Solidarietà e prospettiva rivoluzionaria!
Con la legge 1660, in gestazione, ogni lotta sarà esposta a repressione giudiziaria. È, semplicemente, una dichiarazione di guerra al “nemico interno”, a chiunque osi opporsi alla loro marcia verso la terza guerra mondiale. Addirittura si inventano nuovi reati come la “resistenza passiva” e il “terrorismo di parola” (manca solo il ritorno della santa Inquisizione con il peccato di “pensiero impuro”)… E i procedimenti in corso contro due giornali anarchici (“Vetriolo” e “Bezmotivny”), con varie misure cautelari, ne sono una concreta anticipazione. È chiaro, lo Stato, la classe dominante si blindano utilizzando una legalità spudoratamente doppia poiché l’altro lato è l’aumento dell’impunità e di ogni giustificazione alla propria violenza, per i padroni e i loro sgherri.
Quest’estate ne è una drammatica prova con la stagione infernale inflitta ai proletari/e nelle carceri e nei CPR e fino alle campagne con l’uccisione del bracciante Satnam Singh. Caso emblematico della sequela di violenze e morti con cui si regola lo stato di segregazione imposto alle popolazioni immigrate ma anche minaccia incombente sul proletariato nel suo insieme. Il peggioramento delle condizioni di vita del settore più sfruttato spinge al ribasso l’insieme del corpo proletario.
E proprio questo è un nodo fondamentale da assumere: la stretta relazione e funzionalità fra repressione e sfruttamento, e fra queste e la guerra imperialista. Il genocidio in Palestina ne è l’apoteosi sanguinaria, laddove questi elementi si svelano pienamente nel modello colonialista e di dominio geopolitico.
E così è stato storicamente: quando si entra in un’epoca dominata dalla guerra imperialista, la stessa lotta di classe ne viene condizionata. Margini di mediazione e di “riformismo” spariscono, si impongono economia di guerra e stati di emergenza. La prospettiva in cui muoversi deve assumere questa consapevolezza e le sue conseguenze: l’unica alternativa al loro intruppamento repressivo e al diventare la loro carne da cannone è costruire nella lotta e nell’organizzazione le condizioni, i termini per la nostra guerra, di classe, di liberazione. Sembra cosa difficile oggi, certo, ma la questione sta in che senso, in quale orientamento si costruiscono i nostri movimenti, la nostra solidarietà, le nostre forze. E questo si può fare correttamente, anche nei piccoli passi, puntando a quella prospettiva. Sbarazzandoci dalle pratiche subalterne alla “sinistra” istituzionale, dalle illusioni di sponde parlamentari e altre compromissioni che ci tengono solo in soggezione e sotto ricatto. Peggio, pratiche che alimentano il pacifismo, e cioè il disarmo unilaterale della classe.
La lotta contro la repressione fa tutt’uno con la solidarietà, per cominciare. Ma, per non scivolare in una difesa vittimista e legalista (che svilisce e fa arretrare la lotta e il movimento), bisogna saldarle alla prospettiva stessa della lotta. Solidarietà come terreno di resistenza comune e nuova determinazione, più avanzata. È l’alternativa che si è posta nei decenni ai/alle militanti rivoluzionari/e: o resa/dissociazione politica o coerenza con la lotta rivoluzionaria anche in carcere e in tribunale. Guardiamo bene tutto l’accanimento che lo Stato mette nell’estorcere la resa: le detenzioni a vita e la tortura del 41 bis, o ancora la caccia a latitanti per fatti di mezzo secolo fa. Ci fa capire il valore delle cose, ciò che conta per loro e, in senso contrario per noi! Mentre ci fanno la guerra, pretendono la nostra pacificazione. Su questa faglia di scontro dobbiamo misurarci, dobbiamo misurare il nostro modo di sviluppare la lotta, la solidarietà e la prospettiva rivoluzionaria.
La repressione è la loro guerra, interna, di classe!
Solidarietà e fronte unito fra le nostre lotte, primi passi verso la nostra futura guerra di liberazione di classe!
[Tratto da https://contropadroni.wordpress.com/2024/09/04/solidarieta-e-prospettiva-rivoluzionaria/ e ripubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2024/09/06/solidarieta-e-prospettiva-rivoluzionaria/]