulla avesse insegnato, ma anche che nulla abbia insegnato quell’altra esperienza, molto più recente, della rivoluzione russa, iniziata appena un ventennio prima della rivoluzione spagnola.
Certamente è pur vero che la situazione del movimento anarchico e libertario iberico è caratterizzata da una sua propria storia che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento (dalla adesione alla tendenza antiautoritaria-bakuninista della Prima Internazionale) ha maturato una forte radicalizzazione ed espansione nelle masse operaie e contadine più sfruttate, così che alla costanza ed alla sempre più consistente attività anarchica s’è affiancata e sviluppata una grandiosa consistenza della organizzazione anarcosindacalista. Ma diversi fattori (non ultima la persistenza della più feroce repressione che ha costretto per lunghi periodi alla clandestinità sia la Federazione Anarchica Iberica – F.A.I., sia la Confederacion Sindical del Trabajo – C.N.T.) hanno, nel corso dei decenni, accentuato in modi del tutto anomali, il potere di quelli che possono considerarsi i vertici delle due organizzazioni.
È conseguente alla clandestinità l’emergere di “figure” – le più dotate per preparazione, intelligenza, capacità di resistenza e di un carattere di sacrificio ed integrità etico-morale – che garantiscono all’organizzazione la sopravvivenza e poi la rinascita ad ogni mutamento delle condizioni socio-politiche. E alcune di queste figure, che sacralizzano l’organizzazione, ben al di là delle singole individualità che le danno vita e l’animano di carne e volontà, da “capi” – cioè da figure incarnanti la inamovibile e indistruttibile persistenza della unione di individui che mirano ad uno stesso fine – si ergono a dirigenti, a comandanti gli associati, ad indiscutibili possessori del potere di emanare ordini e di esigerne l’ubbidienza.
È questo un processo degenerativo per l’anarchismo, che si è manifestato in tutta la sua gravità esattamente fin dal principio della rivoluzione sociale spagnola che ha preso piede in suolo iberico – soprattutto nelle zone di preminenza anarchica e anarcosindacalista, ma non solo – a partire dal 19 luglio del 1936, quando al sollevamento di buona parte dei militari sostenuti dalla Chiesa, dalla monarchia e dall’aristocrazia di sangue e ricchezza, le masse proletarie delle città e delle campagne si sono con le armi, la preparazione e l’autorganizzazione opposte in maniera risoluta, impedendo che i tre quarti dei territori e della popolazione venissero sopraffatti dalle forze più retrive del Paese.
Ma – e qui sorge un altro gigantesco problema che si deve pur sempre affrontare, anche se le soluzioni possono essere solamente provvisorie e molteplici, oggi come domani – vi è da chiedersi: come mai alle direttive ed agli ordini impartiti da questi dirigenti il grosso degli organizzati ha ubbidito, pur essendo in contrasto evidente quando non proprio negazione assoluta di quelle che sono le istanze fondamentali dell’anarchismo?
L’anarchismo, nella sua integrità di pensiero ed azione, come movimento rivoluzionario radicale, non può essere ridotto nella sua validità a momento di “ricreazione” – come ben hanno sottolineato altri prima di me. Se le “circostanze” in cui si agisce non trovano soluzioni in termini anarchici, non per questo si può pretendere che sia anarchismo ciò che invece è la sua negazione! In realtà, ancora una volta pare che il problema consista proprio nel modello organizzativo, nel trovare cioè nell’organismo stabile nel tempo e nello spazio la soluzione alla necessità dell’organizzarsi e degli anarchici e delle masse sfruttate e subalternizzate. Dare vita ad un mastodonte in cui le energie degli associati si accumulano e si dipartono in correnti non orizzontali ma verticali, ove l’organizzazione è l’entità che accentra le forze di tutti nei suoi propri centri dirigenti, rappresenta l’alienazione dei singoli (che questi siano al vertice o alla base della piramide), riduce gli individui a semplici funzioni del tutto per cui la “delega” è la costante che pone tutti ed ognuno fuori dalla autodeterminazione. E siamo fuori ovviamente dall’anarchismo, in tutte le sue varianti possibili.
Come spiegare altrimenti che, con le masse proletarie appena occupanti le caserme dei vinti militari golpisti, “anarchici influenti” e “anarcosindacalisti altrettanto influenti” si possano recare impunemente a trattare col presidente della Generalitat catalana a stabilire che cosa fare e non fare in seguito? Proprio quella Generalitat coadiuvante ed integrante il governo centrale di Madrid nel massacrare, incarcerare e torturare centinaia e migliaia di anarchici ed anarcosindacalisti!
E l’organismo a cui si è dato vita in seguito a questo incontro, in che maniera è stato deciso dagli associati alla F.A.I. ed alla C.N.T.?
Ovviamente questo è solo un esempio, il primo passo della degenerazione manifesta delle due organizzazioni iberiche.
Ci sembra pertanto inopportuno, come minimo, che si continui a parlare di “compagni anarchici ed anarcosindacalisti” quando si tratta semplicemente di veri e propri traditori e della causa anarchica e della causa anarcosindacalista. Un errore si fa in buona fede, e vi si cerca rimedio, in qualche modo possibile, ma in questo caso si tratta, ben al contrario, di una strada che, appena imboccata in questo frangente – con migliaia di compagni e compagne ancora sul selciato delle stragi commesse e dalla Repubblica e dal suo organismo militare –, verrà trascorsa tutta, fino a soprassedere ulteriormente sugli assassinii deliberati da parte di quel fronte popolare che, in Catalogna ed a Madrid, e di cui fanno parte “anarchici ed anarcosindacalisti eminenti”, si mangia prima la spinta rivoluzionaria delle piazze e poi i rivoluzionari e le rivoluzionarie che han concretizzato – per un troppo breve periodo – l’assalto al cielo.
Ecco perché l’apologetica sulla Rivoluzione Spagnola, lasciata libera di imperversare per mezzo secolo in assenza del testo di Vernon Richards, il primo testo che affronta in modo sistematico una valida analisi radicalmente critica di quegli avvenimenti, ha senz’altro rappresentato una distorsione della realtà che possono aver pagato le nuove generazioni di compagni e compagne che nel frattempo si sono accostate all’anarchismo.
«Pensiamo che l’assenza di questo testo, che analizza esclusivamente gli aspetti critici di quella seppure formidabile stagione [la Rivoluzione Spagnola del 1936-’39], sia stata pesante, perché per lungo tempo generazioni di nuovi compagni che si sono avvicinate alle idee anarchiche e hanno letto apologeticamente quegli avvenimenti, non hanno potuto usufruire di un valido strumento rispetto ad essi e, soprattutto, rispetto al modo di operare di alcuni compagni, dirigenti di un movimento sindacale con oltre un milione di iscritti ed esponenti di spicco del movimento anarchico, che con le loro scelte hanno contribuito al fallimento della rivoluzione, prima ancora della sconfitta nella guerra contro le truppe di Franco». […]
Dalla IV di copertina
Un ricordo personale.
Sono ormai tanti anni fa che Abel Paz, ovviamente ancora in vita e sempre curioso ed attento agli incontri e discussioni che si affrontavano, venne in Sardegna credo per la prima volta (se non erro nel corso dell’ultimo suo lungo itinerario per lo stivale italiano). Ebbene, nelle discussioni più o meno caotiche che di volta in volta si affrontavano, inevitabile, ovviamente, quella sulla Rivoluzione Spagnola, che lui partecipò ancora fanciullo e che descrive in almeno uno dei suoi testi-testimonianze. E, almeno per me, inevitabile pure l’accenno alla critica consistente e articolata che proprio emerge dal libro di Richards in merito all’organizzazione anarchica iberica ed alla C.N.T.
Non mi accontentai certo di riprendere almeno qualcuna di quella critiche, ma ovviamente aggiunsi del mio. Beh, ricordo come fosse oggi il suo appunto in merito al testo di Richards, che sostanzialmente era: Ma che! Forse che gli spagnoli abbiamo da attenerci a quanto dice un inglese?
Ho sempre avuto qualche dubbio sul senso da dare a questa sua considerazione, per cui mi astengo anche in questa sede di esprimere un qualche giudizio, forse importuno, soprattutto oggi che egli non è più.
Ma ricordo anche che alla domanda che mi fece in seguito alle mie considerazioni sulle trattative e le scelte di attiva partecipazione e collaborazione dei vertici della F.A.I. e della C.N.T. ai governi e catalano e di Madrid, e cioè: «Cosa avresti fatto tu?» risposi secco: «La rivoluzione, come tutte quelle del passato del presente e del futuro, è nelle strade e nelle piazze, e nelle strade e nelle piazze dovevano stare, fucili in mano, anche gli “influenti compagni e compagne della C.N.T. e della F.A.I.”; recarsi nei centri del potere costituito se non per diroccarli radicalmente è tradire i rivoluzionari e la rivoluzione in corso».
I caotici momenti di socialità in cui eravamo immersi … non ci permise di andare ulteriormente avanti …
Kosta Cavalleri
[Tratto da https://anarkiviu.wordpress.com/2023/09/12/non-solo-lettura-edizioni-recenti/ e ripubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2023/09/15/recensione-della-terza-edizione-di-insegnamenti-della-rivoluzione-spagnola-1936-1939-di-vernon-richards-biblioteca-anarchica-disordine-2023/]