“Dalla vita di una detenuta”. Lettera dell’anarchica N. dal carcere di Aichach (Germania, maggio 2025)

“Dalla vita di una detenuta”. Lettera dell’anarchica N. dal carcere di Aichach (Germania, maggio 2025)

Tutto ciò che rende questa società, in cui siamo costretti a vivere, così ostile e avversa alla convivenza, diventa evidente nel luogo che essa ha creato per ricordare a tutti gli esseri umani, sia a coloro che si discostano dalla norma sia a coloro che sembrano integrarsi pienamente in questo ordine, ciò che attende chi si muove ai margini o al di fuori di esso: il carcere. Un luogo che, in sostituzione o in aggiunta alle condanne a morte di un tempo e di oggi, mette in atto un’altra forma di esecuzione: la morte sospesa. Sepolti vivi in una tomba fino al giorno della resurrezione, tagliati fuori dai nostri cari, dal mondo dei vivi e dal naturale impulso dei nostri corpi a muoversi liberamente nel mondo, ridotti a un numero in una macchina che funziona alla perfezione, gestiti, osservati, educati.

Quando ci si ritrova per la prima volta tra le grinfie di questa macchina, ci si stupisce di quanto tutto sia familiare. C’è anche chi dice: «Non è una punizione. È un collegio». E hanno ragione. Ma quello che trascurano è che non scopriamo la prigione il giorno in cui veniamo incarcerati, essa fa parte della nostra vita fin dalla più tenera età: all’asilo, a scuola, in ospedale, e poi in ufficio, in fabbrica, in caserma, nella casa di riposo. Ordinati e sistemati, abituati fin da piccoli al ticchettio dell’orologio e al ritmo della macchina, rinchiusi in caverne di cemento, tagliati fuori dal ritmo pulsante del divenire e del tramontare, ridotti a una funzione nel sistema, addestrati a considerare il Paese e la gente in base al valore monetario che se ne può ricavare, colmi di ignoranza o persino di arrogante disprezzo verso tutte le attività e le abilità legate alla sussistenza e all’auto-organizzazione.
Il carcere è l’istituzione coercitiva più palese per domare il materiale umano, che a volte è difficile da plasmare. Tutti coloro che si discostano dalla norma e turbano il ritmo della macchina sociale possono essere raccolti e gestiti in questo luogo.
Per legittimare la sua esistenza, la prigione ci viene venduta come un luogo di castigo, espiazione e prevenzione, dove vengono puniti coloro che hanno violato le regole della convivenza sociale, ferendo, derubando o uccidendo altre persone. Il carcere assorbe i conflitti, le aggressioni e le violenze che le persone infliggono agli altri e finge di risolverli. Così, in prigione si trovano sempre persone alle quali si augura davvero solo il peggio.
Ma gli stessi giusti che condannano costoro sono quelli che spianano la strada a chi promuove e finanzia lo sviluppo di macchine per uccidere sempre più sofisticate, chi addestra e invia centinaia di migliaia di persone a uccidere, chi organizza il controllo e la sorveglianza di intere popolazioni, chi distrugge intere culture e stili di vita, chi si arricchisce sfruttando l’uomo e la natura e chi da tutto ciò trae una posizione di potere. Mentre tutti coloro che godono del sostegno dei giusti saccheggiano e schiavizzano il mondo, naturalmente utilizzando le loro prigioni anche per eliminare i rivali più agguerriti. Nelle carceri, in ogni caso, si trovano principalmente i poveri, i non utili e i superflui, i ribelli e coloro che non sono riusciti a integrarsi in questa società. Il carcere è un’extrema ratio per “trattare” queste persone o semplicemente per toglierle di mezzo.
Ora questi colossi artificiali esortano silenziosamente e minacciosamente alla disciplina e all’ordine, creando una divisione raramente oltrepassabile tra il mondo esterno e gli sfortunati che vi sono stati inghiottiti. Da ben dieci settimane queste porte si sono aperte anche per me e ora sono diventata parte di questo mondo alternativo creato dall’uomo, per un periodo indefinito. Adesso io, numero 97/25, sono seduta nella mia tomba di appena otto metri quadrati, cella 003, e aspetto. Aspetto che la tempesta che si è scatenata intorno a me e al mio compagno M. riveli la sua natura e la sua portata. Le informazioni mi giungono solo a piccole dosi, perché in questo mondo ultraterreno vige un altro concetto di tempo. Così passano le settimane e i mesi e il silenzio a cui sono stata condannata rimbomba troppo forte nelle mie orecchie.
Ad oggi, non ho ancora ottenuto l’accesso agli atti, né al procedimento relativo a Zündlumpen su cui si basa l’esecuzione di questo mandato d’arresto, né ai nuovi procedimenti aperti contro di me e i miei compagni. Ad oggi, solo i miei genitori possono telefonarmi o farmi visita. Le lettere indirizzate a me impiegano da due settimane a due mesi per raggiungermi e lo stesso vale per le lettere che invio all’esterno. Se in queste lettere sono contenuti elementi non graditi, vengono trattenute. Mi è vietato parlare del procedimento se non con il mio avvocato. Gli sbirri hanno accesso alle mie telefonate, siedono accanto a me quando ricevo visite e leggono tutte le mie lettere. Devo però riconoscere loro un merito: almeno ora lo fanno apertamente. Dopo tutti i tentativi, più o meno riusciti, di nasconderlo negli ultimi anni, è un piacevole cambiamento.
Il pretesto per questo nuovo giro di vite: pericolo di fuga. In un procedimento noto già da tre anni. Si sostiene che io e il mio compagno M. ci saremmo dati alla macchia prima che venisse avviato il procedimento di Monaco, per il fatto che vivevamo in un rifugio che avevamo costruito noi stessi in un bosco appena fuori dai confini della città.
Così, il 4 febbraio è stato emesso un mandato di arresto contro M. e me, poi eseguito il 26 febbraio. Come tanti senzatetto in una fredda serata invernale, eravamo seduti insieme in una calda biblioteca di Monaco, con elettricità e internet, quando siamo stati aggrediti da uomini e donne in borghese, buttati a terra e ammanettati. Successivamente, sono stata portata sulle scale. Da allora non ho più visto M.
Mi hanno portato alla Staatsschutz (SS) [stazione dei Servizi di Intelligence] per interrogarmi dove per ore hanno cercato invano di farmi confessare, ricorrendo a menzogne diffamatorie nei confronti di M. Verso mezzanotte, uno sbirro della Hundestaffel (HS) [unità cinofila] mi ha prelevato un “campione olfattivo” strofinandomi un fazzoletto sul collo. Verso le due del mattino mi hanno portato al Polizeipräsidium (PP) [questura], dove ho avuto modo di trascorrere il resto della notte in una delle loro accoglienti celle di detenzione. Il giorno successivo sono stata condotta davanti al giudice istruttore e, dopo una sosta di quasi quattro ore nel carcere femminile di Stadelheim, sono stata trasferita senza troppe spiegazioni ad Aichach.
Una settimana dopo, gli sbirri sono tornati a prendermi per spogliarmi con la forza in una clinica di Monaco e fotografare ogni imperfezione e ogni macchia sulla mia pelle, alla ricerca di segni di ustioni. Per il resto, ho trascorso le prime due settimane completamente isolata dal mondo esterno. Dopo due settimane è venuto il mio avvocato, dopo tre mi è stato permesso di telefonare per la prima volta ai miei genitori e dopo quattro mi sono state consegnate le prime cartoline e lettere. Grazie mille a tutti quelli che mi hanno scritto: le lettere e le cartoline sono un raggio di luce nella monotonia della grigia routine carceraria e sulle pareti giallo tabacco della cella. Continuate così!
È stata disposta la mia separazione da M., ma possiamo comunque scriverci delle lettere. Ho una cella singola e ogni giorno ho a disposizione dalle quattro alle sei ore di apertura, il che significa che le celle vengono aperte e io e i miei compagni di detenzione possiamo muoverci liberamente nel nostro corridoio. Durante l’orario di apertura è prevista un’ora di passeggiata in cortile. Ad oggi (maggio) non ho ancora i miei vestiti né i miei libri, perché mi sono stati entrambi vietati. Non mi è permesso ricevere nulla né mandare nulla all’esterno. A volte le giornate sono lunghe, ma in linea di massima so come tenermi occupata e sfruttare in modo abbastanza sensato il tempo a mia disposizione.
Costretta alla normalità della quotidianità carceraria, soggetta al volere altrui, al diktat del tempo e a una “struttura giornaliera”, confrontata con la burocrazia e con regole meschine, e quasi completamente tagliata fuori dal contatto con i miei cari e con la Madre Terra, questa esperienza mi spinge ogni giorno di più a non accettare come un dato di fatto questo mostro che è la società, ma a continuare a lottare per un modo diverso di stare insieme e per un diverso rapporto con il mondo vivente. E vorrei anch’io ricordare il vecchio proverbio cinese: idiota chi legge!
In quest’ottica, auguro a tutti noi, dentro e fuori, la forza di difendere le nostre idee e di non lasciarci intimidire. E leggete Zündlumpen, gente, ci sono un paio di cose interessanti lì dentro!

La vostra N.
Carcere di Aichach, maggio 2025

Nota: dopo oltre quattro mesi di detenzione, all’inizio di luglio N. ha finalmente ricevuto i suoi vestiti personali. L’istituto penitenziario continua a ostacolare l’ordine di libri presso le librerie.

Se desiderate scrivere a N o M, inviate un’e-mail a:
solidaritaet-mit-n-und-m [chiocciola] riseup.net

[Pubblicato i tedesco in https://de.indymedia.org/node/523951 | Tradotto in italiano e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/07/27/dalla-vita-di-una-detenuta-lettera-dellanarchica-n-dal-carcere-di-aichach-germania-maggio-2025/]