Per farla finita con lo stupro intellettuale ai danni dell’anarchismo rivoluzionario. Riflessioni in merito agli scritti “Da pari a pari” e “A due a due finché non diventano dispari”

Per farla finita con lo stupro intellettuale ai danni dell’anarchismo rivoluzionario. Riflessioni in merito agli scritti “Da pari a pari” e “A due a due finché non diventano dispari”

«Sono anarchica, non sono femminista perché percepisco il femminismo come un ripiegamento settoriale e vittimista…»
Anna Beniamino

Innanzitutto vogliamo fare una breve premessa necessaria al fine di risultare il più chiari possibile nei nostri intendimenti: da parte nostra non v’è problema, disaccordo insanabile o rottura politica di alcun tipo, né nei confronti dei “cinque piccoli indiani fuori dalla riserva” né nei confronti di quei compagni anarchici che da anni scelgono il silenzio – per un evidente quieto vivere – nei confronti della metastasi esterna al nostro movimento anarchico rivoluzionario che cerca di insinuarsi su più fronti. Anzi rivendichiamo gli autori del primo testo in questione, “DA PARI A PARI”, come Compagni nostri nonostante non sappiamo chi siano, viste le tematiche da loro affrontate. In secondo luogo dichiariamo apertamente di ritenere infondate le accuse di stupro rivolte a un valido, generoso e preparato compagno anarchico con cui da anni continuiamo a intrattenere rapporti e collaborare a iniziative, testi, giornali e progetti editoriali, il quale, inoltre, riteniamo una delle menti più brillanti che l’anarchismo rivoluzionario di lingua italiana abbia visto negli ultimi vent’anni.
Detto ciò vorremo soffermarci su alcune questioni riguardanti il testo in questione, nella speranza che possano essere uno stimolo propositivo, questioni che riteniamo debbano essere sviscerate con urgenza, in quanto riteniamo che nel tempo, tutta una serie di fattori e avvenimenti abbiano concorso a creare queste dinamiche deleterie da parte delle guardiane del sistema.
La prima questione a nostro avviso problematica, fortemente problematica, che sta alla base di tutto, non è tanto quanto accaduto lo scorso 11, 12, 13 ottobre 2024, quando, presso la Villa Occupata di Milano, avrebbe dovuto svolgersi la “tre giorni” di discussione Sfidare la vertigine, organizzata dalla vostra assemblea “Sabotiamo la guerra”, poi rinviata sine die, e di fatto annullata.
Bensì riteniamo che il problema sia a monte, ovvero, la vostra scelta di organizzare questa iniziativa in un posto come la Villa, o assieme a persone con cui non si dovrebbero intrattenere i minimi rapporti politici e umani per via delle posizioni che sostengono e la logica della calunnia permanente che DA ANNI portano avanti (come quelle che vi hanno fatto saltare l’iniziativa), in un silenzio quasi imbarazzante – salvo qualche rara eccezione -, verso diversi compagni.
Purtroppo invece ci duole constatare che diversi anarchici, anche più che validi, in questi anni sono stati troppo indulgenti, troppo tolleranti, nei confronti di queste soggettività che di fatto non hanno nulla da spartire con l’anarchismo, avallando di fatto certe istanze che, per forza di cose, sfociano poi in episodi come quello oggetto dello scritto “DA PARI A PARI”. Purtroppo la puzza di democrazia porta a questo. Ci auguriamo dal profondo che situazioni come questa di cui avete parlato nel vostro documento, portino a una presa di posizione più netta e definitiva a partire dal futuro più prossimo, vista anche la risposta che vi è stata fornita con il testo senza capo né coda “A DUE A DUE FINCHÉ NON DIVENTANO DISPARI” dalle solite note individualità che sfuggono sempre all’oggetto del contendere e non rispondono mai nel merito delle argomentazioni.
Ovviamente vi fa onore esservi finalmente pronunciati assumendo una posizione pubblica, in modo così preciso e lungimirante tra le altre cose, è una cosa che significa molto per noi, ma se questo assunto fosse arrivato prima e non aveste ignorato i precedenti, come voi stessi avete scritto «…come abbiamo fatto in altre occasioni, quando ci sono stati simili tentativi di far saltare nostre iniziative per via della presenza di questo compagno all’interno del nostro percorso», ora navigheremmo tutti in acque più limpide. Detto ciò, delle “domande” sorgono spontanee.
Non bastava quanto già accaduto negli ultimi anni per far si che un’assemblea come “Sabotiamo la guerra”, ma anche diversi altri percorsi vissuti negli ultimi anni – vedi mobilitazione su Alfredo -, si sviluppassero in maniera più scremata e senza il coinvolgimento di certa paccottiglia? Non era già sufficiente il fatto che questo nostro compagno fosse stato additato pubblicamente come uno stupratore con una scritta nei pressi di un carcere durante un presidio, in favore di possibili conseguenze penali, come accaduto qualche anno fa? Non erano già sufficienti dinamiche in cui, all’interno di certe assemblee, in modo più che infantile, certe “compagne” si alzavano per abbandonare l’assemblea quando interveniva questo nostro compagno? Non era già sufficiente il fatto che, a causa di queste fautrici della calunnia permanente o chi per loro, fosse persino saltata la presentazione del libro “Quale Internazionale?” oltreconfine, collaborando, di fatto, a tenere il bavaglio sulla bocca del nostro compagno anarchico rivoluzionario Alfredo Cospito oltre che dei compagni con cui lui stesso da anni ha scelto di avere a che fare?
Cosa si vuol fare in futuro con questo “veleno autoritario e reazionario”? Si vuole aspettare che le questioni in oggetto “si risolvano più felicemente” come già avvenuto in passato, magari anche grazie all’Alzheimer precoce che attanaglia tanti membri del movimento, per poi far finta di nulla e ritrovarsi in una futura assemblea nuovamente fianco a fianco? Oppure aspettiamo qualche mese, facciamo calmare le acque, ognuno si prende il tempo per riflettere e metabolizzare questi ultimi scritti, per poi ritrovarsi seduti tutti assieme il 10 ottobre a Roma a fare un’assemblea sulla situazione di Alfredo come se nulla fosse?
Infine, prima di dilungarci nelle nostre analisi, vogliamo lanciare anche una provocazione, come vi porreste se veniste etichettati come amici di un infame, amici di un dissociato etc? Non pensiamo che cambi molto dall’essere definiti amici e compagni di uno “stupratore”. Dunque che vogliamo fare?
Queste domande che poniamo a voi cinque con spirito critico e di confronto aperto, ovviamente sono da leggersi rivolte a qualunque anarchico degno che cammini sui nostri stessi sentieri di negazione.

PER UN ANARCHISMO INTRANSIGENTE

Riteniamo sia arrivato il momento di dire basta, uscire dal pantano e andare avanti nei nostri percorsi anarchici rivoluzionari senza ostacoli e perdite di tempo, escludendo certe soggettività una volta per tutte dai nostri percorsi. Deve inoltre essere chiaro a chiunque, e questa volta lo affermiamo in modo esplicito una volta per tutte, che quando parliamo di politiche d’identità, intersezionalità, movimento queer e quant’altro, stiamo parlando di concetti estranei all’anarchismo che queste soggettività vorrebbero introdurre nel movimento anarchico.
Purtroppo in un’epoca contraddistinta dalla più totale liquidazione di un pensiero radicale e dalla sua sistematica cooptazione nei più beceri meccanismi del riconoscimento e della rappresentabilità sociale, riteniamo doveroso prendere posizione – con fermezza e chiarezza -, per quanto ne avremmo volentieri fatto a meno, dinanzi a questa serie di pratiche e discorsi che, sebbene si ammantino di etichetta e lessico “anarchico”, tradiscono nei fatti ogni presupposto che fondi realmente una tensione anarchica rivoluzionaria.
Ci riferiamo, senza esitazione, a quelle realtà che hanno sottoscritto e sottoscriveranno, moralmente e idealmente, il testo “A DUE DUE FINCHÉ NON DIVENTANO DISPARI” oltre che, più genericamente alla realtà alla quale appartengono e che marcia sotto l’etichetta del “femminismo”, ma che, nel merito delle loro posture/storture teoriche e delle loro pratiche politiche (che guarda caso non si vedono in nessun campo del reale, ma solamente dentro i confini del nostro movimento), non condividono nulla con ciò che costituisce la sostanza viva dell’anarchismo partendo fin da quei giorni del 1872 a Saint-Imier.
Si tratta a nostro avviso, di formazioni ideologiche spurie, partorite dall’onta del più recente connubio tra l’identitarismo di una sinistra liberal-progressista e il culto della vulnerabilità elevata a soggettività politica. Roba che persino le nostra compagna Emma Goldman si sta rivoltando nella tomba.
Ma tornando a noi, per leggere le derive attuali, si necessita di fare diversi passi indietro, più indietro di quanto solitamente si faccia. Non basta richiamare il femminismo della seconda ondata, né i suoi sviluppi post-strutturalisti: occorre risalire alla forma originaria della morale vittimista tanto cara a costoro, che affonda le sue radici nel paradigma cristiano del dolore redentivo, poi passato di mano in mano e secolarizzato dal pensiero liberale e umanitarista.
La nozione contemporanea di “abuso”, “molestia”, “stupro” – così come viene mobilitata con tanta superficialità da certe soggettività militanti – oltre non avere nessun riscontro nel reale -, non ha nulla di anarchico. Al contrario, si fonda sull’idea religiosa dell’offesa. Ne deriva una teologia laica in cui “l’abusato” e i suoi annunciatori diventano figura sacra, impeccabile per definizione, e chiunque ne metta in dubbio il racconto è immediatamente scomunicato.
Così facendo, “l’abuso” cessa di essere persino un grave problema da affrontare – qualora fosse accaduto realmente – e si trasforma in una verità dogmatica da credere a scatola chiusa. Non serve più dimostrare nulla, basta dichiararsi feriti. Non conta ciò che accade realmente, ma ciò che si prova, ciò che si percepisce. Ogni esperienza è sacralizzata, ogni sensazione soggettiva è politicizzata, ogni gesto e ogni sguardo è potenzialmente una violenza, perché tutto è percezione dunque tutto è stupro, e la percezione – ci dicono – “non si discute”. Come può dunque un sedicente “anarchismo” erigersi su un sistema neo-teologico il cui danno è il nuovo Dio e l’obbiezione è il nuovo peccato mortale?
Il trauma pare essere diventato la nuova unità di misura del discorso legittimo. Chi parla “dal trauma” – anche quando le accuse sono infondate – è automaticamente credibile, chi ne dubita invece è già colpevole. Ma questo meccanismo, il quale abbiamo capito fin troppo bene, non serve a riconoscere e risolvere esperienze di “abuso” – qualora siano realmente accadute -, bensì a normalizzare i rapporti interni al nostro movimento, stabilendo una gerarchia invisibile in cui al vertice dovrebbe stare chi ha sofferto, in basso chi esprime dissenso.
La “vittima” e conseguentemente le guardiane del sistema le quali la tengono per mano, possono diventare così funzionarie del controllo orizzontale, e l’intero spazio politico si trasforma in un campo biopolitico. Non si lotta più per abbattere Stato e Capitale, ma questa realtà sedicente “ femminista anarchica” si trasforma in micro-istituzione disciplinare del nostro movimento, in cui si monitorano comportamenti e si giudicano relazioni. Le accuse di abuso, stupro, molestia – sempre più vaghe – non derivano da eventi reali, ma da una definizione ideologica di ciò che per loro è percepita come violenza, in cui ogni frustrazione relazionale, ogni ambiguità affettiva, ogni rapporto sessuale consensuale che la mattina seguente – o mesi dopo – viene visto come una scopata che ci si sarebbe anche potuti evitare, ogni incomunicabilità emotiva viene riletta in chiave penale e accusatoria. L’altro non è più un interlocutore, ma un colpevole. Non è più questione, quindi, di risolvere un importante problema, dei fatti gravi o di proteggere chi “ha subito”, ma di costruire e pilotare una macchina d’accusa perpetua per prendersi quella agibilità politica che non ci si riesce a prendere con l’autorevolezza di un solido discorso politico d’attacco al reale e forti basi teoriche e capacità d’analisi. Quello che costoro vorrebbero creare – all’interno del movimento anarchico rivoluzionario, anzi che altrove come dovrebbero fare – è un movimento/spazio sicuro che non deve sovradeterminare le sensibilità di ciascuno. Ovvero: tutti i membri del movimento devono essere succubi delle ansie di ciascun membro. Non alzare il tono di voce in assemblea, non intervenire troppo nonostante si sia qualificati dalle esperienze per farlo, non fare riferimento alla propria esperienza pregressa nelle assemblee organizzative, non spingere nell’acceleratore dello scontro duro…rispettare le paure di tutti. In buona sostanza non fare un cazzo. Il movimento anarchico dovrebbe diventare una seduta di terapia di gruppo.
Questa è la nuova galera senza sbarre – per ora -, senza carcerieri – per ora -, che costoro stanno edificando, e che gli anarchici con il loro silenzio di questi anni stanno concorrendo a edificare.
A fronte di questa nuova religione morale, la cui unica “forza” risiede nella pretesa di essere parte del movimento anarchico, si impone sia un anarchismo intransigente da parte nostra che allontani costoro, sia un ritorno alla filosofia della diserzione etica, come già teorizzava Max Stirner.
Stirner ci mostra che ogni idea universalizzante – inclusa quella della giustizia o della cura – è un fantasma. Un’idea vuota, sacralizzata, imposta. Quando questa realtà, sedicente “femminista anarchica”, ma che nei fatti è la stessa paccottiglia movimentista di Non Una Di Meno – salvo l’utilizzo di toni un po’ più incendiari -, per mezzo della logica della calunnia permanente si appella a “codici di comportamento”, “morale”, “procedure orizzontali”, “comitati di gestione”, sta creando un nuovo Stato in miniatura. Cambia il linguaggio, ma la sostanza resta la stessa, si sottomette l’individuo a una norma, si va sostituendo la libertà del sé con la gestione comune del sé.
La nostra pratica anarchica, rivoluzionaria, insurrezionale – fondata sull’associazione affinitaria, sull’azione diretta distruttiva e sull’analisi tagliente -, deve ribaltare il tavolo a cui siamo seduti con tutto ciò vi sia stato collocato sopra da costoro negli ultimi anni.
Ribadiamo ancora, e ancora più radicalmente che, chi sostiene e pratica la cultura della calunnia permanente e dell’accusa, chi impone letture assolutiste della violenza basate sul linguaggio dell’emozione e della percezione soggettiva, chi costruisce verità politiche su esperienze interiori senza confronto, non è nostro alleato. È parte del problema, e non rimarremo in silenzio. L’anarchismo non è mai stato e mai sarà un contenitore vuoto, un’etichetta da attaccare sopra istanze emotive o rivendicazioni identitarie, è una teoria forte e coerente, radicale, fondata sull’abbattimento dello Stato, del Capitale e della religione, sempre in modo totalizzante, internazionalista e sopratutto orientato all’azione rivoluzionaria, non al riconoscimento di micro-identità. Già per Bakunin l’anarchismo è l’organizzazione volontaria delle masse, non l’autocelebrazione delle minoranze. Kropotkin, in “Il Mutuo Appoggio”, dimostrava che la cooperazione e la solidarietà non sono effetti di leggi imposte dall’alto, ma espressioni spontanee di libertà. Chi oggi si autoproclama “femminista anarchica”, invocando spazi sicuri, tutele, quote, linguaggi inclusivi imposti, dimostra di non aver mai nemmeno sfiorato la concretezza dell’anarchismo rivoluzionario, ne ha solamente assorbito l’estetica, i toni incendiari, ma non la sostanza.
Noi vogliamo ribadire innanzitutto che l’anarchismo non è un opinione tra le altre, e che il “femminismo” contemporaneo – anche quando si proclama “anarchico” – si nutre della stessa materia del liberalismo postmoderno: una miscela di narcisismo identitario, vittimismo/orgoglio di genere e feticismo del linguaggio. E dato che anche noi le Compagne nostre le ascoltiamo, ribadiamo che queste “femministe” non hanno nulla a che vedere con le forme più radicali, armate e rivoluzionarie del passato, bensì tutto hanno a che vedere con le stesse istanze che animano i campus americani, le università italiane, i talk show progressisti. Insomma una vera e propria americanizzazione delle lotte a cui dobbiamo sottrarci prima che sia troppo tardi.
Non possiamo lasciare che i princìpi base dell’anarchismo rivoluzionario vengano sostituiti dal mantra del “riconoscete il nostro dolore”, “adattate le vostre parole”, “cedete i vostri spazi”, così facendo finiremmo per cedere a una logica di lamenti e quote, finendo per trasformare il nostro movimento in arbitro e mediatore in sostituzione dello Stato con cui non vogliamo avere nulla a che fare, esattamente ciò che l’anarchismo ha sempre rigettato in blocco.
È esattamente questo il fulcro del problema, non la presenza di donne, Compagne anarchiche valorose e autodeterminate in lotta aperta con l’esistente, come ci dimostrano alcune nostre prigioniere di guerra o delle prigioniere di guerra comuniste rivoluzionarie che resistono alle tenebre del 41-bis da almeno vent’anni, ma la penetrazione nel movimento anarchico di logiche che sono interne al paradigma dominante. Non ci interessa il genere delle vittime e dei dannati della terra così come non ci interessa il genere dei nostri oppressori, ci interessa demolire le condizioni stesse dell’oppressione. Con l’anarchismo rivoluzionario contro qualunque desistenza.

SE NE VOLANO DUE VE NE ARRIVANO TRE

Infine vogliamo rivolgerci direttamente agli autori, all’autore, all’autrice del testo senza capo né coda dal titolo “A DUE A DUE FINCHÉ NON DIVENTANO DISPARI” ricordandole alcune banalità che probabilmente le sfuggono:
quando scrivi «…i tuoi giornaletti non hanno cambiato mai una virgola di sto mondo, e fino ad ora sono serviti solo a te per dare aria alla bocca…» stai parlando di quella stampa “proibita” che è costata dei grossissimi procedimenti penali e delle condanne ad alcuni compagni, oltre che aver portato un compagno ad essere seppellito vivo nelle tenebre del 41-bis per le posizioni da lui sostenute negli anni, e che queste pubblicazioni sono state e continuano ad essere di un inestimabile valore, perché consentono oggi agli anarchici – ma cosa ne puoi sapere te – di riappropriarsi delle loro idee, di dargli spazio, con l’audacia di sempre, immutabile nel tempo e con la medesima propensione all’agire nella consapevolezza rivoluzionaria, costruendo la nostra internazionale.
Quando scrivi «…io sono un* e mille. E sei circondato» ricorda che la cazzata puoi anche raccontarla a noi scrivendola pubblicamente, ma presta attenzione a non raccontarla a te stessa la cazzata, questo è sempre un buon esercizio intellettuale.

Il Funesto Demiurgo, estate 2025

P. S. Considerata la non utilizzabilità del tuo scritto in forma telematica per fini post-bisogni corporali. Infatti le tue “stronzate” hanno su di noi un alto potere lassativo. Per cui, se intendi deliziarci con altri scritti tieni conto di questa nostra esigenza primaria. Insomma, scrivi e fai scrivere ai tuoi collaboratori solo su morbidi rotoli di carta igienica, a questo proposito, la nostra carta preferita è la “Rotoloni Regina” due veli. Per il momento questo è quanto, augurandoti tutte le peggiori “sfighe” di questo mondo, ti salutiamo e salutiamo tutte le tue e le vostre prossime rovinose cadute.

[Ricevuto via e-mail e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/07/25/per-farla-finita-con-lo-stupro-intellettuale-ai-danni-dellanarchismo-rivoluzionario-riflessioni-in-merito-agli-scritti-da-pari-a-pari-e-a-due-a-due-finche-non-dive/]